Lisa Cammelli - Di cosa parliamo quando parliamo d'amore

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Devo chiuderla in un cassetto quella dannata cornice.

Quella serpe di mia moglie continua a fissarmi attraverso il vetro polveroso.

Ah! Mia moglie!

Me la ricordo bellissima davanti all’altare, fasciata in un abito bianco pieno di pizzo e con un diadema tra i capelli. Aveva un sorriso radioso e le brillavano gli occhi mentre quasi urlava "lo voglio!".

Due anni dopo mi lanciava i piatti, quella pazza.

Io che le servivo la colazione a letto, la portavo fuori tutte le sere, le lasciavo dei fiori sul tavolo prima di andare al lavoro.

Io che la riempivo di attenzioni e complimenti.

Mi domando ancora perché l'abbia sposata, avrei potuto avere qualsiasi donna, perché sì, modestamente ero proprio un gran bel ragazzo, diciamocelo.

Eppure ho scelto lei, una ragazzetta bassa, magra magra, che sembrava quasi una bambina.

Quando la vidi la prima volta ballava in mezzo alla pista, da sola, e aveva una tale energia che contagiava anche il più pigro dei ballerini. Indossava un vestitino azzurro con la gonna un po' svasata, che quando ballava si gonfiava e svolazzava di qua e di là. La guardavi dimenarsi e le gambe ti partivano da sole. Che grinta che aveva!

Chissà che fine ha fatto quella ragazzetta svitata; quando, di preciso, si è trasformata in una moglie acida e prepotente. Non le stava mai bene nulla, ogni scusa era buona per aggredirmi.

Come quel giorno, lo ricordo bene.

Tornai a casa con le buste della spesa convinto di averle evitato l'incombenza per quella settimana, e lei iniziò a gridarmi contro, a darmi dell'irresponsabile, del buono a nulla.

Ma dico io, si tratta così un marito premuroso?

E pensare che volevo portarla fuori a cena, quella sera.

Invece finimmo per litigare come al solito e mi ritrovai di nuovo a dormire sul divano.

“Oh, ma che hai da guardare ancora?

Sto parlando con te, sì, mia cara Giuliana.

Puoi anche smetterla di fissarmi a quel modo, prima o poi ti ci butterò davvero in quel cassetto a marcire, tu e la tua bella cornice d'argento. Ce l'hanno regalata per le nozze, te lo ricordi?”.

Mi rendo conto che sto parlando a una fotografia, forse è il caso che me ne vada a letto.

"Buonanotte Giuliana, dormi bene".

 

"Buonanotte Pietro, abbi cura di te".

Chissà perché ancora do la buonanotte a quel disgraziato, mi ha fatto passare due anni d'inferno.

Eppure la sua foto è lì, vicino al portagioie.

Non so nemmeno dove vive, adesso.

Avrà preso in affitto un buco di appartamento; immagino sia spoglio e triste, perché lui figuriamoci se l'ha arredato. Montare delle tende, prendere dei soprammobili, o anche solo dei mobili che non siano necessari. E le sue necessità sono davvero poche.

Perché lui ormai è fatto così, non si cura più di niente, sopravvive.

Eppure me lo ricordo il giorno in cui l'ho conosciuto, così stravagante e con il ciuffo ribelle.

Era un biondino niente male che si credeva un gran playboy.

Ma in verità le ragazze lo sfruttavano perché era il più grande del gruppo, l'unico con la macchina, e faceva sempre regali a quelle che gli piacevano. Così loro si facevano corteggiare per un po', sbattevano le ciglia e ottenevano quello che volevano, si facevano portare in giro per negozi...

Era proprio un gran fesso, il mio Pietro.

In fondo me ne sono innamorata proprio per la sua ingenuità, per la sua purezza di sentimenti.

L'ho sposato convinta che sarebbe stato per sempre.

Eravamo così felici, ridevamo un sacco, di ogni cosa.

Poi ha iniziato a bere, e non ho mai capito perché.

