Giovedì, 31 Maggio 2018 16:18

Debora Gatelli - La morte di Prisca

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3 Luglio 2018, ore 11.30, Ospedale Saint Jean, Bruxelles, modalità gemello buono.

La sala d’attesa è strapiena, il mio appuntamento è adesso ma la dottoressa è in ritardo, dunque dovrò aspettare. Anche la Vichinga numero due è in ritardo, il termine per il parto scadeva il primo luglio ma lei di nascere non ne ha proprio nessuna voglia. Infatti sono qui per il controllo e per il monitoraggio: se non si smuove nulla nei prossimi quattro giorni dovranno indurmi le contrazioni.

A me in effetti non dispiace affatto tenerla dentro ancora un pochino. Mi piace essere incinta, non mi dà nessun fastidio e per tutta la gravidanza ho continuato a condurre la mia vita quasi come se niente fosse.

Davvero non capisco tutte quelle donne che dal settimo mese in poi cominciano a lamentarsi, dall’alto dei venti e passa chili che hanno messo su, con piagnistei del tipo: “Non ce la faccio più, non vedo l’ora che esca, non riesco nemmeno a camminare”.

Io sono molto più preoccupata per quanto riguarda il dopo! Quando la nanetta avrà messo piede fuori dalla mia pancia, allora sì che il gioco si farà impegnativo; ecco perché evito di pensarci troppo e mi godo gli ultimi giorni di quiete. In fondo, finché sta dentro, non piange e non ha bisogno di nulla.

Sto aspettando già da più di un’ora, per fortuna mi sono portata un libro da leggere. Le riviste in francese che vedo sul tavolino non sono certo il mio genere; non seguivo il gossip quando vivevo in Italia, figuriamoci qui in Belgio dove non conosco nemmeno minimamente i protagonisti delle pagine patinate.

La vichinga numero due continua a muoversi e a puntare i piedi contro la mia vescica, ma non ci casco più: sono tutte finte, ormai l’ho capito. Andrò in bagno per la terza volta da quando sono arrivata, sperando sia l’ultima. Ecco, una cosa che non mi mancherà della gravidanza è la navetta ininterrotta verso la toilette, di giorno ma soprattutto di notte.

“Madame Aramini?” la dottoressa si affaccia alla porta con la sua solita aria brusca e sbrigativa. Magra, scattante e con i capelli corti, è una che non bada ai convenevoli, ma un sorriso e una breve frase di scuse per il mostruoso ritardo con cui mi sta ricevendo avrebbe anche potuto produrli.

“C’est moi”, mi affretto a rispondere mentre scatto in piedi sorridendo al posto suo. Chissà perché mi sento sempre in dovere di compensare le mancanze degli altri? Quando la finirò di agevolare sempre il compito a tutti anche quando sono in torto marcio?

Comunque, finalmente mi visita e in dieci minuti al massimo mi liquida: “Voilà, tutto tace signora, nessun segno di contrazioni e tanto meno di dilatazione. Ci rivediamo tra tre giorni alla stessa ora, cerchi di muoversi parecchio e faccia le scale il più possibile”.

Insomma ho perso praticamente tutta la giornata per sentirmi dire sempre la solita cosa. Ora ho giusto il tempo di arrancare verso casa, mangiarmi un panino al volo e poi incamminarmi verso il nido per recuperare la Vichinga numero uno.

4 Luglio 2018, ore 16.15, Ospedale Saint Jean, Bruxelles, modalità gemello cattivo.

Per fortuna che tutto taceva ieri alla visita di controllo! Quel babbeo del gemello buono è talmente calato nella parte della “donna gravida perfetta” che nemmeno si è reso conto dei terribili crampi che da stamattina mi stanno piegando in due. Cosa pensava di fare, la gravidanza dell’elefante? Sono già passati quattro giorni dal termine, era più che ora che succedesse qualcosa! Eppure, se non avessi chiamato io un taxi in fretta e furia, a quest’ora sarei ancora a casa a valutare se sia davvero il caso di allarmarsi oppure no.

E dire che io non sono una che si allarma facilmente, ma avendone già sperimentato uno di parto, so per certo che questi dolori non preannunciano niente di buono. Ho fatto appena in tempo a chiamare Adelaide che grazie al cielo andrà a prendere la Vichinga numero uno al nido; sapere che se la terranno a casa lei e Manfredi mi tranquillizza. Già partorire non è una passeggiata, se poi devo anche avere l’ansia che il nido chiuda prima che il Fiammingo riesca a materializzarsi sul posto per recuperarla, ciao.

