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UNO

C’è qualcosa che non va. Anzi, non c’è niente che torna. Mi deve essere sfuggito il filo che teneva insieme cuore e cervello e adesso ciao, non riesco più né a riprenderlo, né a districarlo, né tanto meno a buttar via l’intero groviglio. Ho quella dannata sensazione di essermi introdotta in una stanza rotonda con il preciso intento di mettermi a sedere in un angolo. Che idiota, come ho potuto cascarci di nuovo? Mi faccio quasi compassione, qui appallottolata sulla poltrona a guardare un film che sembra raccontare la storia della mia vita. Possibile che ci si riveda tanto spesso nei film? Siamo davvero così banalmente tutti uguali? Forse sì. Eppure Ramiro no, lui non è uguale a nessuno. Anzi, è talmente fuori dal comune - o fuori di testa - che non saprei nemmeno bene come descriverlo. Un malandrino, ecco cos’è, che si sta prendendo tutto lo spazio nelle mie giornate senza lasciare impronte del suo passaggio, come se non esistesse. Bell’affare davvero, brava Tessa, la tua vita è quasi più patetica di questo film strappalacrime.

Meno male che ogni tanto c’è lo stacco pubblicitario a sdrammatizzare: merendine sane, creme miracolose e automobili superveloci da pagare in comode rate; l’occasione perfetta per andarmene in cucina ad arraffare un po’ di biscotti al cioccolato. No, decisamente così non si può andare avanti; ma non si può nemmeno tornare indietro. Dannazione.

Mollalo. Sprechi il tuo tempo. Esci con qualcun altro. Tutti saggi i miei amici: facile giocare al buon consigliere coi miei di problemi. La verità è che una volta che abbiamo attraversato di corsa un prato ricoperto di neve fresca non possiamo ripensarci tornare indietro e sperare di ritrovare il prato immacolato: le impronte di noi tutti restano lì a ricordarci la precisa traiettoria della corsa, fa eccezione solo Ramiro? Non siamo cassette musicali, non si può riavvolgere il nastro e aspettarsi di riascoltare la stessa canzone. Nella vita il tasto rewind non è previsto. C’è una sola opzione obbligata: l’effetto palla di neve, che rotola sempre più giù tirandosi dietro sbagli, dolori, fili ingarbugliati e molto altro. Alla fine della discesa ciò che potremo ascoltare sarà talmente diverso dalla maledetta canzoncina iniziale, che faremo quasi fatica a riconoscerla.

DUE

Alle 21.45 Edo saltò giù dal treno con l’agilità di un’otaria e trotterellò rapidamente verso l’uscita della stazione, il cappuccio della giacca bordato di pelo a coprirgli la faccia facendolo somigliare a un eschimese. Pioveva, faceva freddo e non aveva ancora avuto nemmeno tempo di mangiare qualcosa. Scese le scale della metro e il cellulare iniziò a suonare. Tentò di rispondere senza smettere di camminare e senza posare né l’ombrello, né i tre libri che stringeva sottobraccio. Lo zaino gli s’impigliò nel corrimano e gli fece perdere l’equilibrio, ma riuscì a non cadere.

“Pronto. Sì sono io. Mh. Va bene non si preoccupi, contatto il professore domani in mattinata. No, nei prossimi giorni sarò all’estero, potremmo organizzare un incontro verso metà della settimana prossima. Perfetto. La ringrazio. Ci sentiamo domani per definire il tutto. Buona serata”.

Nel frattempo era riuscito a salire sul metrò senza sbagliare direzione, aveva trovato un posto a sedere, e già si apprestava a fare una nuova telefonata per risolvere quella nuova questione. Si chiese come mai il suo cellulare funzionasse anche lì, nelle viscere della terra, mentre sua sorella ovunque si trovasse non riusciva mai a fare una chiamata senza che cadesse la comunicazione. Da quando si era trasferito a Roma si vedevano di rado e la cosa pesava a entrambi. Lei era petulante e polemica, ma gli parlava di ogni cosa e vedeva in lui un punto fisso nella sua vita traballante. Lui la adorava e avrebbe fatto qualsiasi cosa per supportarla nelle sue volubili e folli iniziative. Il loro rapporto poteva riassumersi con un “mi appoggio a te così intanto ti sorreggo” e la lontananza geografica era chiaramente un ostacolo molesto. Edo, il cellulare all’orecchio, si rosicchiò un’unghia nervosamente mentre pensava che stava perdendo il controllo della situazione: non sapeva nemmeno più con chi stesse uscendo sua sorella. La frenata brusca e il rumoroso aprirsi delle porte della metropolitana scacciarono il moto di gelosia, che già stava affiorando, e ritornato quello di prima uscì spedito dal convoglio, sbadigliando sia per la fame sia per il sonno. E dimenticando l’ombrello sul sedile. Quando riuscì a ricordarsi la strada e imboccò il vialetto che conduceva al portone erano quasi le 23.00. Speriamo bene, pensò mentre suonava il campanello.

