Tu lo sai chi è Papone?

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Questa è la prima delle "storie" che pubblichiamo. Storie vere, nessuna invenzione. Storie di persone che hanno lasciato un segno con  un modo di vedere e di interpretare le regole e la vita. Persone a cui vogliamo bene, anche senza averle mai conosciute; persone  a cui siamo grati, anche se non glielo abbiamo mai potuto dire.
Su gentilissima concessione di Barbara, autrice dello scritto, e con la approvazione di Rachel, la figlia di Papone, ecco a voi:



Giuseppe Sonnino è molto noto in “Piazza”, al Portico d’Ottavia dove è conosciuto con l’affettuoso nomignolo di Papone. Parla bene l’ebraico, scandendo le sillabe con il caratteristico accento degli ebrei romani. Scherza sempre con tutti, e alcune volte i suoi scherzi sono grevi, ma questa è una sua caratteristica.
Nei suoi ricordi parla sempre di quando faceva “er sordato” in Israele, cominciando nella “mahteret”, la resistenza, appena prima della proclamazione dello Stato, e poi nell’Haganà, l’esercito regolare.
Forse non sa che il caso ha voluto che partecipasse alle più importanti battaglie delle neonate forze armate d’Israele. E non sa neppure di essersi comportato da eroe.
L’avventura di “Papone” inizia nel 1945 quando, appena sedicenne, decise di recarsi in Palestina, dove frequentò – dopo un breve soggiorno al campo di transito di Beit Lid – la scuola agricola di Ben Shemen.
Da lì entrò a far parte del Kibbutz di Givat Brenner dove, nel 1947 iniziò l’addestramento militare.


L’azione per Papone cominciò lo stesso anno quando una nave di profughi proveniente dall’Italia, la “Shabatay Luscinsky”, si arenò sulla costa e fu individuata dagli inglesi, avvertiti dagli arabi di un villaggio vicino.
Un centinaio di giovani di Givat Brenner (tra cui il nostro “Papone”) si recarono immediatamente sul luogo dello sbarco dei profughi e scambiarono i propri indumenti con quelli degli immigrati illegali, per farsi arrestare dagli inglesi al posto loro e permettere agli sbarcati di recarsi nei kibbutzim vicini.
l giovani di Givat Brenner furono infatti arrestati e condotti a bordo di una nave da guerra britannica a Cipro e poi internati in un campo di concentramento dove fu facile dimostrare di essere legalmente residenti in Palestina ed essere quindi rilasciati e riportati a Haifa.
Alla fine dell’anno, quando gli inglesi si apprestavano a lasciare la Palestina e la fondazione dello Stato Ebraico era ormai data per certa, Giuseppe Sonnino venne regolarmente arruolato nell’Haganà. Alla domanda di rito: “Dove preferisci andare?”, questi rispose: “in Marina”; al che l’ufficiale arruolatore, con un sorriso: “Quando avremo le navi te lo faremo sapere”.
Arruolato nella brigata Ghivati – tuttora uno dei reparti di “élite” dell’esercito israeliano – viene aggregato al 52° reggimento che diverrà famoso nell’epopea militare della guerra di liberazione israeliana per essere stato una delle unità combattenti che ha partecipato alle più numerose e rischiose azioni di guerra del 1948.
Sonnino partecipa alle battaglie di Latrun, Nitzanim, Giaffa, Tel Nof, Ramat Hakovesh, Ibdis, Ecron; è tra i primi ad entrare a Sarafand, l’accampamento militare inglese più grande del Medio Oriente; è tra coloro che espugnano la Collina 69 e combattono alla Collina 113 ed espugnano le roccaforti di Kubeba e Saranuga… Nomi e luoghi che ormai fanno parte della storia di Israele.
Oggi Sonnino non sa di essere tra i pochi sopravvissuti a coloro che di notte portavano armi, cibo e munizioni al kibbutz Negba, assediato dalle truppe egiziane, attraversando le linee nemiche.
Coloro che sono sopravvissuti alle guerre e all’età (sono passati 50 anni!) e che hanno partecipato a quelle azioni, sono oggi onorati e riconosciuti come eroi in Israele.
La battaglia della Collina 113 combattuta (e persa) contro un intero battaglione di sudanesi che non fece prigionieri, finendo a colpi di baionetta i feriti, fa parte dei testi militari più importanti della storia d”Israele.
Ecco il racconto di quanto accaduto nelle parole di Giuseppe Sonnino.