Rientrava la sera sempre ubriaco, non si reggeva in piedi. A volte tornava direttamente al mattino, entrava in camera con un vassoio e un bicchiere di vino, biascicava un "buongiorno tesoro" e si aspettava che gradissi il suo gesto.

E vogliamo parlare dei gambi di sedano che mi lasciava sul tavolo da pranzo? Secondo lui erano fiori bellissimi! Certo, dopo il primo fiasco gli saranno sembrate rose rosse.

E con quei gesti pretendeva di portarmi fuori tutte le sere.

Peccato che andare fuori fosse andare al bar a giocare a carte con gli amici, tutte le sere.

Tutti ubriachi.

Quando rientrava e, ubriaco, mi lusingava diceva che ero bella come una nuvola dopo il sole, che profumavo come un fiore di plastica, che gli ricordavo sempre quante donne aveva perso per scegliere me.

Ah! ma erano gran complimenti, secondo lui!

Nei pochi momenti in cui era sobrio mica se le ricordava le cose che mi diceva. Sarà ancora convinto di essere stato un marito perfetto e un galantuomo! Un giorno era tornato a casa con le buste della spesa, non si reggeva nemmeno in piedi tanto era ubriaco. Le aveva appoggiate sul tavolo, tutto fiero come se avesse compiuto chissà quale impresa. Peccato che avesse comprato solo vino. E secondo lui era la spesa per la settimana.

Chissà perché mi ostino a tenere la sua foto in bella mostra, perché lo saluto e gli auguro la buonanotte tutte le sere. Per quello che me ne frega potrebbe pure affogarci, nel vino!

Quel disgraziato!

“Hai bevuto anche stasera, Pietro? Eh?”.

 

Ho bevuto troppo, anche stasera.

L’emicrania non mi abbandona da mesi eppure continuo a bere.

Non ricordo nemmeno più quando ho iniziato, se è stato ieri o un anno fa.

Le chiesi quando avremmo pensato seriamente a dei bambini, quando avremmo sentito anche noi il rumore di piedini che correvano per casa.

Non mi rispose, o forse sì.

Comunque fu chiaro che non lo avrei mai sentito quel rumore.

È lì che ho iniziato a bere? È in quel momento che è andato tutto a rotoli?

Non lo so.

Io li avrei tanto voluti dei bambini, mi manca ancora oggi non avere qualcuno a cui togliere le ruotine alla bici perché si senta grande, a cui correggere i compiti la sera. Qualcuno che allieti i Natali recitando una piccola poesia, in piedi su una sedia e col vestito nuovo. Qualcuno a cui provare aspiegare i perché della vita, qualcuno che me ne insegni il valore con la sua sola presenza.

Non lo so che è successo, davvero.

Mi sembra di essermi addormentato una sera, felice e con una moglie magnifica accanto, e di essermi svegliato il giorno dopo in un mondo parallelo fatto di oblio e tristezza.

“Ma che ne sai tu, Giuliana! Che ne sai, eh? A te non importava niente di queste cose, tu stavi bene così e mocciosi tra i piedi non ne volevi, ecco cosa”.

Sento salire la solita rabbia, incontenibile, la mia unica compagna da mesi. E sto già riempiendo il bicchiere, ho bisogno di dimenticare tutto questo dolore.

Dov'è finita la mia ragazzina scatenata?

Dov'è la donna che la domenica mi preparava l'arrosto e mi prendeva in giro perché se provavo a cucinarlo io lo bruciavo sempre?

“Avevi ragione sai, Giuliana? Sono negato in cucina, lo sono sempre stato.

Pensa che ieri ho voluto preparare una frittata, una semplice frittata Giuliana, mica un piatto da chef! Quando ho provato a girarla è successo un macello”. Oggi pulendo il pavimento ne ho trovato un pezzo sotto il lavabo. È finita ovunque, probabilmente in qualche angolo della cucina alcuni pezzi faranno la muffa e li ritroverò chissà quando.

“E ti ricordi quanto facevo schifo a sistemare la biancheria? Ero davvero pessimo, e lo sono ancora.

Non ti sorprenderebbe affatto saperlo”.

