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Infinite Jest - David Foster Wallace - (parte prima)

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[Una delle possibità che i Social danno a una casa editrice è di scoprire talenti, nuove prospettive, testi da proporre.
Agata Virgilio ha diciannove anni, frequenta Lingue e letterature straniere e ha iniziato a lavorare come traduttrice.
Abbiamo letto una sua critica a Infinite Jest in un guppo di letteratura contemporanea e l'abbiamo trovata sorprendentemente interessante.
Abbiamo deciso di proporvela, lasciando lo schema di Agata. Scrive ai lettori del gruppo. Scrive cose interessanti e, soprattutto, ci fa vedere questo capolavoro da una sua prospettiva. Scrive come fosse un viaggio nel mondo di Wallace. Viaggio che abbiamo davvero amato tutti e abbiamo amato molto.
Strutturata in undici capitoli, la pubblichiamo in tre articoli.
Ecco a voi il primo.]

Parte 1: Un’avventura senza ritorno

Ho approcciato timidamente le prime pagine di quell'incredibile avventura chiamata Infinite Jest: anche più che quella del povero David, ho sempre in testa l'immagine del mio concittadino Edoardo Nesi, che ha tradotto questo capolavoro in orario notturno, quando ancora era ingabbiato nel mestiere d'imprenditore (cosa che mi commuove ancora di più da quando sono ufficialmente una studentessa di Lingue e letterature straniere). La disperata arringa di Hal Incandenza, che molti di noi non potranno fare a meno di sentire nelle vene, ci introduce a uno degli scontri fondamentali di questa grande impresa umana e letteraria: autenticità e sensibilità personale vs mediocrità del mondo.

«La mia domanda d'ammissione non l'ho comprata», sto dicendo loro, nell'oscurità della caverna rossa che si apre di fronte ai miei occhi chiusi. «Non sono solo un ragazzo che gioca a tennis. La mia è una storia intricata. Ho esperienze e sentimenti. Sono una persona complessa.

«Leggo, io», dico. «Studio e leggo. Scommetto che ho letto tutto quello che avete letto voi. Non pensate che non abbia letto. Io consumo le biblioteche. Logoro le costole dei libri e i lettori Rom. Sono uno che fa cose tipo salire su un taxi e dire al tassista: "In biblioteca, e a tutta". Con il dovuto rispetto, credo di poter dire che il mio intuito riguardo alla sintassi e alla meccanica sia migliore del vostro.

«Ma vado oltre la meccanica. Non sono una macchina. Sento e credo. Ho opinioni. Alcune sono interessanti. Se me lo lasciaste fare, potrei parlare senza smettere mai. Parliamo pure, di qualunque cosa. Credo che l'influenza di Kierkegaard su Camus venga sottovalutata. Credo che Dennis Gabor potrebbe benissimo essere stato l'Anticristo. Credo che Hobbes non sia altro che Rousseau in uno specchio oscuro. Credo, con Hegel, che la trascendenza sia assorbimento. Potrei mettervi sotto il tavolo, signori», dico. «Non sono solo un creātus, non sono stato prodotto, allenato, generato per una sola funzione».

Apro gli occhi. «Vi prego di non pensare che non m'importi».

Li guardo. Davanti a me c'è l'orrore. Mi alzo dalla sedia. Vedo mascelle crollare, sopracciglia sollevate su fronti tremanti, guance sbiancate. La sedia si allontana da me.

«Santa madre di Cristo», dice il Direttore.

«Sto bene», dico loro restando in piedi. A giudicare dall'espressione del Decano giallastro, li ho impressionati. La faccia di Affari Accademici è invecchiata di colpo. Otto occhi si sono trasformati in dischi vuoti fissi su ciò che vedono, qualunque cosa sia.

«Mio Dio», mormora Affari Atletici.

«Vi prego di non preoccuparvi», dico. «Posso spiegare». Carezzo l'aria con un gesto tranquillizzante.

Parte 2: Ogni cosa è ipotetica

Nel corso dei miei brevi spostamenti via treno sto riuscendo piano piano ad andare avanti con l'avventura di Infinite Jest: più procedo con questo capolavoro, più mi rendo conto di quanto sarà difficile per me provare a commentarlo/recensirlo. L'effetto Infinite Jest è dare un'occhiata al curriculum della mia docente di francese e, notando che ella ha tra le proprie pubblicazioni un contributo al dizionario lessicografico del Quebec, chiedermi quali siano i suoi eventuali legami con il movimento separatista. È accompagnare un nuovo amico a fare la spesa per i suoi coinquilini e chiedermi se dopo il fatale anno del pannolone per adulti Depend non ci aspetti quello della passata di pomodoro Crai. È sognare un film sull'Università di Firenze diretto da Lui in Persona (prodotto dalla "Poor Yorick Entantainment", ovviamente). Vi auguro la buonanotte con il sogno filosofico-geometrico-tennistico di Hal Incandenza.

