Maria Antonietta Potente - La schiuma dei giorni

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Aldo Zolla era il migliore amico di mio padre. Figlio del migliore amico di mio nonno si era trasferito a Torino per lavoro. Suo figlio, Bigio, aveva la mia età e, per tradizione, sarebbe dovuto diventare il mio migliore amico.
Bigio aveva le guance paffute e i denti sporgenti come uno scoiattolo, e il mio migliore amico non lo era affatto. Non lo vedevo per tutto l’anno, tranne quando la sua famiglia veniva a trovarci durante le feste di Natale e Pasqua, e alcuni giorni d’estate. Per l’occasione, in ricordo del tempo passato insieme, era solito chiedere a mia madre un mio giocattolo, che lei gli elargiva con larghi sorrisi.
L’ascia degli indiani d’America ad esempio, un po’ di costruzioni, a volte anche pezzi di puzzle. Avrebbe anche potuto prenderseli tutti, tanto, quando finivo di comporre quello che mi lasciava, l’immagine era quella di un bambino sdentato.
Io Bigio lo chiamavo “il Piantagrane” perché era solito fare dispetti.
Quando era nostro ospite usava le mie cose, specie la bicicletta: una Graziella rossa con cui scorrazzava per tutto il quartiere, importunando bambine e teppistelli di nota fama.
Io mi facevo i fatti miei e, malgrado ciò, delle sue scorribande rimaneva il mio nome, col quale si identificava giudiziosamente.
Più di una volta, quindi, fui omaggiato di ceffoni postumi da selvaggi avventori di quartiere, per fatti a me del tutto ignoti.
La Graziella rossa, infine, mi fu rubata mentre Bigio stava comprando caramelle gommose al negozio di Tina. Fu Diego Arpagone, il temibile abitante del rione, che per i sette anni successivi vidi impennare su quella bici sempre più piccola e veterana. Lui sempre più grosso e torvo.

Nonostante Bigio il Piantagrane, Diego Arpagone, i puzzle sdentati, i ceffoni e l’immagine della Graziella rossa, crebbi bene.
Ora posso dire di essermela cavata, ho un buon lavoro considerando i tempi, una discreta reputazione e sono ancora innamorato della figlia della lattaia. In realtà la signora lattaia non è propriamente una lattaia, ma un’energica donna che manda avanti un’azienda a gestione familiare.
Produce formaggi a pasta filata: i nodini, la spianata, le mozzarelle. Anche burrate, ricotta, provoloni. Milva, la figlia, è felice da sempre.
E io no. Lei di me non ne vuole proprio sapere, da sempre. La scorsa estate in occasione della festa del Santo Patrono l’ho chiamata in disparte.
«Milva» - le ho detto - «tu sei la mia vocazione».
«Ok Dino. Questa cosa me l’hai detta anche lo scorso anno, dietro la bancarella delle noccioline… io no. Non ho la tua vocazione, lo sai».
«Quale vocazione?».
Lei alzando gli occhi al cielo: «La tua, Dino».
«Ma se è la mia, è chiaro che non può essere la tua».
«Si, insomma, hai capito cosa intendo».
«No, io mi riferisco alla passione per l’arte» ho precisato.
«Arte? Ascolta, mi aspetta mia cugina…vado. Ciao!» ha detto allontanandosi.
«Quale cugina? Aspetta! Milva, torna indietro!».
«Cosa vuoi ancora? Mi stai stufando».
«Milva, io voglio dipingerti!» le ho detto prontamente.
«Eh?».
«Cioè… no. Non te. Voglio dipingere la tua immagine» mi sono affrettato a rispondere. «Da qualche mese mi dedico alla pittura e tu sei la mia ispirazione!».
Lei, scuotendo la testa, è andata via.
Ho dipinto venti volte la mia amata. La cosa mi è riuscita talmente bene che Bigio, che non ha mai perso la abominata tradizione di venire a casa mia, è rimasto incantato dalla mia opera.
Quando è andato a comperare le mozzarelle ha visto Milva alla cassa.
Bigio non si era mai recato a comperare latticini in tutti questi anni. Quest’anno sì. Così a Torino ha portato con sé due souvenir: le burrate e la figlia della lattaia. Io non dipingo più e ho la nausea dei formaggi.
Il latte, quello lo bevo. Lo riscaldo nel catino e quando arriva a bollore mi ricorda Milva, per via della schiuma. Quella che lei vedeva tutti i giorni passati a lavorare nel caseificio.
La schiuma dei giorni. E’ così che chiamo la mia rabbia, che viene a galla se penso alle volte passate a regalare a Bigio i miei giocattoli. Per fortuna non ha voluto il dipinto, altrimenti mia madre glielo avrebbe anche regalato, in ricordo del tempo passato insieme. Il tempo invece, adesso lo passa con Milva. A me i dipinti, a lui l’originale.

