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Cose da Grandi parla di immigrazione, di animali, di vita di strada. Quale di questi temi ti è più caro e quale è stato più difficile trattare?

Non credo ci sia grande differenza. Tutto dipende dall’empatia. Posso dire che inizialmente avevo pensato di parlare esclusivamente del rapporto uomo-animali, ma poi è venuto da sé spostare l’asse del racconto da uomo/animali a indifferenza/sofferenza. Quando si sente qualcuno affermare che non bisogna preoccuparsi degli animali perché “tanto sono solo bestie”, mi vengono immediatamente in mente situazioni in cui qualcuno scaccia in malo modo un mendicante perché si sente in diritto di umiliarlo, o affermazioni assurde e aprioristiche sugli immigrati e sul fatto di rispedirli ai loro paesi. In realtà in tutti questi casi c’è mancanza di empatia. La non volontà di cambiare il punto di vista, per mantenere una sorta di primato e credersi più importanti rispetto alla vita e alla sofferenza di altri esseri viventi. Io oggi mi occupo attivamente di diritti degli animali, ma sono convinta che se fossi vissuta alla fine dell’Ottocento in Inghilterra sarei scesa in piazza per reclamare il diritto di voto alle donne. Se fossi nata negli Stati Uniti, avrei combattuto per l’abolizione della schiavitù. Negli anni Cinquanta del Novecento avrei sfilato a fianco di Martin Luther King, negli anni Settanta con Harvey Milk. È una lunga battaglia per la liberazione e il rispetto che l’uomo combatte da secoli.

Il protagonista è Karim, un ragazzo siriano di diciassettenne anni che a causa della guerra nel proprio Paese è costretto a costruirsi una nuova esistenza. Hai solo immaginato ogni accadimento oppure ti sei documentata?

Purtroppo non conosco la Siria, ma ho viaggiato molto in altri Paesi del Medio Oriente. Il paesaggio, il modo di vivere lo conosco bene. Per quanto riguarda invece l’attuale situazione di questo terribile conflitto che sta distruggendo cose e persone, oltre alle notizie che i vari mezzi di informazione fanno arrivare in Europa, ho un canale di contatto diretto con quello che è conosciuto come il Gattaro di Aleppo. Quest’uomo, che ha perso tutto a causa della guerra, da anni lavora per una ONLUS francese e porta soccorso alle persone senza casa né cibo. Per sua iniziativa personale, e con il sostegno di molti stranieri, ha poi creato un rifugio per gli animali (in particolare gatti) abbandonati nelle vie della città, terrorizzati, affamati, spesso feriti, e ha dato loro ricovero e cure. Di fianco a questo rifugio è sorto anche un orfanotrofio per i bambini rimasti soli. Alaa (il gattaro) sostiene anche questa iniziativa, porta regali e un sorriso a bambini e spesso li fa interagire con i gatti, in una sorta di pet-therapy che dà sollievo agli animali abbandonati e regala un momento di gioia ai bimbi che non hanno più nessuno. Ogni giorno arrivano aggiornamenti e immagini dalla città. Aleppo oggi è una montagna di macerie. È assurdo a che livelli di male può arrivare la crudeltà umana.

Parte della storia è ambientata a Napoli della quale hai sottolineato, per esigenze di storia, più gli aspetti loschi che quelli folcloristici, caldi e generosi, e altra parte è ambientata a Roma. Che rapporto hai con queste due città?

Karim sbarca dopo un naufragio del suo barcone sulle coste del Sud Italia ed era inevitabile che nei suoi spostamenti arrivasse in una città del Sud (poi su, fino a Roma). Napoli è una delle città più belle che io conosca. Bella nelle parti eleganti del suo Lungomare, del centro, di Piazza Plebiscito e di via Toledo. Ma ancora più bella nei vicoli vivi e sonori, popolati da persone davvero calde e generose. Per questo mi è piaciuto parlarne nel libro. Ho scelto però di presentare il lato nero della città, perché si tratta di una realtà che sporca, corrompe la sua bellezza e la vera essenza. È una malattia profonda che va estirpata. Perché la vera Napoli è un’altra. Eppure gran parte della vita del posto è gestita da alcuni burattinai che si sono fatti sempre più forti da quando al coltello hanno sostituito armi sofisticate. Questa gente corrompe i giovani, e davvero li spinge a superare ogni senso di pietà costringendoli a torturare gli animali. È il primo passo verso l’annientamento delle coscienze. Così questi ragazzi possono facilmente diventare i burattini che loro cercano per farli muovere a loro piacimento, inducendoli a compiere reati sanguinosi senza sporcarsi le mani in prima persona. E forse proprio da un’azione volta alla salvaguardia degli animali potrebbe nascere un lavoro di recupero dei ragazzi (e, a volte, addirittura bambini) a rischio.

Per quanto riguarda Roma, invece, è una città dove vado spesso perché ci vivono dei carissimi amici. Con loro ho imparato a conoscere i colori, gli odori, le atmosfere. L’incontro di Karim con il barbone Carl avviene sulla riva del Tevere, al tramonto. Sono dorati, i tramonti, a Roma. è in questa atmosfera che ho immaginato la scena.

Parliamo di te. Che studi hai fatto? Quale è stato il percorso che ti ha avvicinato alla scrittura?

Io sono una prof di italiano latino in un Liceo delle Scienza umane. È un lavoro che ho intrapreso da giovane senza molta convinzione. Invece ho scoperto che è proprio il lavoro giusto per me. Stare con i ragazzi mi diverte e mi regala ogni giorno stimoli nuovi e positivi. Non mi sembra neppure di lavorare… Parallelamente a questo, però, ho cominciato a scrivere già dagli anni dell’università. Ho pubblicato alcuni racconti, ma soprattutto ho cominciato ad occuparmi (e mi sono occupata per molto tempo) di letteratura del Novecento. Ho pubblicato saggi, e poi ho collaborato con la pagina culturale di quotidiani nazionali. All’inizio della mia attività ho scritto anche tre romanzi. Uno (per ragazzi) era stato accettato da una grande casa editrice di Milano, ma poi la sorte avversa ha voluto che una ristrutturazione interna facesse cadere quel progetto. Io intanto mi dedicavo sempre di più alla saggistica. Nel 2002 ho pubblicato Il mestiere di leggere (il Saggiatore), una storia delle pubblicazioni della Casa editrice Mondadori vista attraverso i pareri di lettura, documenti editoriali di grande interesse per gli studiosi. Poi è nata una lunga passione per il poeta salernitano Alfonso Gatto. Dopo averne stilato, in collaborazione con Marta Bonzanini, la bibliografia completa e ragionata (un’impresa titanica…), ho pubblicato due sue raccolte di inediti e rari: Il Gatto in poltrona (una raccolta di critiche televisive) e Ballate degli anni, inedite in volume, scritte per la trasmissione televisiva Almanacco di storia, scienza e varia umanità (1963).

Intanto però si stava sviluppando e prendeva sempre più spazio nella mia vita la passione per gli animali. Così ho pensato di affrontare la sfida di un volume di divulgazione sull’argomento, ed è nato Bestie come noi (Effigie, 2016) che prende in considerazione vari aspetti del rapporto uomo-animali, e sostiene la tesi che una maggiore attenzione al benessere animale può portare a un miglioramento anche della qualità della vita umana.

Ora sono tornata alla narrativa, perché ho trovato un argomento che mi ha preso tantissimo. E il fatto di veder pubblicato ora un mio romanzo, a distanza di tanti anni dalle prime scritture, è una gioia davvero grande.

Pubblicato in redazione