Articoli filtrati per data: Aprile 2017

Oggi, primo maggio 2017, inizia la seconda parte dei contest Jona Editore.
La prima ha avuto termine dando vita a prospettive: dodici temi, venti autori, quaranta racconti pubblicati.
Anche questa antologia sarà curata da Renzo Semprini Cesari.

Al termine, a dicembre, pubblicheremo un altro ebook e un libro cartaceo con una selezione dei racconti delle due.

Le regole sono le stesse, cambiano solo il numero di parole massime che i partecipanti possono utilizzare, passando da duemila a quattromila.

Il primo:

Titolo: Mad World

Scadenza: 30 maggio 2017

Parole massime: 4000

Mail per inviare il racconto (inedito e in qualsiasi formato office o open office) e per chiedere eventuali informazioni: contest@jonaeditore.it

Il tema, prendendo spunto dal titolo della celebre canzone, è aperto. Potete interpretarlo come meglio credete.

Il file che inviate deve avere come titolo: nomecognomemadworld: dove, ovviamente, per nome e cognome dovrete scrivere il vostro (in caso contrario sarà cestinato).

I due o più  vincitori (se i racconti inviati  saranno meno di cinquanta decreteremo solo un vincitore) avranno pubblicazione in www.jonaeditore.it

A dicembre 2017 i migliori tra i vincitori avranno un contratto editoriale e saranno pubblicati in cartaceo e in digitale.

Oltre al racconto inviate autorizzazione a pubblicarlo, nome e cognome ed eventuale vostro sito.

Pubblicato in redazione

Splat.

Morto per il freddo e riverso a terra, viene travolto dalla mia zampina e tramutato in frittella. Che delusione scoprire che queste belle faville svolazzanti altro non sono che miseri insettini.

Splat.

Eccone un altro. Fino a poche sere fa la notte brillava, grazie alle lucciole che danzavano tra i fili d’erba e rendevano fatato e un po’ surreale il margine della superstrada. Ora, invece, soltanto i fari delle auto e dei grandi camion che sfrecciano sull’asfalto, o che si fermano nello spiazzo per riposare, inondano le ore notturne, rendendole meno nere.

Splat.

Sono tutti morti. Che amarezza scoprire che si tratta solo di bestioline! Qualche giorno fa, quando la mia amica Lucciola mi ha indicato gli scintillii lampeggianti, ho pensato di non essere il solo a vedere le luci colorate che danzano nell’aria! Ho pensato persino di non essere il solo a vedere il velo di colore che circonda le persone! Mi sento uno sciocco, ho così tanto bisogno di ottenere risposte sull’origine dei bagliori variopinti da non riuscire a filtrare neppure la realtà, separandola dalle mie speranze: è evidente che nessun altro può vedere questi colori.

Splat.

Schiaccio l’ultima lucciola morta a causa del freddo e poi me la mangio. Dopo giorni passati in questa valle di cemento a bordo della superstrada la fame si è fatta più crudele: sebbene qualche camionista di passaggio lasci casualmente cadere qualche avanzo di cibo, non ho avuto molte occasioni di fare un vero pasto, così anche i cadaveri di questi insettini mi sembrano briciole di pandoro succulente.

Pubblicato in redazione

Splat.

Morto per il freddo e riverso a terra, viene travolto dalla mia zampina e tramutato in frittella. Che delusione scoprire che queste belle faville svolazzanti altro non sono che miseri insettini.

Splat.

Eccone un altro. Fino a poche sere fa la notte brillava, grazie alle lucciole che danzavano tra i fili d’erba e rendevano fatato e un po’ surreale il margine della superstrada. Ora, invece, soltanto i fari delle auto e dei grandi camion che sfrecciano sull’asfalto, o che si fermano nello spiazzo per riposare, inondano le ore notturne, rendendole meno nere.

Splat.

Sono tutti morti. Che amarezza scoprire che si tratta solo di bestioline! Qualche giorno fa, quando la mia amica Lucciola mi ha indicato gli scintillii lampeggianti, ho pensato di non essere il solo a vedere le luci colorate che danzano nell’aria! Ho pensato persino di non essere il solo a vedere il velo di colore che circonda le persone! Mi sento uno sciocco, ho così tanto bisogno di ottenere risposte sull’origine dei bagliori variopinti da non riuscire a filtrare neppure la realtà, separandola dalle mie speranze: è evidente che nessun altro può vedere questi colori.

Splat.

Schiaccio l’ultima lucciola morta a causa del freddo e poi me la mangio. Dopo giorni passati in questa valle di cemento a bordo della superstrada la fame si è fatta più crudele: sebbene qualche camionista di passaggio lasci casualmente cadere qualche avanzo di cibo, non ho avuto molte occasioni di fare un vero pasto, così anche i cadaveri di questi insettini mi sembrano briciole di pandoro succulente.

Devo capire cosa fare della mia vita, ora. Sono davvero troppo amareggiato per essere soltanto un gattino di pochi mesi! Dovrei correre, saltare, farmi leccare dalla mia mamma, fammi abbracciare dalla mia umana, Maria.

Il disegno di quello che poteva, anzi, che doveva essere, si delinea chiaro nella mia mente. Maledetto l’Uomo Grigio che puzza di alcool, maledetto il giorno in cui mi ha afferrato, insieme ai miei fratellini, e ci ha abbandonati, prima ancora che potessero darmi un nome! Se solo avessi avuto gli artigli che ho ora gli avrei fatto vedere io!

