Martina Ini - Lo Straniero

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-Che mal di testa atroce-pensai intento nello svegliarmi e alzarmi di malavoglia da quello che mia mente. Ieri sera ero andato alla festa della mia attuale azienda per cui lavoro: una misera struttura in cemento a quattro piani di cui i primi erano occupati da degli squallidi e insulsi uffici. I miei colleghi, se così posso definirli, erano mediocri e banali tanto quanto lo erano le loro vite: classici padri o madri di famiglia che si spaccavano la schiena tutti i giorni al fine di portare a casa la pagnotta e offrire una “vita felice e spensierata”ai figli.

Quella sera, il nostro capo aveva deciso (in uno sprazzo di sua generosità improvvisa) di organizzare una festa,per celebrare l'avvenire delle ferie. Ricordo ancora le quantità spropositate di cibo accumulate sulle scrivanie, fiumi di alcol che fuoriuscivano dalle bottiglie di chissà quali spumanti scadenti appena comprati in un supermercato della zona, e gli uomini che                             doveva essere stato prima il mio letto. Ma cosa era successo ieri sera?Ah si ora ricordo. Mentre mi dirigevo in cucina, un violento flusso di immagini,suoni e voci occupò letteralmente la non facevano altro che rimorchiare le colleghe. L'unico momento in cui potei affermare di essermi divertito fu quando rividi lei, Charlotte. Era stata una mia ex collega durante il periodo dello stage universitario, venne licenziata perché il capo scoprì la nostra relazione, chiaramente una clausola aziendale vietata dal medesimo contratto di lavoro.

Quella sera era davvero stupenda: la sua chioma dorata era raccolta in una treccia, il suo fisico snello e asciutto era avvolto da un vestitino rosso sgargiante; su un'altra ragazza sarebbe risultato volgare ma su di lei era perfetto,quasi come se fosse stato realizzato su misura. Il suo viso era radioso, valorizzato solo da un po' di mascara e un tocco di lucidalabbra e ai piedi portava dei tacchi non esageratamente alti del medesimo coloro del vestito.

Devo essere sincero, avrei voluto passare tutta la notte con lei ma finii solo per bere litri e litri di spumante e tornarmene a casa solo. Non avevo propria voglia di compagnia quel giorno.

Mentre il caffè stava salendo all'interno della moka, presi un'aspirina e nel frattempo ammirai la pioggia che batteva contro i vetri. Gocce infinite si scagliavano sul paesaggio come proiettili,sembrava quasi volessero far sciogliere i colori della città come se fosse un quadro di acquarelli.

Pioveva anche durante il funerale. L'anno scorso,morto mio padre,dovetti occuparmi dei preparativi del funerale,sebbene non avessi tutta questa gran volontà. Quel giorno diluviava a dirotto,per fortuna mia madre aveva scelto di far cremare il corpo per cui ci ritrovammo nella cappella del Père-Lachaise ad assistere al rito. Francamente, non mi sforzai nemmeno nel vestirmi in maniera elegante. Perché fare bella figura per un morto?Ma soprattutto perché farlo per un uomo che non si è mai comportato da padre e da marito?Avevo optato per una semplice giacca nera con camicia abbinata,jeans sbiaditi e delle scarpe scure. Mia madre, a malincuore, mi lasciò prima del dovuto a causa di un brutto male. Ricordo ancora il prete che pronunciava una litania sull'ascesa di Mario Curatti alla Casa del Signore e l'odore nauseante dell'incenso che mi pervadeva le narici,provocandomi un senso di nausea. Mario Curatti era un immigrato italiano. Si trasferì dalla città di Bologna per continuare nella sua attività di calzolaio. Durante il periodo di una calda e soleggiata estate parigina, conobbe mia madre la quale si innamorò delle maniere gentili e amorevoli di quello stupendo straniero. Sfortunatamente, la vita non è una favola e ben presto mia madre se ne rese conto;mio padre non si presentò mai a nessuno degli eventi più importanti della mia vita. Si perse ogni mio compleanno, festeggiamenti di diploma e laurea e, dolcis in fundo, tradì mia madre con molte donne.