Nel mio armadio c'è una collezione di camice bruciate, pantaloni macchiati e calzini spaiati.

Butto giù un altro sorso e sento la testa che inizia a girare.

“La sai una cosa, Giuliana? Come casalingo faccio proprio schifo, però come marito non ero affatto male e tu di lasciarmi così non dovevi farlo.

Non me lo meritavo”.

 

“Chissà se i tuoi sbagli li hai mai capiti, Pietro.

Se ti sei mai reso conto di quanto mi ferivano le tue parole, le tue nottate fuori casa, il tuo silenzio invalicabile come un muro, da quando mi ero ammalata.

Avevi preferito il vino a me, e quando ti comunicai che le cure sarebbero state molto pesanti scrollasti le spalle.

In quel momento ti odiai, riuscisti a farmi sentire sola come non mi ero mai sentita in vita mia.

L'uomo che amavo mi aveva abbandonata pur essendo fisicamente accanto a me.

Lo hai fatto di proposito? Ero diventata un peso per te, Pietro?”.

Non lo saprò mai, probabilmente.

“Ho dovuto affrontare da sola esami invasivi e terapie che mi hanno quasi distrutta, mentre tu uscivi a bere e te ne fregavi. Come se non fosse tua moglie quella malata, quella che rischiava di morire.

Ti ho urlato in faccia il mio dolore, molte volte, liti furibonde, ma il giorno dopo non ricordavi niente.

Ti comportavi come se nulla fosse successo. Ho avuto per molto tempo la sensazione di vivere in una farsa, come se fossimo gli attori della vita di altre persone.

Per questo bevevi, forse, per dimenticare una vita che non ti piaceva.

Eppure eravamo stati felici, ci eravamo amati tantissimo ed eri stato per me l'amico più prezioso, il compagno ideale, l'amante appassionato.

Ci capivamo con uno sguardo, te lo ricordi?

A volte notavamo qualcosa di buffo e ci scambiavamo un'occhiata complice, prima di scoppiare a ridere come ragazzini. Quante volte ti ho rimproverato bonariamente per il tuo modo confusionario di sistemare i vestiti nell'armadio! Ed eri così distratto mentre stiravi, ma ci ridevamo sopra.

Abbiamo riso tanto io e te, anche guardandoci attraverso i bordi bruciacchiati dei buchi che provocavi nelle camice.

Poi hai deciso di dimenticarmi, non lo so perché.

Spero tu ci sia riuscito, alla fine”.

 

“Non credo riuscirò mai a farmene una ragione, sai Giuliana?

Continuo a passare le notti fissando il soffitto chiedendomi cosa sia successo.

Quando abbiamo smesso di essere complici?”.

Non me lo ricordo.

Mi sembra tutto così assurdo, a volte.

“A un certo punto sei diventata fredda, distante. Hai iniziato a odiarmi da un giorno all'altro.

Cos'è successo in quei giorni, Giuliana?

Perché qualcosa dev'essere pur successo!”.

Ultimamente mi sono reso conto di avere dei vuoti di memoria, è come se avessi completamente rimosso parti della mia vita.

Alcune giornate le ricordo a metà, poi c'è il buio.

Mi succede ancora, anche adesso, per esempio. Per quanto mi sforzi non riesco a ricordare cosa ho fatto ieri sera dopo il lavoro. So di essere arrivato a casa, di essermi buttato sul divano con un bicchiere di buon vino e poi c'è il buio. Forse mi sono addormentato. Dev'essere andata così.

“Però di quel periodo ricordo la tua assenza. Non eri quasi mai in casa e quando tornavi eri sempre molto nervosa e con l'aria stanca. Non avevi l'aspetto che hanno le donne quando sono innamorate, e non dico per forza di me. Ci avevo pensato tu potessi avere un amante, sai? Ma eri troppo trascurata, arrabbiata, spenta. Non eri felice come chi ha trovato un nuovo amore.

E allora cos'era? Cosa ti ha portata via da me?”.