Una fitta lancinante mi stritola il pancino: fame? O dolore? È la prima volta che mi lascio andare a questa rabbia e questo senso di ingiustizia, e al pensiero di tutte le sfortune che in queste settimane ho cercato di lasciarmi scivolare addosso: la ragazza che ha pensato di potermi portare con sé, lontano dall’Italia; l’uomo ubriaco che ha avuto paura di non poter amare né se stesso, né un gatto, né un altro essere vivente; una rana troppo grossa per poter essere la mia preda; un autobus vuoto; luci che sono insetti e luci che non sono insetti, grossi camion che sfrecciano, a volte si fermano e poi ripartono.

Questo turbinio di ricordi si avviluppa al mio stomaco affamato, acuendo i crampi della fame. Nel pieno di questa crisi di panico che mi ha lambito, un bisonte della strada posteggia accanto agli altri: sui parabrezza dei tir, tutti dipinti con colori differenti, sfavillano insegne colorate che riportano i nomi degli autisti. Ogni nome ha un suono e talvolta un alfabeto diverso, perché queste persone viaggiano molto, vengono da lontano, portando con sé le misteriose luci arcobaleno così simili alle lucciole: le vedo galleggiare dentro gli abitacoli degli autotreni, insieme alle insegne e ai pupazzetti appesi agli specchietti retrovisori. Stanno lì, a galleggiare sull’aria, placidamente, ma non escono mai.

Cosa siete, stupide luci? Non siete insetti, non vi può vedere nessuno oltre a me, non siete vincolate alle persone come invece sono le loro auree. Cosa siete?

Il conducente del camion che ha appena posteggiato e che ha approfittato del bagno pubblico sale a bordo. L’enorme camion rosso riparte, portando con sé la cabina piena di bagliori arcobaleno.

La consapevolezza mi travolge: no, non posso più restare qui! Questo è solo un punto di snodo, un crocevia dove la gente passa e non si ferma, porta con sé i suoi colori e la propria anima, per poi andarsene. Che risposte potrò mai trovare qui?

Un altro camion, giallo questa volta, posteggia. L’autista, un uomo del Nord simile a quello che ha portato via la ragazza, Lucciola, e la sua amica, apre lo sportello. Il camion vomita una valanga di riverberi colorati e finalmente capisco cos’è il malessere che mi sta divorando con questa forza: il disgusto. Non è vero che voglio andarmene da qui perché non posso trovare risposte, io voglio scappare da questo luogo perché qui le domande crescono, aumentano, i dubbi mi vengono riproposti ogni qual volta un tir decide di fermarsi o passare davanti a questo posteggio. E io, invece, ora non voglio pensieri! Voglio trovare un posto dove non pensare, dove non interrogarmi sulla natura dei colori, dove non chiedermi se essi sono legati alle persone oppure no. Voglio trovare un luogo dove piangermi addosso, perché ho fame, perché non ho più la mia mamma né i miei fratelli, voglio trovare un posto dove dimenticare che nessuno mi ha mai dato un nome e dove scordare che coloro che ho incontrato sulla mia strada mi hanno abbandonato. Ma soprattutto voglio dimenticare i colori, voglio dimenticare che non ho mai più visto un umano con lo stesso colore rosa pastello, dolce e mite come quello della mia mamma umana, Maria.

Pubblicato in grumo

Quando è arrivato il pacchetto in redazione io ero fuori ufficio. Sono rientrato e ho visto tre musi sopra la scatola. “Fermi tutti, devo fare la recensione io!”
Dentro la scatola di cartone ce n’è una di latta (molto bella) , dentro la scatola di latta la Noname Nofckgiven.
Di una donna (o di un uomo) apprezzi l’intelligenza, la simpatia, la bontà d’animo, ma non c’è nulla da fare, la prima cosa che guardi è l’estetica. E l’estetica di questa box è minimale, sobria, bellissima. Se immagini una box bottom feeder, immagini la Nofckgiven.
Nata in collaborazione tra Puff e Noname, sposa due diverse filosofie, creandone una nuova.



Per prima cosa, qualche dato. E’ costruita in alluminio satinato ricavato a CNC dal pieno, ha inserti in delrin, una boccetta super-soft da 8.5 ml , è motorizzata con un dna evolv 75 ed è la prima box ad avere una (doppia) certificazione: CE e RoHs. Ma questo, in soldoni, cosa significa? Per prima cosa che è fatta benissimo, gli inserti sono pregiati, gli incastri non hanno dislivelli, i classici tre pulsantini (fire, up, down) sono perfetti al click e minimali anch’essi, fondendosi idealmente all’interno della scocca. Il materiale è eccelso. Per seconda cosa: è sicura, l’evolv 75 oramai lo conosciamo tutti (e in questo caso posso garantire che ha un’ottima gestione della batteria, forse e soprattutto per merito del cablaggi fatti a regola d’arte), le certificazioni sono davvero qualcosa in più.
La vaschetta è in stainless Stell 316 da 22 mm, anch'essa ricavata dal pieno e avvitata con quattro viti.
Il pin è regolabile e, quindi, rende la box utilizzabile con qualsiasi atomm.
Lo schermo per il dna è oled: ottima visibilità dei valori che il circuito ci mostra.
Il tasto fire è in alluminio anodizzato, mentre i due adibiti alle regolazioni (up e down) sono in delrin.
Sul fondo della box c'è il numero di serie, stampato a laser.
Lo sportellino copri batteria/boccetta è, come il tasto fire, in delrin.
Monta, ovviamente, una batteria 18650, non compresa nella confezione. All'interno della quale, troviamo, oltre alla box, due boccette per il liquido e una bella pochette protettetiva in neoprene.

