Lucciole e lanterne

[disegno di Silvana Sala] [disegno di Silvana Sala]

Il pozzo è buio, da qualche giorno. Durante queste due settimane, da quando l’ubriacone mi ha lasciato qui, ho cercato di risolvere i misteri legati alle luci colorate.

Non passa moltissima gente, in questo piccolo angolo medievale, ma quando qualcuno si trova davanti al pozzo non manca mai di gettare una moneta nell’acqua, spesso lanciandola dietro le proprie spalle.

Mi domando come sia possibile che questi sciocchi sprechino così quelle monete lucenti: non tanto per il loro valore di scambio (li ho visti barattare quelle cose con il cibo), ma per la luce raggiante e colorata che le impregna una frazione di tempo prima del tiro. Questa noncuranza mi ha fatto prendere definitivamente atto del fatto che loro non vedono le luci.

Ho capito che i passanti esprimono un desiderio prima di compiere il gesto: che siano quindi le fantasie a dipingere le persone, l’aria attorno a loro e le monetine?

Mi sembra un’ipotesi valida, tuttavia non mi ha mai convinto del tutto. La mia padrona umana, Maria, era colorata di rosa, l’aria attorno a lei ricordava il naso umido della mia mamma e dei miei fratellini, eppure non l’ho mai vista esprimere desideri. Inoltre credo che, anche se ne avesse avuti, non le avrebbero dato un unico colore, ma moltissime sfumature.

I dubbi sulla la mia teoria circa la connessione tra colore e desideri ha vacillato anche guardando il viavai di persone nella piazzetta: è vero, nel momento in cui il desiderio viene espresso, allora il soldino si tinge. Si tinge, sì, ma di una tinta diversa da quella che ammanta il suo proprietario.

Magari nel pozzo veniva gettata una moneta blu, ma la persona emanava una luce arancione.

No, non sono mai stato del tutto convinto, ma non ho mai nemmeno avuto altre ipotesi da considerare. Per questo ho deciso di restare qui, davanti al pozzo: voglio capire. Senza contare che molte gente viene a mangiare un panino, qui, lasciando cadere pezzetti di tonno, pane e prosciutto che, senza non poca fatica, sono sempre riuscito ad accaparrarmi: maledetti piccioni, maledetti passerotti! La guerra per il cibo è quotidiana, ma qualche briciola sono sempre riuscito a rubarla.

Sì, da giorni ormai ho fatto di questo angolo di mondo rivestito di mattoni la mia casa, eppure sento che la mia permanenza qui non ha senso.

Questa mattina, infatti, alcune persone sono venute con un camioncino e delle reti a trafficare nelle acque del pozzo. Era ancora buio quando sono arrivati: hanno pescato tutte le monete. Sentendoli parlare ho capito che non si trattava di ladri, bensì di persone autorizzate che ciclicamente vengono a cambiare l’acqua, per poi portare i soldi all’associazione che si occupa della manutenzione, delle aiuole e della chiesetta antica, il cui piccolo portico mi sta offrendo rifugio.

E così ora il pozzetto è buio e non ci sono più luci colorate. Non solo: un’orrenda rete arancione ora circonda il muretto, rendendolo inagibile. La gente non potrà lanciare i suoi soldi, ora, almeno finché non saranno finiti i lavori di restauro.

Mi sento triste e scoraggiato. Sembra che dovrò trovare un altro luogo per continuare la mia scoperta sui misteri delle luci colorate. Qui non restano che piccioni e passerotti, ma non mi piacciono, nemmeno da mangiare, per ora: sono troppo veloci e non riesco ad acchiapparli. Forse quando avrò qualche mese in più riuscirò a catturarli, e allora la mia vendetta per ogni boccone rubato si concretizzerà.

*

Mi lecco i baffi, pronto a balzare. Allontanandomi dalla chiesetta ho deciso: resto il più possibile lontano dalle case. Gli umani non mi hanno dato mai nulla di buono, preferisco stare solo, ma non troppo lontano dai bidoni della spazzatura dove posso rovistare per cercare avanzi di cibo.

Tuttavia, quando riesco, mi piace esercitarmi nell’arte della caccia: la vendetta verso i volatili deve avverarsi il più presto possibile.

