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Il Viaggio

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Colore rosa, come il naso della mamma: ecco come si chiama questa meravigliosa sfumatura che ammanta la Voce. È bellissimo poter finalmente vedere il viso di chi mi accarezza con le sue mani nodose e dalla pelle vellutata, ed è ancora più bello ammirare il Rosa che le brilla intorno: la sua luce è rassicurante e delicata.

Amo percepire il mondo in tutta la sua bellezza: tatto, gusto, olfatto, udito, vista. E poi c’è quest’altro Senso che credo di poter usare soltanto io, o forse anche la mamma e i miei fratelli; di certo non l’umana. Lei sembra non curarsi di quell’alone rosa che la circonda, lo urta ovunque, contro i mobili, contro le porte, contro di lui. Lui, che invece è avviluppato in un involucro grigio e tetro. Come mai non lo vedono? Come si chiamano questi colori, da cosa dipendono?

Sto imparando i nomi delle cose, man mano che le vedo. Mamma. Fratelli. Umana. Rosa. Grigio.

«Ora basta!»

(Pelle)

Una stretta violentissima allo stomaco, qualcosa mi afferra per il torace, avvolgendomi in una morsa.

(Lingua)

Il sapore del latte della mamma si sostituisce a quello acido del rigurgito, che mi riempie la bocca a causa della stretta.

(Naso)

L’odore della paura è perforante: io, i miei fratelli, la Mamma e la Voce siamo terrorizzati.

(Orecchie)

L’eco dei nostri miagolii e del suono della Voce rimbomba, cercando inutilmente di sovrastare le parole rudi e crudeli della Voce cattiva, la cui mano stringe me e i miei fratellini, buttandoci in un sacchetto della spesa.

(Occhi)

Il buio annega i miei occhi, appena abituati al meraviglioso senso della vista, mentre le orecchie si riempiono di un rombo.

 (Maria)

«Non portarli via, scendi dalla macchina, ti prego!»

È l’ultima volta che sento la Voce, che ormai ho imparato a chiamare Maria. In pochi attimi i miei cinque sensi sono stati stimolati oltre ogni mia immaginazione: sono nato da poche settimane e mai avrei creduto di poter provare tanto terrore tutto assieme. I miei fratellini piangono insieme a me, dentro questo sacchetto che odora di cicoria.

«Fuori tutti, via!»

La Voce cattiva afferra gli altri, rimango solo. Cosa ne hai fatto? Cosa hai fatto ai miei fratelli? Miagolo disperato, ti prego, cosa succede, cosa ti abbiamo fatto?

«Ne ho dimenticato uno, dannazione!» grida lui, afferrando anche me. La luce improvvisa e livida di questa fredda giornata mi intontisce, l’aria fredda mi schiaffeggia mentre volo fuori dal finestrino. Non ho tempo nemmeno di pensare che morirò, il dolore mi toglie il fiato. Resto immobile sul sacchetto della spazzatura su cui sono atterrato.

Diventa buio, ancora non mi muovo. La fame e il freddo, a un certo punto, mi incoraggiano a tentare di andarmene. Zoppicando, mi addentro nell’erba alta di quella che sembra una zona industriale: niente case, niente gatti, niente Voci buone, niente profumi di casa, niente colori, niente Rosa e, per fortuna, niente Grigio.

L’erba è alta, non vedo nulla. Mi sento smarrito; ho paura, ho paura da morire, e tanto, tanto male. Cosa ne sarà stato dei miei fratellini? Cosa farà l’uomo cattivo quando tornerà a casa da Maria e dalla mamma?

A causa della botta la mia vista è appannata e non riesco a vedere bene in questo buio. La luce di qualche lampione mi permette di scorgere alcune sagome, mi aiuto con gli altri sensi per muovermi.

L’erba mi solletica le zampe, qualche scheggia rischia di ferirmi i gommini, ma procedo cauto, dolorante e accecato come sono.

La puzza di gomma e di spazzatura è nauseante come il sapore della saliva mista a sangue che sento sulla lingua. Vomito, spaventato: ogni suono mi è sconosciuto, anche questo silenzio riempito dal fruscio degli alberi a bordo strada. Vorrei poter scorgere qualcosa di familiare.

Un cane abbaia in lontananza, mi spaventa e inizio a correre, finché non percepisco un’apertura in una grande carcassa di metallo su quattro ruote sgonfie. La vista mi sta tornando e quasi mi commuovo, dentro quell’autobus abbandonato, nel vedere il qualcosa di familiare che stavo cercando. In questo spazio anonimo e sconosciuto, non è il tatto, né la vista, né l’udito, né il gusto, né l’olfatto a farmi sentire a casa, ma il misterioso sesto senso che mi permette di vedere il Rosa e il Grigio.

Mi incanto, le sfumature sono molte di più delle due che ho visto in casa mia, vengo travolto dai colori. Mille colori, simili al rosa di Maria, che fluttuano nell’aria, come se il pullmino morto fosse pieno di gente che viaggia e riempie lo spazio con l’allegria di una bella avventura, una gita felice, un viaggio divertente. Eppure non c’è nessuno, chi dipinge l’aria?

Mi accoccolo su un sedile sfondato, sollevando uno sbuffo di blu e di verde. Inizia il mio viaggio. Se la mia casa ora è l’arcobaleno, devo trovarlo e capire da dove proviene.

 

[disegno di Silvana Sala]