"In questo sogno, che faccio ancora di tanto in tanto, sono in piedi sulla linea di fondo di un campo da tennis gargantuano. Sto giocando una partita di torneo: ci sono gli spettatori e l'arbitro. Però mi sembra che, forse, il campo da tennis sia grande quanto un campo da football. È difficile da dire. Ma soprattutto è un campo complicato. Le righe che delimitano e definiscono il gioco su questo campo sono intricate come una scultura fatta con lo spago. Ci sono linee che vanno in ogni direzione, e corrono oblique e si incontrano e formano relazioni e riquadri e fiumi e affluenti e sistemi dentro i sistemi: linee, angoli, corridoi e spigoli si liquefanno in una macchia indistinta contro l'orizzonte della rete lontana. Io sono lì ed esito. L'intera visione è quasi troppo complicata per provare a comprenderla tutta insieme. È semplicemente enorme. E c'è un pubblico. Una folla silenziosa vestita dei colori agrumati dell'estate, immobile ed estremamente attenta, si materializza a quella che potrebbe essere la periferia del campo. Un battaglione di giudici di linea vigila in giacche sportive e cappelli da safari, le mani incrociate sulla patta dei pantaloni. In alto sopra le loro teste, vicino a quello che potrebbe essere il palo che regge la rete, c'è l'arbitro in giacca blu che sussurra Giocate nel microfono collegato al sistema d'amplificazione del suo seggiolone altissimo. La folla, immobile e attenta, è un quadro. Ruoto lo strumento nella mano e faccio rimbalzare sul campo una palla gialla nuova. Cerco di capire dove dovrei tirare il servizio in tutto quel casino di linee. Riesco a individuare nelle gradinate di sinistra il parasole bianco della Mami; è così alta che il suo ombrellino torreggia sui vicini di posto; siede in un piccolo cerchio d'ombra, i capelli bianchi, le gambe incrociate, e tiene alzato uno dei suoi pugni delicati, chiuso a dimostrare il suo incondizionato sostegno.

L'arbitro sussurra Giocate Per Favore.

Si può dire che giochiamo. Ma in un certo senso è tutto ipotetico. Perfino il «noi» è teoria: non riesco mai a vedere bene l'avversario, per via di tutto l'apparato del gioco.”

Parte 3: Per cosa moriresti, Steeply?

Vorrei poter aggiornare più spesso il mio diario di lettura, ma purtroppo sto procedendo molto a rilento causa impegni universitari/stanchezza serale. Che cosa starà facendo lassù, il nostro David? Il Paradiso è sicuramente troppo "mainstream" per lui: me lo immagino piuttosto su Tlön insieme all’amico Jorge, mentre sfoglia con scetticismo l'Enciclopedia Brittanica. Al tavolo accanto Pierre Menard e James Incandenza discutono accesamente di Lynch, Kierkegaard, Don Chisciotte e meta-fiction. Ma tornando a noi... Stasera vi dedico un brano d'antologia: l'agente in incognito Steeply e Marathe il rivoluzionario di professione riflettono sul concetto di fanatismo.

Marathe si era risistemato sul sedere. «Ve l'hanno insegnato che la vostra parola Usa per fanatico deriva dalla parola latina per "tempio" ? Vuol dire, alla lettera, "adoratore del tempio"».

«Oh, Gesù, ecco che ci risiamo », disse Steeply.

«E la stessa cosa vale, se permetti, per questo amore di cui parli, il grande amore di M. Tine. Significa solo attaccamento. Tine è attaccato, fanaticamente. I nostri attaccamenti sono il nostro tempio, ciò che adoriamo, no? Ciò a cui ci dedichiamo, ciò che rivestiamo di fede».

Steeply fece un gesto di trita familiarità. «Eeeeecco che ci siamo».

Marathe lo ignorò. «Non siamo tutti fanatici? Dico solamente quello che voi degli Usa fingete di non sapere. Gli attaccamenti sono una faccenda molto seria. Scegli con cautela i tuoi attaccamenti. Scegli il tuo tempio di fanatismo con grande cura. Quello che vuoi cantare come amore tragico è un attaccamento scelto male. Morire per una persona? Questa è follia. Le persone cambiano, partono, muoiono, si ammalano. Ti lasciano, mentono, si arrabbiano, si ammalano, ti tradiscono, muoiono. La tua nazione ti sopravvive. Una causa ti sopravvive».

«A proposito, come stanno tua moglie e i tuoi ragazzi, lassù in Canada?»