Tendo i muscoli e poi salto. Preso! Le ali sbattono forte, la mia preda cerca di liberarsi, ma è troppo tardi! Finalmente sei mio!

In un boccone ingoio il moscone, fingendo che si tratti di quell’orribile colombo che mi ha rubato una succulenta briciolona di pane e maionese. Prima o poi…

Al momento mi accontento di catturare insetti e farfalle, che sono alla portata di un gattino di qualche mese, ma ancora non sono sazio. Mi incammino, alla ricerca del bidone della spazzatura più vicino, mentre il sole cala, ma un luccichio sospetto attira la mia attenzione: luci. Luci simili a quelle che lampeggiano in alcune case, come in quella di Maria. Luci colorate e intermittenti, con la differenza che queste non sono colorate, solo intermittenti e svolazzanti.

Dopo i luccichii, le aure e i colori delle monete, possibile che esistano altri tipo di bagliori e colori in cui ancora non mi ero imbattuto? Il mistero si infittisce, insieme alla mia voglia di fare chiarezza. Mi sembra assurdo che qualcosa di così luminoso sia così oscuro e misterioso.

Decido di rimandare la ricerca del bidone, preferendo avvicinarmi al luogo dove i bagliori bianchi e gialli sfavillano senza pace. Cosa ci sarà in quell’erba alta?

«Ehi, ma tu sei tenerissimo!» Una mano mi afferra, facendomi sparire tutta l’aria dai polmoni. Non appena mi riprendo soffio con tutta la grinta che ho. «Oh, ma cosa vuoi fare tu, sei delizioso, un batuffolo di pelo che non farebbe paura nemmeno a un passerotto!»

Grazie per averlo sottolineato.

Il suo accento è strano. La scruto, mentre la sua bocca coperta di denso rossetto mi riempie di sgraditissimi baci: è una ragazza bionda come il sole, magra e molto truccata. Ha le unghie lunghe e laccate e una gonna davvero molto, molto, molto corta. Le gambe sono fasciate da sottoli calze di nylon smagliate.

«Vieni con me, ti porto via, scappiamo noi poveri emarginati!» afferma infilandomi nella sua borsa a tracolla. Vorrei fuggire, ma la scatoletta di carne in scatola che apre nella borsetta solo per me mi fa capire che posso anche fingere di voler andare con lei.

Fingere, certo: non ho più alcuna intenzione di fidarmi di voi. Sono rimasto deluso troppe volte.

«Mangia, mangia, chi se ne importa se sbrodoli nella borsa. Non vedo l’ora di buttarla e lasciarmi tutto questo schifo alle spalle.» mi dice. Sembra non parlare con nessuno da moltissimo tempo, perché continua a blaterare, mentre io vengo sballottato in questa sacca colma di scatolette di cibo chiuse. «Basta, torno a casa, e tu vieni con me. Basta essere trattata come un oggetto. Non vedo l’ora di trovare Mariana, mi aspetta stanotte allo scalo dei camion. Non so cosa spera di fare, là. Magari vorrà caricare qualche camionista e farsi ancora qualche soldo, ma io non ci penso più. Mi sono stufata di questa vita. Non mi toccherà mai più nessuno, se non per amore! Maledetto il giorno che sono venuta in Italia!» si lamenta.

La osservo, mentre gli occhi mi si chiudono: la pancia piena fa il suo effetto, e l’aura luminosa della ragazza, luminosa come le faville che ho visto nel prato, mi rassicura, aiutandomi ad addormentarmi.

*

La ragazza si pettina, chiusa nel bagno pubblico di questo orribile posto di cemento. I suoi colori cambiano: fuori è buio e pieno di enormi camion silenti e addormentati.

«Ma dove diavolo si è cacciata quella disperata... Spero che non se ne sia andata da sola con il suo eroe, mi ha promesso che mi avrebbe portato via, a casa!»

Le lacrime le riempiono gli occhi, mentre con cautela sporge la testa all’esterno, cercando questa sua amica, Mariana.

Finalmente un bisbiglio attira la nostra attenzione. Per l’agitazione la borsa viene sbatacchiata e mi faccio male contro le scatolette di latta.

