Particolari

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Ognuno aveva una particolarità.
Marta, quando dormiva, aveva le palpebre che diventavano nere. Ma non sempre, solo quando la giornata era stata brutta. La mattina tornava quasi normale. Non proprio, ma quasi.
Giovanni a seconda dell’umore poteva diventare trasparente. Un giorno ebbe una lite furibonda con la fidanzata e scomparve per una settimana, nessuno riusciva a vederlo. Non parlava, per giunta.
Michele diventava più alto a seconda dei profumi. Se sentiva odore di rosa era capace di crescere di un metro e mezzo. Con i tulipani, invece, non succedeva nulla. Cresceva molto anche con l’odore delle rotaie dei tram, ma solo se i tram ci erano passati da poco e avevano lasciato l’odore della frenata.
Poi c’erano i più strani.
Rosalinda dimagriva o ingrassava a seconda di chi incontrava, la mattina, appena uscita da casa. Se incontrava un uomo poteva prendere fino a cinquanta chili, se incontrava una donna ne perdeva fino a cinque. Una volta incontrò, simultaneamente, una coppia di sposi. Il suo corpo impazzì, per due ore mutò tremendamente. Chi la vide non riusciva a capire se fosse una fotomodella o un ippopotamo, difatti dimagriva di cinque e ingrassava di cinquanta a ripetizione. Nel giro di un’ora arrivò a pesare ottocentosettanta chili.
Poi c’era Marco. Marco faceva il regista. Il suo mutare non dipendeva da lui ma dal comportamento della sua fidanzata. Più lei lo tradiva, più lui diventava un mafioso. Lei un giorno fece un’orgia, poco dopo lui chiese il pizzo in un ristorante cinese.
Lo trovarono qualche giorno dopo, in una discarica, stranamente i suoi occhi sembravano lietissimi.
Il cane Ugo aveva una particolare particolarità. Se vedeva un gatto si trasformava in un topo. Se vedeva un topo si trasformava in un gatto. Tutto ciò non gli procurò nulla di disdicevole. A parte una volta, quando incontrò Panza, una gatta che si trasformava in topa quando incontrava un cane. Ebbero un figlio, Mario.
Mario non aveva nessuna particolarità, era un uomo normale.

Il figlio del cane Ugo e della gatta Panza non sapeva cosa fare. Avere per genitori due animali dalla razza diversa lo aveva destabilizzato. Aveva fatto le elementari dai figli dei gatti e le superiori da quelli dei cani. Era andato in una università per figli di topi. Adesso aveva un lavoro, era impiegato presso una società di ricerca scientifica. Biologo. Aveva una compagna, una casa in affitto, insomma, era un uomo normale. Ma il conoscere la natura della sua procreazione lo rendeva cupo e triste.
I genitori non andava quasi mai a trovarli, e le poche volte sempre con imbarazzo. Erano il cane e la gatta più longevi del mondo. Molto spesso si era domandato se non sarebbe stato meglio che fossero morti. Con il lutto avrebbe finalmente potuto dimenticare la sua vera natura. Invece nulla, avevano ormai 28 anni l’uno e stavano benissimo. Un veterinario di fama internazionale li aveva visitati e aveva detto: “hanno il fisico di due animali di cinque anni”. Un altro aveva sentenziato: “forse in loro c’è il mistero dell’immortalità”. L’ultimo era come impazzito, avevano dovuto staccarlo a forza da Panza mentre cercava di strangolarla. Subito dopo dichiarò: “in loro vive satana, bisogna ucciderli”. Fu ricoverato a forza.
Fatte le dovute proporzioni, secondo i calcoli del primo dottore,  i cinque anni dei genitori corrispondevano ai ventotto di un uomo. Tutto tornava; avendo generato un umano ne avevano preso la longevità. Sarebbero vissuti, salvo ignari e benedetti automobilisti ubriachi, ancora per molti e molti anni. E lui si intristiva, al pensiero, poi si arrabbiava per quella sensazione, poi, ancora, si intristiva ulteriormente per quella rabbia. Era in un vicolo cieco.
Una notte arrivò a pensare di ammazzarli. In fondo cosa rischiava? La legge come lo avrebbe punito? Assassino di genitori o di due povere bestiole? Ergastolo o multa di qualche euro? Non lo sapeva, avrebbe voluto chiederlo ad un avvocato ma si vergognava. Cercò di cancellare quel pensiero dalla sua mente quando un giorno ricevette una telefonata.
Era un venditore di regole. Gli disse: “le posso vendere quattro piccole e semplici regole a buon prezzo, siamo in periodo di saldi, le interessa?”. Accettò di buon grado

Le quattro regole erano:
Dimentica di chi sei figlio.
Dimentica il nome tuo.
Dimentica il nome dell’amata, quando ci sarà.
Quando avrai dimenticato tutto, fai un figlio e chiamalo Meticcio.

Mario si dimenticò di chi era figlio. Si dimenticò di chiamarsi Mario. Si innamorò e si dimenticò il nome dell’amata. Fece un figlio e lo chiamò Meticcio.Meticcio era il più particolare uomo degli uomini particolari. Aveva le sembianze di un uomo, ma ogni volta che incontrava un essere diveniva anche quell’essere. Era un meticcio vivente. La parte esteriore era la sua, mentre quella interiore assumeva la forma di chi incontrava.
Era uno schizofrenico delle altrui personalità.
Fino ai vent’anni studiò e divenne professore, studente, bidello. Uomo, donna. Divenne padre, madre. Topo, gatto, cane.
Poi si innamorò. Divenne un po’ uomo, un po’ donna. Un po’ amato, un po’ amata. Poi lei lo tradì. Lui divenne tradito e traditore.
Le conseguenze del suo essere meticcio continuavano a mutare. Tradito, traditore, geloso, fedifrago.
Fumò dell’hashish e divenne spacciatore. Da spacciatore, tossico. Andò in cura e divenne curatore, uno dei suoi pazienti scappò dalla casa di cura. Lui smise di curare e non si drogò più.
Quando faceva parte di un gruppo diveniva incrocio di tutte le vite altrui.  Non più solo fuori e dentro, come estremità, ma vero e proprio mosaico vivente.
Le persone, in lui, vedevano la somma delle loro personalità, ma senza saperlo.
Un giorno incontrò il venditore di regole, ormai vecchio.
Ho un’ultima regola da vendere, la vuoi comprare?
Divenne venditore di regole.
L’ultima era: vattene.

Se ne andò di mattina, c’era la nebbia.



Foto di Dino Morri, tratta da People di Dino Morri e Renzo Semprini Cesari, in uscita ad aprile 2018 per Jona Editore

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