 


 Ma quindi, perché due filosofie  e perché: “creata una nuova”?
Prima della Nofckgiven avevamo due possibilità, entrambe percorribili legittimamente. Comprare una box di produzione industriale. Costi non altissimi, alcune con il dna, fattura media, risultato mediocre. Molte sono funzionali, alcune mi piacciono assai (la pico squeeze è, nel suo piccolo, una meraviglia), altre molto meno (detesto le cinesate spinte), ma nessuna è eccelsa, nessuna ha materiali di prima qualità, nessuna ha lavorazione certosina. L’altra possibilità è quella di affidarsi a un modder. Quindi molto spesso qualità, quasi sempre ottimi materiali, raramente risultato non ”ottimo" (mania delle stampate in 3d a parte: inutile moda e infima sicurezza). Ma anche difficoltà nel trovarle, liste a cui iscriversi, prezzi spesso raddoppiati dopo un amen.

Questa Noname prende il meglio delle due filosofie. Materiali eccelsi, facilità di acquisto, assoluta sicurezza, ricerca del particolare.
Questo, credo, sia il vero pensiero dietro a questa box: unire due filosofie, crearne una nuova, renderla un nuovo standard.


Quindi, la perfezione? No, ci mancherebbe. Il prezzo è alto. È naturale che una box del genere costi. È fatta in italia, è fatta benissimo, ha “dentro” materiali costosi. Però, a mio, avviso, qualche decina di euro in meno sarebbe potuta costare. Date le dimensioni (compatte), l’estrazione della boccetta per la ricarica non è agevolissima. O si prende una leva, o si toglie la batteria. Si poteva fare meglio? Forse no, senza andare a discapito delle dimensioni.
A proposito delle dimensioni, è una box che pesa. Io ho sempre visto questo aspetto in modo semplice. Pesa abbastanza da risultare stancante? Se sì non va bene. Pesa abbastanza ma non è stancante? Se non lo è, allora diventa a gusto. Quale è la sensazione che vuoi avere con una box in mano? Leggerezza? Compattezza? Sensazione di “pieno”? La Nofckgiven pesa ma non stanca, quindi va a gusto. Per me è perfetta così.
La consiglio? Certo che sì, la consiglio a diverse categorie di persone. A chi non bada a spese. Quindi bella, originale, solida, evolv: va benissimo. La consiglio a chi spendeva duecento euro per il Provari: quel tubo è la prima cosa che ho pensato quando l’ho vista. Costava (parecchio), e quando lo prendevi non te ne liberavi più. Certo, per gli amanti della spesa compulsiva no, non va bene. Se uno vuole spendere trenta euro a settimana, per tutte le settimane e poi ancora continuare: no, non ci siamo. Per chi, invece, preferisce risparmiare quei trenta euro per un paio di mesi e poi avere qualcosa di davvero buono, allora sì: è la vostra box.


E adesso, Nofckgiven, sportello aperto, boccia fuori, Azhad dentro, e si svapa.



Oramai posso dire di avere svapato, a lungo e sempre con massimo godimento, tutti i liquidi di Azhad. Tutti gli aromi. Tutte le riserve. Insomma, a parte Azhad e famiglia, credo di essere il più grande consumatore dei suoi liquidi. Non tutti mi piacciono (va a gusti), ma sicuramente i miei preferiti sono i suoi.
Quindi, parliamo di aromi (tutti da me diluiti al 10% e lasciati maturare per due mesi. Il tempo è soggettivo, alcuni li preferiscono lasciati e dimenticati per anni, altri riempiono la boccia dopo tre giorni. In generale più si lasciano maturare più il tabacco viene fuori a discapito del fruttato (o della vaniglia) che lo accompagna. Detto questo, ognuno faccia le sue prove, è bello anche per questo: sperimentate.

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Latakia


  È un latakia che ha, nell’equilibrio, il suo forte. Non è di quelli che “ti spaccano in due”. Non è di quelli che dici: “ma l’affumicato quando viene fuori?” Come tutti gli aromi di Azhad devi capirlo. Per i fumatori, o ex fumatori di pipa, sarà un gioco semplice. C’è quella cosa che sentivate nella vostra migliore miscela inglese. Quello che stava sotto, dentro e di lato, ma mai del tutto al centro del virginia e del turkish (o degli orientali). Io non sono un grandissimo amante del latakia duro e puro. Non sono un purista del mono-aroma. Però questo è buono senza prenderti i polmoni e rivoltarteli. Si lascia apprezzare quasi fosse un virginia pur non avendone nessun aspetto. Il latakia, contrariamente a quel che si pensa è un tabacco dolce. Affumicato fino a renderlo una lama per le pupille gustative, ma dolce. Quello di Azhad è ottimo.


Perique


Altro tabacco che normalmete non si prova da solo, ma come accompagnamento. Sostanzialmente ci sono due tipi di perique, l’originale “Saint James Parish” e tutti gli altri. Tutti gli altri, quasi sempre, sono dei Burley ben addomesticati e resi quasi-perique. Quasi, appunto. In generale sanno di frutta, come sottobosco aromatico, e poco di spezie. Spezie che caratterizzano l’originale.
Quindi, io di perique resi aroma ne ho provati parecchi e alcuni mi sono piaciuti molto (quello del vaporificio è strepitoso), ma solo quello di Azhad, a mio avviso, è Saint James Parish. Picchia duro, ti lascia il pizzicore, è una strepitosa rarità. Da solo? No, non mi fa impazzire. Unito ad altri? Una meraviglia.