«Fai piano, stupida!» la insulta Mariana, avvicinandosi correndo cautamente. Parla anche lei con uno strano accento, ma differente dall’altra ragazza: sembra che questa lingua a loro straniera permetta di parlarsi, differentemente dai loro idiomi nativi.

La giovane è vestita in maniera più sobria, indossa una tuta da ginnastica nera e scarpe da tennis. I suoi occhi, anche nella notte, sono di un blu sfavillante che contrastano con la chioma scura, così diversa da quella chiara della mia rapitrice triste. L’aura, invece, è la medesima: simile alla luce di una lampadina, come quei bagliori di poco fa, nel prato.

«Oh, eccoti, Mariana! Temevo mi avessi lasciata qui! »

«No, ma che dici? Tieni, ti ho portato dei vestiti, togliti quella robaccia, lucciola che non sei altro, o daremo nell’occhio!» Lucciola? Mi piace come nome, non sapevo ancora come la bionda si chiamasse. «Dobbiamo muoverci, Vasile partirà tra mezzora. Non vedo l’ora di partire e ricominciare! Sono stata fortunata a trovare lui. Mi ama davvero, mi poterà via da questo lavoro orrendo.»

Lucciola la guarda grata.

«E io sono fortunata ad avere un’amica come te… So che per lui è un rischio portare te via da qui, rischio che raddoppia per colpa mia...» piange, ma Mariana la abbraccia, zittendola.

«Cambiati e andiamo!» Miagolo, offeso: inizia a mancarmi l’aria! «Ma cosa... Che hai, lì dentro?»

Lucciola arrossisce, chiudendosi assieme a me nel bagno per infilarsi la tuta, identica a quella di Mariana.

«Nulla, solo un micetto!» glissa, ma la sua amica si agita.

«Accidenti a te e ai tuoi animali! Vasile non vorrà mai un gattino sul suo camion, non ci fermeremo per delle ore, devi lasciarlo qui!»

La giovane mi stringe, appoggiandosi alla porta. Poi si fa coraggio ed esce.

«Lo voglio portare in Russia.»

Un camion lampeggia nella nostra direzione, accecandoci.

«Ti prego, ci sta chiamando! Dobbiamo andare! Sii ragionevole, è un viaggio lungo, patirà! Lascialo qui, se la caverà, è solo un gatto!» Il camion lampeggia ancora, mentre Lucciola piange. «Ti prego. Partirà senza di te, ho rischiato tanto per convincerlo a portarti con noi!» la prega ancora l’altra.

Alla fine Lucciola sembra convincersi, ma la sua aura si spegne un pochino.

«Permettimi di lasciarlo in un posto lontano dai camion, almeno.» Mariana annuisce, intimandola di sbrigarsi. La bionda mi porta lontano dai camion, verso i prati. Ecco di nuovo le luci bianche e gialle! Ce ne sono tantissime, sono bellissime.

«Perdonami se ti ho fatto allontanare da dove ti ho trovato. Speravo di portarti davvero con me, ma Vasile non vuole. Mi spiace, ma guarda, ti lascio in un bel posto. Vedi, è pieno di lucciole! Che strano che ce ne siano così tante, con il freddo alle porte! Forse vuol dire che c’è speranza?» sembra chiedersi, indicandomi la distesa di erba e di luci.

Lucciole? Quindi lei si chiama come i brillii nel prato? È un nome che le si addice, visto il colore che li accomuna. Mi stupisco del fatto che anche lei possa vedere quei bagliori splendidi. Allora non sono il solo! Non lasciarmi, Lucciola! Ho bisogno di te per capire cosa sono queste luci!

Miagolo, lei si asciuga una lacrima.

«Perdonami, penso solo a me stessa, sono un’egoista! Scusami, gattino!» mi dice, correndo via.

Rimango paralizzato, vedendola correre sul camion, che parte e sparisce, inghiottito nella notte. Amica mia, spero che tu abbia ragione e che queste luci siano una speranza, per te e per me.

Tristemente provo a sfiorare una lucciola, ma la mia zampa la travolge.

È solo un insetto.

Disegno di Silvana Sala