Oggi sono andato a fare la spesa e la cassiera ha imbustato le mie cose guardandomi in modo strano, sembrava triste. Credo di farle pena.

È quasi Natale, da quello che compro avrà capito che sono completamente solo, anche in questi giorni di festa. “E tu che farai a Natale? Andrai da tua madre, forse. O da tua sorella, così potrai giocare con i tuoi nipotini”.

Io non ho nemmeno i figli degli altri da coccolare, nessun bambino a cui portare regali.

 

Impacchetto i giocattoli per i miei nipotini pensando a quanto sarà doloroso questo Natale. Ho rifiutato l'invito di mia sorella per il pranzo, me ne starò a casa da sola.

In questo periodo sono così fragile che potrei mettermi a piangere davanti a tutti e non voglio rovinare le feste ai miei cari.

Ho fatto gli esami di controllo, quelli di routine per vedere se procede tutto bene.

Pare di sì.

Il problema è che non sono felice come dovrei di questa speranza di vita che pare concretizzarsi.

Mi sento svuotata, come se mi avessero strappato il cuore dal petto a mani nude.

Ho un enorme vuoto dentro e molti rimpianti.

“Chissà cosa starai facendo tu, Pietro. Spero tu non stia dormendo ubriaco sul divano, come sempre.

Io rischio di morire e tu vivi come se già lo fossi, morto”.

Vorrei tanto avere vicino l'uomo che ho sposato, in questo momento sarebbe fondamentale.

Mi sento così sola, invece.

“Avrei tanto voluto dei bambini, sai Pietro? Li desideravo così tanto...

Invece dentro me stava crescendo questo male e tu dopo averlo saputo sei scomparso.

Finché una sera, ubriaco, mentre io a malapena riuscivo a reggermi in piedi hai avuto il coraggio di chiedermi quando mi sarei decisa a darti dei figli. Io stavo morendo nella tua completa indifferenza! Perché? Perché tanta crudeltà, Pietro?

Certi giorni mi trascinavo fuori dal letto e credevo di impazzire per il dolore, eppure tu mi hai lasciata sola. Perché sei stato tanto cattivo con me? Perché mi hai odiato così tanto da abbandonarmi a me stessa mentre stavo morendo? Lo avevi capito, vero, che stavo morendo? Ancora oggi, nonostante le terapie sembrino funzionare, io potrei morire da un momento all'altro.

Quale uomo si comporta così con la donna che dice di amare? Perché lo hai fatto, Pietro?

Ieri la cassiera del mini-market mi ha detto che sei passato, come ogni giorno, a comprare pasta, un sugo pronto e due bottiglie di vino. Compri solo queste cose, tutti i giorni.

Me l'ha detto con l'aria mortificata, poverina, come fosse colpa sua se ti sei ridotto così.

Avremmo potuto essere felici, invecchiare insieme, invece ti sei perso chissà dove. Chissà quando. Non lo ricordo neanche il momento preciso, quand'è che mi hai sostituita col vino.

Pensare che quando ti ho conosciuto, in quel locale, stavi reggendo un bicchiere con del succo di frutta alla pera. Ricordo di averti preso in giro per questo”.

Vado a letto, non so nemmeno perché continuo a farmi queste domande che rinnovano tutto il mio dolore.

“Buonanotte Pietro, dormi bene”.

 

Mi sono svegliato sul divano, con un braccio che penzolava e la schiena a pezzi. Il bicchiere di vetro, vuoto, è rotolato a terra con una scia di goccioline rosse sul pavimento color crema.

Sento la testa pesante, pulsa e ho la nausea.

Mi trascino in bagno barcollando e appoggiandomi ora al muro, ora a uno dei pochi mobili che ho messo in casa.

Mi sciacquo la faccia e l'immagine che mi rimanda lo specchio quasi mi spaventa.

Ma quanti anni ho?

Gli occhi sono segnati da rughe e da profonde occhiaie bluastre, la pelle ha un colorito giallognolo, sembro malato. I capelli sono troppo lunghi e crespi.

Non faccio la barba da giorni, non ricordo quanti.