Turkish


Altro aroma da taglio. Classico nelle miscele inglesi, insieme al virginia e al latakia. Dei quattro è quello che mi è piaciuto meno, o che, forse, ho faticato a capire. A parer mio bisogna andare oltre la classica percentuale che normalmente si adotta per avere un giusto equilibrio. Il gusto è notevole, l’aroma è quello giusto, a metà tra una meditazione orientale e una corposità classica. Però, appunto, bisogna mettere qualche goccia in più.

 Black Cavendish

 È un tabacco che, quando fumavo la pipa, non amavo. Troppo vicino agli aromatici. Azhad, al solito, ha stravolto i miei pregressi. Questo è una meraviglia. Lo metti in qualsiasi paniere aromatico e rende al massimo. Non distrae dagli altri aromi ma si fa sentire con violenta dolcezza. Da prendere, da mettere a maturare, da continuare a prendere fino a chè Azhad deciderà di farlo. Se ti piace questo tabacco, prenderlo sarà un successo assicurato.

 
E adesso, quattro barricati

Black Cherry

I barricati, a differenza dei liquidi normali, prevedono invecchiamento nelle botti. A seconda dell’aroma, uno o più tipi di legno.
Questa miscela sembra fatta apposta per essere lasciata maturare in questa maniera. I gusti si fondono e si esaltano, la consistenza del tabacco si fonde perfettamente con quella dell’amarena.
Black Cavendish delizioso, da scoprire a ogni “tiro”, da cercare in mezzo all’amarena. È uno dei liquidi di Azhad che preferisco. È dolce ma non stanca, è intenso e si rinnova in una ricerca fatta di conoscenza e passione. Sembra quasi di masticarlo, tanto è corposo.

1000

Che dire di questo liquido? Era il mio preferito, non potevo farne a meno. Mi ricorda le mie miscele inglesi preferite. È forte, è intenso, è affumicato. Eppure è successa una cosa: è nato il 10000. Che, a parer mio, è meglio in tutto (vedi recensione). Quindi lo prenderei? No. Prenderei l’aroma per risparmiare e perché anch’esso eccelso. Ma se voglio il massimo, mio malgrado, prendo il 10.000. E, ripeto, il 1000 è stato per anni il mio liquido da “miscela inglese" preferito.

Carribean


Qui, a diffenza del "nuovo carribean” recensito insieme al 10000, tutto cambia. L’hyperion lo trovo più raffinato, vestito meglio, più elegante. Questo lo trovo più profondo e sporco di aromi grezzi e meravigliosi. Uno non esclude l’altro. Preferisco questo la sera, o quando voglio qualcosa di intenso. Il “nuovo” lo svapo con più frequenza e durata, ma, forse, con minor “gusto”. Ananas, cocco, cavendish e virginia maturati perfettamente. Il barricato dona spessore, gli aromi diventano una scatola cinese dalle pareti morbide e penetrabili. Passi da uno all'altro, per poi arrivare a sentirli tutti. Insieme, come fosse un qualcosa di unico. Una ventagliata forte, diretta, che ti colpisce duro. Da fare le scorte, che si sa mai, metti che Azhad decida di non produrlo più.

Sweet vanilla

E ci risiamo. Tutti i gusti che, fumando la pipa, odiavo (non fosse per il perfection di Gawith, che, in quantità dolce inferiore, lo ricorda) diventano momenti di puro godimento. Non ti piace il dolce? Provalo, magari cambi idea, magari no. Ti piace? E allora prendilo, svapalo, senti tutti i toni delle vaniglie utilizzate che si uniscono, a rincorrersi, col tabacco. Una vera goduria. Il virginia sembra ingrassarti la bocca, la vaniglia sembra colorarti quella sensazione. Una aromia da vero esperto, non banale come i componenti potrebbero diventare, non troppo difficile da comprendere. Io lo svapo spesso di pomeriggio: davanti a un pc mi accompagna nel lavoro. Da non restare senza, mai.

Prossimamente, altri aromi, altri barricati e, soprattutto ricette in esclusiva.  Di Azhad, per voi.

Pubblicato in svapo

1 aprile 2017: la sveglia suona relativamente presto per i miei standard; sono le otto del mattino e oggi è un giorno speciale per il quale molti amanti dello scatto fisso stavano facendo il conto alla rovescia già da tempo; oggi si corre la Respublica superiorem II
.Il mio corpo capisce che quello sarà un giorno particolare quando per colazione gli viene servito un piatto di pasta scondita (i consigli del mio buon vecchio coach Carratta non vanno mai trascurati). Devo ancora preparare un sacco di cose in previsione della trasferta.

La Respublica superiorem è infatti una gara per biciclette a scatto fisso rigorosamente senza freni (brakeless) che si tiene a Genova. La prima gara di questo tipo fu organizzata nel 2014 dai ragazzi di Zenadrome[1]. L’evento fu un successo, ma, l’anno successivo, per motivi non molto chiari, non ebbe luogo. Nel 2015 molti membri di Zenadrome si allontanarono dalla crew, molti altri si avvicinarono ad essa. I ragazzi di Rapallo, della crew TBTW[2], che già in precedenza gravitavano intorno alla scena delle bici fisse presero le redini della situazione e, dopo qualche riassestamento all’interno del gruppo, diedero vita a quello che attualmente è la colonna portante dello scatto fisso in Liguria: SCVDO Genova[3]. Nel 2016 si ebbe quindi la prima edizione di Respublica Superiorem, una gara unica nel suo genere: non è una vera e propria alleycat[4] poiché il tracciato ci era già noto in precedenza. Non è una criterium poiché non si corre in un circuito, non è neppure una velocity perché in parte la si corre nel traffico e in salita. Insomma, un mix di caratteristiche proprie solo ed esclusivamente di questa gara (una gara simile può essere la Fat Ass torinese). Per questi motivi la gara ha mobilitato ciclisti da ogni dove, molti dei quali aspettavano di misurarsi nell’impresa dall’anno precedente.