Comunque, la mia vita non è dipesa totalmente da quei due. Si, è vero, ci sono voluti alcuni mesi per riprendermi dalla delusione, ma poi è arrivato l’inverno.
Mi sono iscritto a un corso di balli latino americani e mi sono fatto crescere i capelli, per tirarli all’indietro e sentirmi più figo. Infatti al corso ho conquistato il cuore di Rachele: una donnona alta un metro e ottanta, dalla risata genuina.
Stretto nella sua presa vigorosa e morbida, mi perdevo dentro i suoi passi decisi.
Mi accarezzava la chioma affermando che i capelli folti l’accendevano, poi ha conosciuto Amilcare, un nuovo iscritto al corso.
Amilcare vendeva gatti persiani per lavoro ed era completamente calvo, mi chiedo ancora come sia successo e perché.
E’ rimasta la schiuma per capelli però. La schiuma dei giorni: è così che la chiamo, anche quella, se penso ai giorni passati ad acconciarmi la zazzera all’indietro, sognando Rachele.

Nel frattempo è arrivata l’estate. Faceva caldo e mi sono tagliato i capelli.
Benedita è la ragazza portoghese che ho conosciuto in occasione del mio viaggio in Croazia. Si, perché dopo l’ultima delusione amorosa, me ne sono andato in vacanza per una decina di giorni.
Volevo contemplare la natura e starmene in pace. Così ho preso la mia Clio, direzione Pola e addio per un po’.
Per intenderci, la Clio ha un ottimo motore e in ogni caso, dalla Graziella alla Clio è un bel passo avanti. Inoltre in Croazia ci sono arrivato dopo aver fatto tappa a Trieste, dove ho incontrato Benedita, che lavorava lì dando ripetizioni di portoghese.
Per farla breve: ero andato ad acquistare un po’ di cibarie per continuare il mio viaggio e l’ho incontrata, per caso, in un supermercato.
L’approccio non è andato nel migliore dei modi. Benedita stava prendendo una bottiglia di birra dallo scaffale mentre un’altra me l’ha fatta cadere sul piede. Io mi trovavo di fianco con lo scopo di intortarla.
Dolore a parte, lei proprio era convincente quando diceva di voler passare la vacanza con me. Infatti dopo una sosta di due giorni a casa sua, abbiamo fatto tappa a Rovigno.
Più che contemplare la natura dei luoghi, ho ammirato quella portoghese e sorseggiato birra. Poi siamo andati dall’affittacamere. Stavamo cambiando sistemazione perché l’alloggio che avevamo trovato era disponibile solo per qualche giorno. Benedita, però, il posto dove continuare la vacanza l’ha trovato senza di me, grazie all’affittacamere, che le ha proposto un’occasione unica: casa sua a costo zero. Io non potevo andare a casa dell’affittacamere, proprio non mi voleva.
Così siamo rimasti io e le bottiglie di Benedita.
Me ne sono tornato in Italia per meditare nel mio paese e starmene in pace, bevendo birra. La verso senza inclinare il bicchiere perché mi piace che faccia la schiuma.
La schiuma dei giorni: è così che chiamo quelli passati a sorseggiare e contemplare Benedita. Affondo le labbra nel bicchiere e ho già il suo aroma in bocca.
E comunque, sono ancora innamorato della figlia della lattaia.