Sono davvero io l'uomo nello specchio? Quando sono diventato così?

“Tu lo sai, Giuliana? Tu mi avrai visto cambiare, devi esserti accorta di quando è successo. Voi donne vi accorgete sempre di tutto. Io non ricordo più nemmeno che taglio di capelli avevi quando mi hai sbattuto la porta di casa, la nostra casa, in faccia.

Ricordo che mi hai gridato di sparire, di non farmi più vedere. Hai gridato cose cattive, cose che non mi merito. Hai detto che sono un maledetto egoista, una persona arida e senza cuore.

Come hai potuto dire quelle cose? Ti ho sempre amata così tanto, cercavo di farti felice.

Sei stata tu ad allontanarti, ad alzare un muro tra noi”.

Esco dal bagno e mi guardo intorno.

Com'è vuota questa casa, com'è spoglia, triste.

Vado in camera e mi siedo sul letto, niente di più che un materasso scomodo buttato su una rete a doghe un po' traballante. Lo stretto necessario. “La tua fotografia, quella cornice d'argento, è l'unico oggetto carino della casa, sembra quasi fuori luogo.

Dove sei, Giuliana?”.

Questa casa mi opprime, devo uscire. Prima però torno allo specchio, l'immagine che mi rimanda è davvero terribile. Faccio la barba e pettino i capelli. Ritrovo quasi il mio ciuffo sbarazzino di qualche anno fa. Ho il volto stanco, ma faccio un po' di prove e alla fine trovo un sorriso da indossare. Mi metto degli abiti puliti ed esco. Non lo so dove voglio andare, ma non posso rimanere chiuso in questa casa un minuto in più.

Dove sarei andato di lunedì pomeriggio se avessi vissuto ancora con mia moglie?

Mi incammino.

 

È iniziata un'altra settimana e non ho proprio voglia di affrontarla. Mi sento sola, stanca, depressa. A volte avrei voglia di perderla questa battaglia con la malattia.

Cosa mi rimane, in fondo? Ho perso già tutto.

Non sorrido da mesi. L'uomo che amavo è diventato una larva, è più morto di me e Dio solo sa che fine abbia fatto. Quando l'ho cacciato di casa, mesi fa, gli ho urlato in faccia tutta la mia rabbia e gli ho detto di sparire per sempre dalla mia vita. Non mi ha neanche chiesto perché.

È sparito, semplicemente.

Afferro la borsetta ed esco, oggi è il giorno dedicato alla spesa e come sempre parlerò un po' con la cassiera del mini-market mentre imbusto le mie cose. È un'abitudine che ho preso da sposata quella della spesa di lunedì, ci andavamo insieme io e Pietro, ogni lunedì pomeriggio dopo il lavoro, puntuali.

È una bella giornata e il negozio è qui vicino, quindi decido di fare una passeggiata e raggiungerlo a piedi, in fondo mi mancano poche cose e un paio di buste non sono un gran peso da trasportare.

Cammino pensando a quello che mi serve, non molto in effetti, ormai cucino pochissimo. A che serve cucinare per ore se non c'è nessuno ad apprezzare il mio impegno? La cucina è amore, è condivisione di un piacere.

Io sono sola.

Arrivo nel piazzale del market e prendo un carrello, con la coda dell'occhio vedo un tipo con un ciuffo biondo fermo vicino alla porta del negozio.

Per un attimo il mio cuore si ferma.

Che stupida che sono!

Dopo tutto quello che mi ha fatto passare mio marito ancora ho il batticuore se vedo uno sconosciuto che me lo ricorda… Non gli do nemmeno una seconda occhiata, mi sento una ragazzina stupida.

Mi avvio all'ingresso scuotendo la testa.

 

Sto per entrare nel mini-market quando la vedo scuotere la testa, con lo sguardo fisso sull'asfalto del piazzale. I suoi capelli ondeggiano e anche se le nascondono il viso so che è lei, ed è bellissima.

È un po' magra, forse. Ha l'aria stanca.