Nel mio caso invece è la prima volta che decido di sfidare il dislivello della mia terra natale. L’impresa sembra essere tutt’altro che semplice: siamo già stati messi in guardia dai ragazzi di SCVDO che dovremo percorrere circa 50 chilometri totali, di cui molti in salita per un dislivello complessivo di circa 1500 metri, altrettanti in discesa e una parte minore nel traffico cittadino. Per questo comincio a ingurgitare carboidrati fin da quando apro gli occhi, in modo da digerirli in tempo per la partenza e avere così energia a rilascio lento durante la gara. Il meteo ci è favorevole: si preannuncia una bellissima giornata. Infilo un paio di pantaloncini e una maglietta e sono pronto a partire. Metto giusto un ricambio nello zaino e gli attrezzi per settare la bici e sono in sella. Devo raggiungere il mio fido compare Marco e andare con lui a Stupinigi, dove ci aspetta Riky che ci traghetterà con la sua spaziosissima auto fino a Genova. Mettiamo la mia bici sul tetto e le altre due smontate nel bagagliaio e ci prepariamo al decollo.

Il viaggio è tranquillo e scorre veloce grazie alle chiacchiere. Nessuno di noi sembra essere teso per l’evento; più che altro felici e impazienti di misurarsi con gli altri biker su un tracciato così particolare.

Pubblicato in bici

Mercoledì 26 aprile

-          dalle ore 20 alle 23
presso la gastronomia Green-go Kitchen 
in via Radici in piano 248, 41049, a Sassuolo (MO);
Si terrà un corso d’introduzione all’autoproduzione cosmetica (ovviamente con ingredienti naturali e cruelty-free). Durante la serata potrete cimentarvi nella preparazione di una crema viso che vi porterete poi a casa ed è prevista anche una pausa con tisana e biscotti. Il costo complessivo di materiali, dispensa e tisana è di trenta euro e per partecipare è necessaria la prenotazione al numero 340.3084799



Venerdì 28 aprile

-          dalle ore 9 alle 13
presso il Palazzo di Giustizia
in via Carlo Freguglia 1, a Milano;
E’ previsto un presidio di solidarietà alle attiviste e agli attivisti del Coordinamento Fermare Green Hill che il 20 aprile 2013 occuparono gli stabulari del Dipartimento di Farmacologia dell’Università degli Studi di Milano, svelando l’insostenibile angoscia delle vite degli animali lì reclusi e che infine liberarono 400 topi e un coniglio.
Il 28 aprile, infatti, si svolgerà la prima udienza del processo intentato dall’Università degli Studi di Milano e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche - Dipartimento di Neuroscienze - che vede imputati gli attivisti dei reati di invasione di edificio pubblico, violenza privata e danneggiamento.
Per saperne di più, per informarvi, per sostenerli, potete leggere qui l’intera vicenda. 

-          dalle ore 9
presso il Centro Informativo Territoriale del Vivaro, nel Parco dei Castelli Romani
a Rocca di Papa (RM);
Vincenzo Ferri terrà un corso di formazione al salvataggio e monitoraggio degli anfibi.
Per la registrazione al corso e per ulteriori informazioni potete scrivere una e-mail all’indirizzo: scresta@regione.lazio.it o consultare questa pagina

Pubblicato in eventi

Questi quattro cuccioli si trovano in Molise.
Attualmente non hanno cuccia, né cibo, né protezione e sono in attesa di essere accalappiati e portati in canile perché il posto non è sicuro (negli scorsi giorni uno di loro è sparito). Sono tre femmine e un maschio, presumibilmente futura taglia media e hanno circa quattro mesi. Si sta occupando di loro Federica Scala e per informazioni potete contattarla al numero 347.1705814
Per una buona adozione possono arrivare in tutta Italia.

Loro sono Pulce e Tigro.

Pulce ha sei anni, mentre Tigro ne ha sette. Abituati da sempre a vivere in casa, purtroppo ora la loro proprietaria non se ne può più occupare e per questo sta cercando per loro una famiglia che li ami e li coccoli per sempre. Si trovano a Mathi Canavese (in provincia di Torino), sono sani, castrati e vaccinati e per adottarli o avere altre informazioni potete contattare Antonietta al numero 349.0575823

Il suo nome è Jo.
Jo è un setter inglese che ha passato tutti e tre gli anni della sua vita nel box di un canile. Oltre a essere meraviglioso, è buono con i bambini e compatibile con tutti i cani. Bravissimo al guinzaglio e molto coccolone, sarebbe il cane perfetto per una famiglia con giardino o per una persona dinamica che lo porti a fare lunghe passeggiate. È castrato e vaccinato; si trova a Frosinone ma per una buona adozione verrà portato ovunque. Per informazioni potete contattare Ileana de Bernardis al numero 380.7450113