Ridendo, però, pensai che nonostante io avessi speso tutte le mie energie ad odiarlo alla fine mi ero trasformato nel mostro in cui era stato pure lui. Avevo avuto delle amanti, ma con Charlotte era diverso. È vero, lei voleva approfondire il nostro rapporto ma io non me la sono mai sentita di legarmi completamente a lei. Forse perché avevo semplicemente paura di farla soffrire come fece mio padre con mia madre. O forse no?

Dopo la cerimonia, Charlotte si era presentata sotto ad un enorme ombrello nero che si intonava alla perfezione con il lungo vestito che sbucava da sotto l'impermeabile chiaro. I capelli erano raccolti in uno chignon. Sembrava un angelo dalle fattezze umane. Venne verso di me tenendo in una mano l'ombrello e dall'altra un pacchetto.

Con tono sarcastico le dissi: “Ah questo è un bel modo per celebrare la dipartita di mio padre”

“Non scherzare, ti ho fatto questo regalo perché so che potrebbe aiutarti.”

“Mi spiace. Non sono dell'umore per ringraziare un atto di compassione.” dissi in maniera sincera

“Non ti preoccupare”affermò avvicinandosi sempre di più a me. Si mise in punta di piedi, mi accarezzò una guancia e mi posò un lieve bacio sulle labbra. Adoravo il suo profumo fruttato,niente a che vedere con l'incenso di prima.

“Vieni a casa con me. Ho davvero bisogno di avere qualcuno accanto adesso”

     “Jean...non lo so”

“Ti prego” e guardandomi con i suoi grandi occhi azzurri, annuì esclamando solamente “va bene”.

Arrivati alla mia macchina, salimmo sopra di essa e in pochi secondi ci ritrovammo a sfrecciare sull'asfalto come ad una gara di auto da corsa. Giunti nel mio appartamento,non riuscii più a controllare i miei istinti. Avevo bisogno di sentire il suo calore.La presi per un polso e la trascinai in camera mia, le sciolsi lo chignon e,mentre la baciavo come un ossesso, le tolsi l'impermeabile e il vestito. Se ripenso ancora a quell'episodio, mi sembra di risentire i suoi gemiti. Lasciandola sul letto inerme e senza vestita, potei ammirare la perfezione del suo corpo: i seni non troppo grandi erano in armonia con il resto della sua fisicità minuta e il candore della sua carnagione la faceva apparire ancora più eterea. Mi sentivo quasi in colpa nel profanare quella splendida creatura ma, fu lei a farmi accogliere tra le sue braccia. Facemmo l'amore per tutto il pomeriggio; sentii Charlotte raccogliere da terra il pacchetto che prima, nel momento della piena passione, avevo scaraventato sul pavimento della camera.

“Non vuoi aprirlo?”mi domandò curiosa

“Certo,se mi dici che possa aiutarmi”strappai la carta e con mio stupore mi accorsi che era Lo Straniero di Albert Camus.

“Incredibile, tu si che mi conosci bene”dissi rivolgendomi a Charlotte sorridendole

“Forse,potrà farti riflettere.”

Riflettere. Riflettere su cosa?Sul fatto che la mia vita è patetica tanto quanto quella di qualsiasi altro essere umano?Mentre stavo seduto al tavolo a sorseggiare il caffè, avvicinai il libro che avevo lasciato sul tavolo davanti a me. L'avevo finito ormai. Charlotte aveva ragione, dovevo riflettere su me stesso e,grazie alla dettagliata descrizione di Camus, capii che io e Meursault non eravamo poi così diversi. Ciò che mi colpì di più, fu l'ultimo capitolo in particolare l'ultima frase. Presi il libro e lo aprii all'ultima pagina, avevo sottolineato la frase affinché fungesse da promemoria:”Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio”. Nonostante sapeva che sarebbe morto, Meursalt rimaneva sempre indifferente alla possibile reazione della gente e, anzi, sperava che venisse accolto con il loro odio. Probabilmente era su questo che Charlotte voleva che riflettessi, ma come si può cambiare un pensiero?Certamente, se mi fossi deciso ad auto-psicanalizzarmi ma sinceramente non ne avevo intenzione. Non mi importava come Meursalt se Charlotte si fosse improvvisamente innamorata di qualcun altro o se ad esempio dopo quella giornata piovosa sarebbe tornato il sole.

Richiusi il libro e, finendo di sorseggiare la bevanda calda e scura, mi limitai ad osservare la pioggia che cadeva. In maniera del tutto indifferente.