Rimango immobile mentre si avvicina, mi sento come un bambino che arriva impreparato al suo primo esame. Mi ricordo dei sorrisi che ho provato allo specchio e simulo velocemente quello che mi era venuto meglio. Lei però mi passa accanto senza guardarmi, senza alzare la testa, oltrepassa la porta e si perde tra i banchi del reparto frutta e verdura.

Il mio cuore sembra impazzito, batte velocissimo e sento un calore allo stomaco.

Mi si rimescola qualcosa, dentro.

Credevo di non averlo nemmeno più un cuore, o almeno credevo che fosse lì proprio come i miei mobili, solamente per necessità.

Devo entrare?

Oh Giuliana, quanto sei bella. Da quanto tempo non ti vedevo? Troppo.

Dovrei farmi coraggio ed avvicinarti, cercare un contatto visivo e vedere come reagisci, ma ho paura. Ci siamo lasciati male, malissimo per la verità.

Inizio a credere che sia stata colpa mia… Ormai è evidente perfino a me che ho un problema con l'alcool, che mi ubriaco troppo spesso e al risveglio non ricordo le cose. Magari mi hai detto cose importanti, cose di noi, e io le ho dimenticate. È andata così, Giuliana? Per questo sei diventata così fredda con me, all’improvviso? Vorrei entrare, ma temo di peggiorare la situazione.

Ma in fondo cos'è che può peggiorare?

Entro e inizio a camminare tra i reparti, sbircio tra gli scaffali, ti cerco tra la gente. Il negozio è piuttosto piccolo eppure sfuggi alla mia vista.

Forse te ne sei già andata, mi sono deciso troppo tardi e tu starai già uscendo.

 

Stavo controllando gli ingredienti dei carciofi marinati quando ti ho visto.

Controllavo che non ci fosse il peperoncino, perché a te non piace proprio il piccante, eh Pietro? Ci stavo sempre attenta e continuo a farlo in automatico, come una stupida.

Oggi però sei qui davvero, anche se ci ho messo qualche secondo a capire che quel tizio col ciuffo biondo non è solamente un tizio col ciuffo che ti somiglia, sei tu.

Oh Pietro, che aspetto brutto che hai!

Sei dimagrito e sembri invecchiato, nonostante la pettinatura da ragazzino.

Stai cercando qualcuno, si capisce da come ti guardi intorno che non sei lì per fare la spesa. Non hai preso nemmeno il carrello. Chi stai cercando? Sei qui con qualcuno e non riesci a trovarlo? Forse vi siete separati per cercare più velocemente quello che vi serve e adesso non riuscite a riunirvi. È una donna, Pietro?

Mi hai già dimenticata?

Questo pensiero mi fa malissimo e me ne vergogno, non dovrebbe proprio importarmi. Sono io che ti ho cacciato di casa, io che non tolleravo più il tuo atteggiamento, la tua cattiveria.

Mi hai fatta sentire abbandonata pur vivendo con me, sotto lo stesso tetto. Mi hai detto cose cattive, mi hai fatto sentire brutta e non amata. Indesiderata, come un ospite fastidioso. Hai affondato un coltello nel mio cuore quando mi hai parlato di figli in quel modo crudele.

No Pietro, non posso perdonarti, non voglio.

Spingo veloce il carrello e mi dirigo verso le casse. Infilo nelle buste le poche cose che ho preso e scappo via, senza fermarmi a chiacchierare con la cassiera. Lei rimane stupita e mi guarda con aria un po' preoccupata.

Ormai mi conosce, e di me sa tutto, dalla sua postazione di lavoro ha visto la mia vita andare in frantumi. Voglio andare a casa, ora, voglio preparare per me qualcosa di buono. Accendere un paio di candele profumate e mettere della musica, che suoni giusta per le mie corde in questo momento. C'è sempre una canzone che sembra scritta proprio per noi, una canzone che sembra capirci e che grida per noi il nostro dolore. Stasera la ascolterò. E la canterò, magari.

Questo Natale voglio regalarmi un po' di serenità, me lo devo, me lo merito.

“Buone feste, Pietro. Abbi cura di te”.