Loro sono Maya e Wally.
Inseparabili come calamite, sono stati abbandonati dopo che la loro proprietaria ha dovuto trasferirsi per lavoro. Ora si trovano in stallo temporaneo a Olbia, ma sono adottabili in tutta Italia previo colloquio preaffido. Hanno un anno e mezzo, sono sani, castrati e vaccinati; vanno d’accordo con i cani e sono adottabili solo in coppia. Per informazioni potete chiamare Cristina Bosetti al numero 347.4550710 oppure scrivere un’e-mail all’indirizzo: cristina.bosetti@gmail.com

Lui è Gegè.
Gegè è finito in canile dopo la morte del suo padrone e solo dopo diverso tempo l’associazione L’Arca di Rita Onlus è riuscita a farlo uscire di là, dandogli la possibilità di vivere in una pensione nell’attesa che una famiglia lo adotti. Gegè ha circa sette anni, è una taglia grande, ma buono come il pane. È sano, castrato e vaccinato. Si trova in provincia di Roma e per informazioni su di lui potete contattare Simona (345.5982486), Rita (349.3695664) oppure scrivere un’e-mail all’indirizzo: arcadirita@gmail.com

Il suo nome è Tesla.
Tesla è buona, dolce, bellissima eppure sembra invisibile: nessuno ha chiamato per adottarla.
Ha circa due anni, abituata a vivere in casa, è sterilizzata e sana. Si trova a Milano e potrà essere adottata in tutto il centro e nord Italia previo colloquio preaffido e firma del modulo di adozione. Per informazioni potete contattare Eleonora Saladino oppure scrivere un’email all’indirizzo: ombrefeline@gmail.com

Questi due cagnolini vivono in gabbia da quando sono nati.
Hanno circa un anno e sono un maschio e una femmina. Sono buoni e socievoli. Si trovano a Carbonia, in provincia di Cagliari e hanno urgente bisogno di trovare qualcuno che li ospiti temporaneamente o, meglio, che li ami per tutta la loro vita. Per informazioni potete contattare Roberta Malgioglio al numero 345.3946360

Lei è Mamy.
Mamy ha due anni, è buona e coccolona. È di taglia media, sana e sterilizzata e da tanto tempo aspetta qualcuno che la adotti. Si trova a Torino, è adottabile solo in zona e si occupa di lei l’associazione Scialuppa dei 4 zampe. Per informazioni potete contattare Marinella Bruno al numero 335.6335716

Il suo nome è Tea.
Tea è una segugia di taglia media, tanto buona quanto affettuosa. Ha due anni, è sana, sterilizzata e vaccinata. Si trova a Siena, è adottabile in tutto il centro e nord Italia e si occupa di lei l’ASSTA (Associazione Senese Salute e Tutela degli Animali). Per informazioni potete contattare il numero 366.5029904 oppure scrivere un’e-mail all’indirizzo: asstasiena@gmail.com

Loro sono Minù e Bizet.
Minù è la femminuccia nera, Bizet invece è il maschietto bianco a pelo lungo.
Non hanno ancora due mesi e si occupa di loro una volontaria del gattile di Ivrea. Si cerca per loro un’adozione di coppia e per informazioni potete contattare il numero 348.3056087

Lui è Bacco.
Bacco è uno stupendo incrocio breton/pointer che, incapace di cacciare, è stato abbandonato in canile.
Ha sei anni e vive pacificamente in box con altri cani maschi e femmine. È buono con tutti, è sano e aspetta qualcuno che lo adotti per sempre. Per informazioni potete contattare l’associazione FreeDog, che si occupa di lui.

Pubblicato in adozioni

Continuiamo a conoscere gli autori di prospettive.

1 Quando hai iniziato a scrivere e perché?
2 Scrittori preferiti?
3 A cosa stai lavorando?
4
Il tuo iter? Da quando hai una idea a quando lo scritto è finito.
5 Da domani non puoi più scrivere, quale arte prende il posto?

Pubblicato in redazione

Il pozzo è buio, da qualche giorno. Durante queste due settimane, da quando l’ubriacone mi ha lasciato qui, ho cercato di risolvere i misteri legati alle luci colorate.

Non passa moltissima gente, in questo piccolo angolo medievale, ma quando qualcuno si trova davanti al pozzo non manca mai di gettare una moneta nell’acqua, spesso lanciandola dietro le proprie spalle.

Mi domando come sia possibile che questi sciocchi sprechino così quelle monete lucenti: non tanto per il loro valore di scambio (li ho visti barattare quelle cose con il cibo), ma per la luce raggiante e colorata che le impregna una frazione di tempo prima del tiro. Questa noncuranza mi ha fatto prendere definitivamente atto del fatto che loro non vedono le luci.

Ho capito che i passanti esprimono un desiderio prima di compiere il gesto: che siano quindi le fantasie a dipingere le persone, l’aria attorno a loro e le monetine?

Mi sembra un’ipotesi valida, tuttavia non mi ha mai convinto del tutto. La mia padrona umana, Maria, era colorata di rosa, l’aria attorno a lei ricordava il naso umido della mia mamma e dei miei fratellini, eppure non l’ho mai vista esprimere desideri. Inoltre credo che, anche se ne avesse avuti, non le avrebbero dato un unico colore, ma moltissime sfumature.

I dubbi sulla la mia teoria circa la connessione tra colore e desideri ha vacillato anche guardando il viavai di persone nella piazzetta: è vero, nel momento in cui il desiderio viene espresso, allora il soldino si tinge. Si tinge, sì, ma di una tinta diversa da quella che ammanta il suo proprietario.