«Voi degli Usa non sembrate credere di poter scegliere, ognuno di voi, la cosa per cui morire. L'amore di una donna, l'attrazione sessuale, ti rinchiude in te stesso, ti rende meschino, forse anche pazzo. Scegli con cura. L'amore per la tua nazione, il tuo paese e la tua gente, quello dilata il cuore. Una cosa più grande del sé».

Steeply si mise una mano fra i seni mal orientati: «Ohh... Canada...»

Marathe si sporse di nuovo in avanti sui moncherini. «Fai tutto lo spirito che desideri. Ma scegli con cura. Si è ciò che si ama. No? Si è, solo ed esclusivamente e completamente, ciò per cui si morirebbe senza pensarci due volte, come dici tu. Tu, M. Hugh Steeply: per cosa moriresti senza pensarci due volte?»

Parte 4: La sensibilità di Hal

Gli intenditori sapranno che il celeberrimo album London Calling è stato spesso considerato un simbolo degli anni 80, pur essendo uscito nel dicembre del 1979: la sua proposta era troppo moderna, infatti, per inserirsi pienamente nello spirito degli anni 70. Qualcosa di simile si potrebbe affermare per Infinite Jest: il romanzo è stato pubblicato nel 1996, ma raramente mi è capitato di trovarmi di fronte a un'opera che raccontasse così efficacemente il 21esimo secolo. Torno al mio personaggio del cuore Hal Incadenza, alter-ego del suo autore e sotto certi aspetti il vero protagonista di questa mastodontica storia corale: mi sento di dire che, come tutti i più grandi personaggi della storia delle letteratura, Hal Incandenza è una figura universale che però racconta molto del suo tempo.

In una delle suo note più calzanti, il nostro David riassume la sofferenza di chiunque veda la propria preziosissima sensibilità soffocata dalle pressanti richieste della società di massa, dall'antagonismo sociale, dalla convinzione ormai interiorizzata che le abilità e le passioni siano valide soltanto quando sono in grado di garantirti una borsa di studio.

"Per qualche tempo intorno ai 2-3 anni si era pensato che Hal Incandenza fosse affetto da una forma di Disturbo da Deficit dell'Attenzione - in parte per la rapidità con cui leggeva e per il pochissimo tempo passato per salti di livello nei diversi videogame pre-Cd-Rom, in parte perché allora quasi ogni ragazzino di classe sociale elevata che fosse anche solo lievemente a dritta o a babordo dell'acme della curva a campana veniva considerato affetto da Dda - e per un po' c'era stato un certo viavai specialistico, e molti di quegli specialisti erano veterani di Mario ed erano naturalmente precondizionati a considerare menomato anche Hal. Ma grazie al buon senso del Centro di Sviluppo Infantile di Brandeis i giudizi di menomazione non furono soltanto ritirati ma anche convertiti nel loro contrario, all'estremo opposto del continuum Menomato-Prodigio, e per la maggior parte della sua glabra infanzia Hal fu classificato come una via di mezzo fra «Vicino al Prodigio» e «Prodigio» - per quanto si debba ammettere che parte di questo alto piazzamento cerebrale era dovuta alla tendenza dei test diagnostici del Centro di Sviluppo Infantile a non andare tanto per il sottile nella distinzione fra il puro talento neurologico e l'interesse e lo sforzo ossessivo monomaniacale del giovane Hal, impegnato nel tentativo di compiacere una o più persone come se da questo dipendesse la sua stessa vita, anche se nessuno aveva mai accennato al fatto che la sua vita dipendesse dall'apparire prodigioso o precoce o anche soltanto eccezionalmente compiacente - e quando ebbe mandato a memoria interi dizionari e software di controllo grammaticale e manuali di sintassi ed ebbe trovato alcune occasioni per recitare brevi estratti di ciò che si era inculcato nella Ram per una madre orgogliosamente impassibile o perfino per un padre ormai del tutto fuori di testa, in questi momenti di pubblico spettacolo e piacere - il Distretto Scolastico di Weston Ma all'inizio degli anni Novanta a.S. aveva organizzato gare interscolastiche ortograficamente ossessionanti sui livelli di lettura e memorizzazione chiamate «Battaglia dei Libri», che avevano rappresentato per Hal una prova del fuoco pubblica e un tripudio di approvazione quando aveva estratto quanto desiderato dalla memoria pronunciandolo impeccabilmente di fronte a certe persone, aveva sentito quasi la stessa dolce aura pallida data da uno strascico di bagliore da Lsd, una corona lattea, quasi un'aureola di grazia ricevuta, resa infinitamente più lattea dall'ineccepibile nonchalance di una Mami pronta a dichiarare con fermezza che il valore del figlio non era contingente alla vincita del primo o perfino del secondo premio, figuriamoci.”

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