Ricordo l’attacco alla Ghivà 113. Durò tutta la notte iniziando all’una circa. I comandanti ci avevano detto di non preoccuparci poiché si trattava di un’azione molto semplice. Ma non fu così: i soldati arabi erano centinaia. Erano sudanesi che facevano parte dei battaglioni d’assalto dell’esercito egiziano. La nostra unità era invece composta di soli trenta elementi.
Nei primi attimi di scontro morirono subito 13 dei nostri e vi furono numerosi feriti. Il nostro comandante decise, ad un certo punto, che la cosa più saggia da fare fosse quella di ritirarsi, lasciando a terra i morti e portando con noi solo i feriti fino al posto di raggruppamento a circa due chilometri di distanza. Non fu facile abbandonare i corpi dei nostri compagni, ma il bisogno di sopravvivere era più forte.
Tornati indietro e fatto l’appello constatai che il mio caro amico e commilitone, italiano Renzo Sornaga, anch’esso, di Firenze, non c ‘era…
Chiesi al mio comandante il permesso di tornare indietro per cercarlo. Il capitano mi disse che avevo solo un’ora e mezza a disposizione, cioè prima del sorgere del sole.
Corsi per circa un chilometro e mezzo, dopodiché cominciai ad avanzare lentamente poiché già intravedevo le sagome dei nemici.
Vidi che colpivano a colpi di baionetta i corpi prostrati al suolo.
A questo punto sparai nel gruppo tutti i colpi dei miei due caricatori lanciando anche l’unica bomba a mano in mio possesso e decisi di avanzare ancora per qualche metro sussurrando la nostra parola d’ordine: O’Bischero
Ad un certo punto sentii afferrare i miei pantaloni e, guardando per terra, vidi con immensa gioia Renzo Sornaga, ancora vivo, ferito all’inguine. Cercai di aiutarlo e, trascinandolo gli dissi. “O’bischero! Se riesci ad aggrapparti a me torniamo indietro!” Finalmente arrivammo al punto di riunione dove mi stavano aspettando poiché avevano sentito il rumore delle mie raffiche. Renzo fu trasportato su di una jeep all’ospedale.
“Dopo la convalescenza, partecipammo, ancora insieme all’occupazione di Kubeba, dove perse la vita un nostro caro amico, italiano di origine turca, Romano.
In seguito ad una ennesima battaglia, vicino a Beer Tuvia, Sornaga fu ferito di nuovo, questa volta ad una spalla.
Ora, dopo tanti anni, a Roma, sono stato invitato a partecipare ad una manifestazione per il 50° anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, dove ho ricevuto un attestato al valor militare. In questa occasione ho avuto il piacere di rivedere Renzo Sornaga, il mio amico di Firenze, ed è stato bello perdersi nel ricordo del passato fatto di tante forti emozioni.

Questa è la storia di Papone… In qualche altra parte del mondo, avrebbe il petto coperto di medaglie. Per Israele è uno dei tanti che hanno partecipato alla lotta per l’indipendenza. Per Papone è giusto che sia così e continua a giocare la schedina al totocalcio perché, se vince, vuole comprare un appartamentino ad Arad, una città nel deserto del Neghev, dove gli piacerebbe trascorrere la vecchiaia.

Ecco, adesso lo conoscete anche voi questo grande ma umile eroe, uno degli uomini che hanno fatto la Storia di Israele.



 

 

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