Magari nel pozzo veniva gettata una moneta blu, ma la persona emanava una luce arancione.

No, non sono mai stato del tutto convinto, ma non ho mai nemmeno avuto altre ipotesi da considerare. Per questo ho deciso di restare qui, davanti al pozzo: voglio capire. Senza contare che molte gente viene a mangiare un panino, qui, lasciando cadere pezzetti di tonno, pane e prosciutto che, senza non poca fatica, sono sempre riuscito ad accaparrarmi: maledetti piccioni, maledetti passerotti! La guerra per il cibo è quotidiana, ma qualche briciola sono sempre riuscito a rubarla.

Sì, da giorni ormai ho fatto di questo angolo di mondo rivestito di mattoni la mia casa, eppure sento che la mia permanenza qui non ha senso.

Questa mattina, infatti, alcune persone sono venute con un camioncino e delle reti a trafficare nelle acque del pozzo. Era ancora buio quando sono arrivati: hanno pescato tutte le monete. Sentendoli parlare ho capito che non si trattava di ladri, bensì di persone autorizzate che ciclicamente vengono a cambiare l’acqua, per poi portare i soldi all’associazione che si occupa della manutenzione, delle aiuole e della chiesetta antica, il cui piccolo portico mi sta offrendo rifugio.

E così ora il pozzetto è buio e non ci sono più luci colorate. Non solo: un’orrenda rete arancione ora circonda il muretto, rendendolo inagibile. La gente non potrà lanciare i suoi soldi, ora, almeno finché non saranno finiti i lavori di restauro.

Mi sento triste e scoraggiato. Sembra che dovrò trovare un altro luogo per continuare la mia scoperta sui misteri delle luci colorate. Qui non restano che piccioni e passerotti, ma non mi piacciono, nemmeno da mangiare, per ora: sono troppo veloci e non riesco ad acchiapparli. Forse quando avrò qualche mese in più riuscirò a catturarli, e allora la mia vendetta per ogni boccone rubato si concretizzerà.

*

Mi lecco i baffi, pronto a balzare. Allontanandomi dalla chiesetta ho deciso: resto il più possibile lontano dalle case. Gli umani non mi hanno dato mai nulla di buono, preferisco stare solo, ma non troppo lontano dai bidoni della spazzatura dove posso rovistare per cercare avanzi di cibo.

Tuttavia, quando riesco, mi piace esercitarmi nell’arte della caccia: la vendetta verso i volatili deve avverarsi il più presto possibile.

Tendo i muscoli e poi salto. Preso! Le ali sbattono forte, la mia preda cerca di liberarsi, ma è troppo tardi! Finalmente sei mio!

In un boccone ingoio il moscone, fingendo che si tratti di quell’orribile colombo che mi ha rubato una succulenta briciolona di pane e maionese. Prima o poi…

Al momento mi accontento di catturare insetti e farfalle, che sono alla portata di un gattino di qualche mese, ma ancora non sono sazio. Mi incammino, alla ricerca del bidone della spazzatura più vicino, mentre il sole cala, ma un luccichio sospetto attira la mia attenzione: luci. Luci simili a quelle che lampeggiano in alcune case, come in quella di Maria. Luci colorate e intermittenti, con la differenza che queste non sono colorate, solo intermittenti e svolazzanti.

Dopo i luccichii, le aure e i colori delle monete, possibile che esistano altri tipo di bagliori e colori in cui ancora non mi ero imbattuto? Il mistero si infittisce, insieme alla mia voglia di fare chiarezza. Mi sembra assurdo che qualcosa di così luminoso sia così oscuro e misterioso.

Decido di rimandare la ricerca del bidone, preferendo avvicinarmi al luogo dove i bagliori bianchi e gialli sfavillano senza pace. Cosa ci sarà in quell’erba alta?

«Ehi, ma tu sei tenerissimo!» Una mano mi afferra, facendomi sparire tutta l’aria dai polmoni. Non appena mi riprendo soffio con tutta la grinta che ho. «Oh, ma cosa vuoi fare tu, sei delizioso, un batuffolo di pelo che non farebbe paura nemmeno a un passerotto!»

Grazie per averlo sottolineato.

Il suo accento è strano. La scruto, mentre la sua bocca coperta di denso rossetto mi riempie di sgraditissimi baci: è una ragazza bionda come il sole, magra e molto truccata. Ha le unghie lunghe e laccate e una gonna davvero molto, molto, molto corta. Le gambe sono fasciate da sottoli calze di nylon smagliate.

«Vieni con me, ti porto via, scappiamo noi poveri emarginati!» afferma infilandomi nella sua borsa a tracolla. Vorrei fuggire, ma la scatoletta di carne in scatola che apre nella borsetta solo per me mi fa capire che posso anche fingere di voler andare con lei.

Fingere, certo: non ho più alcuna intenzione di fidarmi di voi. Sono rimasto deluso troppe volte.

«Mangia, mangia, chi se ne importa se sbrodoli nella borsa. Non vedo l’ora di buttarla e lasciarmi tutto questo schifo alle spalle.» mi dice. Sembra non parlare con nessuno da moltissimo tempo, perché continua a blaterare, mentre io vengo sballottato in questa sacca colma di scatolette di cibo chiuse. «Basta, torno a casa, e tu vieni con me. Basta essere trattata come un oggetto. Non vedo l’ora di trovare Mariana, mi aspetta stanotte allo scalo dei camion. Non so cosa spera di fare, là. Magari vorrà caricare qualche camionista e farsi ancora qualche soldo, ma io non ci penso più. Mi sono stufata di questa vita. Non mi toccherà mai più nessuno, se non per amore! Maledetto il giorno che sono venuta in Italia!» si lamenta.