Già, perché il Fiammingo ovviamente è al lavoro e ha la suoneria abbassata o non so quale altra scusa del cavolo, fatto sta che quando l’ho chiamato dal taxi non mi ha risposto. Mi sembra ovvio no? La tua ragazza deve partorire da un momento all’altro, sei a sessanta chilometri di distanza e tieni il telefono fuori portata. Ora ve lo dico io come andranno le cose: fra una mezzora lui salterà in moto per tornare a casa, ovviamente senza controllare il cellulare, aprirà la porta fresco come una rosa e non trovando né me né la figlia grande gli si accenderà una lampadina e penserà che forse la figlia piccola ha deciso di fare il suo ingresso in questo mondo proprio oggi. “Nata il 4 luglio” borbotterà tra sé e sé, “chi era l’attore nel film? Tommaso Crociera, sempre lui?” gli sembra, ma non ne è del tutto sicuro. A quel punto afferrerà il telefono, vedrà la mia chiamata persa, mi richiamerà e ovviamente io non gli risponderò perché sarò in sala parto. Quello che deciderà di fare a quel punto non mi va nemmeno di provare a prevederlo perché mi viene il nervoso solo al pensiero.

E poi ora ho altro di cui occuparmi. Sono in sala parto da nemmeno un’ora e intorno a me c’è troppo fermento per i miei gusti; la volta scorsa c’era solo un’ostetrica discreta che entrava e usciva ogni tanto per controllare, mentre ora le ostetriche sono due e si parlano in fiammingo stretto per non farmi capire una mazza. Mica sono scema, l’ho nasato subito che c’è qualcosa che non va. E’ già arrivata anche la ginecologa musona e secca coi capelli corti, che guarda caso appena è entrata mi ha fatto un sorriso mai visto prima in nove mesi e quattro giorni di gravidanza. Che genio, se voleva farmi insospettire e preoccupare ci è riuscita in pieno.

“Madame Aramini, dobbiamo spicciarci, dal monitoraggio appare un po’ di sofferenza fetale, ho bisogno che la bambina nasca in poche spinte”.

L’ultima volta che ho guardato l’orologio erano quasi le 18, che cosa pensa questa dottoressa, che io abbia intenzione di far nottata qui con lei a suon di spinte e contrazioni? Ovvio che anche io non vedo l’ora di concludere! Come se dipendesse da me poi, il numero di spinte necessarie a far nascere una bambina che non ha nessuna intenzione di collaborare.

Le ostetriche mi ronzano intorno come api operaie, mi fanno girare la testa. La dottoressa lancia direttive in fiammingo sempre più stretto, al diavolo l’inutile corso di olandese che ho fatto l’inverno scorso, soldi buttati nel cesso se poi non posso nemmeno capire cosa stia succedendo durante il MIO parto. Mi sento piuttosto debole, forse è passato molto più tempo di quanto non pensassi. Che ore saranno? Mi pare di udire il trillo del mio cellulare in lontananza, ma non ricordo di aver portato la borsa in sala parto, non ne sono sicura. Il Fiammingo dove sarà? Sento un ago infilarsi nel braccio destro, le voci attenuarsi, mi si annebbia la vista.

5 Luglio 2018, ore 4.00, Ospedale Saint Jean, Bruxelles, modalità non pervenuta.

La Vichinga numero due finalmente è nata. Dopo essersi fatta attendere da vera star, non ha resistito alla tentazione di fare anche un bell’ingresso ad effetto: cesareo d’emergenza con complicazioni di ogni genere. E poi però eccola qui, quasi quattro chili di polpetta con i capelli neri e le guance paffute di chi per nove mesi non ha fatto altro che mangiare e dormire.

L’ho vista mentre la tiravano fuori appena in tempo prima che il cordone ombelicale la strangolasse, mi è parsa subito bellissima, forse ancora più bella della Vichinga numero uno. L’ho vista quando l’ostetrica l’ha avvolta nell’asciugamano bianco per ripulirla un poco, prima di metterla in braccio al Fiammingo. L’ho vista anche se in teoria non avrei potuto vedere niente, perché in quel momento ero sotto anestesia con un tubo infilato in gola. Ma ho visto anche quello.

Dunque ce l’ha fatta ad arrivare il mio Fiammingo sbadato, non voglio nemmeno sapere come si è arrangiato, sono solo contenta che ci sia. Dovrebbe essere contento anche lui di non essersi perso la nascita della Vichinga, eppure continua a piangere.

Strano, lui non piange mai. Sarà la commozione? La troppa gioia?

Accarezza la testolina della bimba che si è addormentata sul suo petto e piange. Guarda verso di me. Vorrei dirgli “Ora mi sveglio, cosa piangi? Dai tempo all’anestesia di far passare il suo effetto…da quando sei diventato così impaziente e emotivo?” ma la voce non mi esce.

Mi vedo da lontano, sono pallida come mai in vita mia. Non ho più quel tubo in gola. Continuo a non capire come mai io riesca a vedere tutto quanto, nonostante i miei occhi restino chiusi.

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