La osservo, mentre gli occhi mi si chiudono: la pancia piena fa il suo effetto, e l’aura luminosa della ragazza, luminosa come le faville che ho visto nel prato, mi rassicura, aiutandomi ad addormentarmi.

*

La ragazza si pettina, chiusa nel bagno pubblico di questo orribile posto di cemento. I suoi colori cambiano: fuori è buio e pieno di enormi camion silenti e addormentati.

«Ma dove diavolo si è cacciata quella disperata... Spero che non se ne sia andata da sola con il suo eroe, mi ha promesso che mi avrebbe portato via, a casa!»

Le lacrime le riempiono gli occhi, mentre con cautela sporge la testa all’esterno, cercando questa sua amica, Mariana.

Finalmente un bisbiglio attira la nostra attenzione. Per l’agitazione la borsa viene sbatacchiata e mi faccio male contro le scatolette di latta.

«Fai piano, stupida!» la insulta Mariana, avvicinandosi correndo cautamente. Parla anche lei con uno strano accento, ma differente dall’altra ragazza: sembra che questa lingua a loro straniera permetta di parlarsi, differentemente dai loro idiomi nativi.

La giovane è vestita in maniera più sobria, indossa una tuta da ginnastica nera e scarpe da tennis. I suoi occhi, anche nella notte, sono di un blu sfavillante che contrastano con la chioma scura, così diversa da quella chiara della mia rapitrice triste. L’aura, invece, è la medesima: simile alla luce di una lampadina, come quei bagliori di poco fa, nel prato.

«Oh, eccoti, Mariana! Temevo mi avessi lasciata qui! »

«No, ma che dici? Tieni, ti ho portato dei vestiti, togliti quella robaccia, lucciola che non sei altro, o daremo nell’occhio!» Lucciola? Mi piace come nome, non sapevo ancora come la bionda si chiamasse. «Dobbiamo muoverci, Vasile partirà tra mezzora. Non vedo l’ora di partire e ricominciare! Sono stata fortunata a trovare lui. Mi ama davvero, mi poterà via da questo lavoro orrendo.»

Lucciola la guarda grata.

«E io sono fortunata ad avere un’amica come te… So che per lui è un rischio portare te via da qui, rischio che raddoppia per colpa mia...» piange, ma Mariana la abbraccia, zittendola.

«Cambiati e andiamo!» Miagolo, offeso: inizia a mancarmi l’aria! «Ma cosa... Che hai, lì dentro?»

Lucciola arrossisce, chiudendosi assieme a me nel bagno per infilarsi la tuta, identica a quella di Mariana.

«Nulla, solo un micetto!» glissa, ma la sua amica si agita.

«Accidenti a te e ai tuoi animali! Vasile non vorrà mai un gattino sul suo camion, non ci fermeremo per delle ore, devi lasciarlo qui!»

La giovane mi stringe, appoggiandosi alla porta. Poi si fa coraggio ed esce.

«Lo voglio portare in Russia.»

Un camion lampeggia nella nostra direzione, accecandoci.

«Ti prego, ci sta chiamando! Dobbiamo andare! Sii ragionevole, è un viaggio lungo, patirà! Lascialo qui, se la caverà, è solo un gatto!» Il camion lampeggia ancora, mentre Lucciola piange. «Ti prego. Partirà senza di te, ho rischiato tanto per convincerlo a portarti con noi!» la prega ancora l’altra.

Alla fine Lucciola sembra convincersi, ma la sua aura si spegne un pochino.

«Permettimi di lasciarlo in un posto lontano dai camion, almeno.» Mariana annuisce, intimandola di sbrigarsi. La bionda mi porta lontano dai camion, verso i prati. Ecco di nuovo le luci bianche e gialle! Ce ne sono tantissime, sono bellissime.

«Perdonami se ti ho fatto allontanare da dove ti ho trovato. Speravo di portarti davvero con me, ma Vasile non vuole. Mi spiace, ma guarda, ti lascio in un bel posto. Vedi, è pieno di lucciole! Che strano che ce ne siano così tante, con il freddo alle porte! Forse vuol dire che c’è speranza?» sembra chiedersi, indicandomi la distesa di erba e di luci.

Lucciole? Quindi lei si chiama come i brillii nel prato? È un nome che le si addice, visto il colore che li accomuna. Mi stupisco del fatto che anche lei possa vedere quei bagliori splendidi. Allora non sono il solo! Non lasciarmi, Lucciola! Ho bisogno di te per capire cosa sono queste luci!

Miagolo, lei si asciuga una lacrima.

«Perdonami, penso solo a me stessa, sono un’egoista! Scusami, gattino!» mi dice, correndo via.

Rimango paralizzato, vedendola correre sul camion, che parte e sparisce, inghiottito nella notte. Amica mia, spero che tu abbia ragione e che queste luci siano una speranza, per te e per me.

Tristemente provo a sfiorare una lucciola, ma la mia zampa la travolge.

È solo un insetto.

Disegno di Silvana Sala

Pubblicato in grumo

Continuano le interviste agli autori di prospettive.


Le domande


1 Quando hai iniziato a scrivere e perché?
2 Scrittori preferiti?
3 A cosa stai lavorando?
4
Il tuo iter? Da quando hai una idea a quando lo scritto è finito.
5 Da domani non puoi più scrivere, quale arte prende il posto?

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