TRE

Quando Ramiro spense il computer e guardò l’orologio gli venne un colpo: non aveva cenato, non era andato a giocare a tennis, non aveva chiamato Tessa per il loro rituale aperitivo sul fiume - estate e inverno, tanto il fiume è sempre bello, e guarda come siamo fortunati ad avere questa bella vista gratis - insomma il tempo era volato. Almeno era riuscito a rimettere a posto le foto dell’ultimo viaggio e aveva quasi ultimato la presentazione per la promozione del suo prossimo tour-avventura, doveva solo rivedere il discorso. Si grattò la testa già spettinata peggiorando l’effetto scienziato pazzo e si alzò dalla scrivania.

Potrei mangiare qui in ufficio già che ci sono, devo avere qualcosa nel frigo. No, magari chiamo Simon e passo da lui per qualche dolcetto di quelli che fa sua mamma, buonissimi. Chissà se Tessa è rimasta a casa visto che non l’ho chiamata? Domani ho il volo per andare a discutere il nuovo progetto e non l’ho nemmeno avvertita.

Non si chiedeva spesso cosa facesse quella ragazza, così aperta e chiusa allo stesso tempo, quella strana ragazza capace di non fare domande quando urge una risposta e con il singolare potere di ottenere risposte senza domandare nulla. Non se lo chiedeva perché non ne aveva il diritto, se ne rendeva conto da solo, ma in fondo avrebbe voluto saperlo. Lei sembrava non arrabbiarsi mai, ma soffriva parecchio a causa sua. Forse non era ancora andata a dormire, avrebbe potuto passare per un saluto, le avrebbe di certo fatto piacere. Uscì dall’edificio, sorrise, e si incamminò a piedi per prendere il treno che portava in città.

QUATTRO

Ma chi diavolo suona alla porta, a quest’ora, senza avvertire? Il principe azzurro non credo, anche se dopo quel film ci starebbe bene. Che tanto, Tessa, a te i principi azzurri non piacciono, a cosa ti serve aspettarli  se poi li mandi via? Un cavaliere nero magari, ma già non se ne trovano di cavalieri, figuriamoci neri. Tutti di un grigio topo sbiadito che fanno passare la voglia ancor prima che ti venga.

Brava Tessa, brava, alla larga i principi azzurri, via i cavalieri grigi, non ti resta che lanciarti tra le braccia degli squilibrati, ottima scelta. Ma chi sarà alle undici di sera? Ramiro non si presenta mai all’improvviso, più propriamente non si presenta e basta, bisogna andare a recuperarlo chissà dove se si vuole avere il piacere di vederlo. Magari mi ha fatto una sorpresa, magari gli è successo qualcosa - ma avrebbe telefonato, no, non può essere lui, stasera sarà uscito con un’altra. Forse è solo lo scherzo di qualche ragazzino, lo facevo anch’io da piccola.

Fammi vedere che faccia ho, ecco i soliti capelli da strega, dannazione c’è un motivo se odio le visite a sorpresa, spero solo che non sia di nuovo il vicino con la scusa che ha perso il gatto perché stasera non sono proprio in vena. Ma dove diavolo sono le chiavi? Questo posto si mangia le cose, le fa sparire e poi le risputa quando ormai non servono più. O peggio, quando le ho già rimpiazzate. Ah eccole, giuro che se è il vicino … EDO! E TU COSA CI FAI QUI?

“Ah, meno male che sei a casa, mi si è cancellata un’altra volta la rubrica del cellulare, non ricordo il tuo numero a memoria e non sapevo come avvertirti. Ho fatto scalo all’aeroporto, ma ho perso la coincidenza, cerco di partire con il primo volo di domani perché devo essere in università in mattinata a tutti i costi, poi c’è il benedetto articolo che sto scrivendo con il professore della mia tesi, ti ricordi che te ne ho parlato no? Ho la scadenza tra due giorni e mi mancano ancora tutte le conclusioni. Fa un freddo cane e mi sono pure bagnato i piedi, uffa mi vien già da starnutire, meno male che ci sei, ma dove ho lasciato il mio ombrello?”

CINQUE

A metà strada tra l’ufficio e la stazione Ramiro si ricordò di avere lasciato gli appunti e la documentazione del nuovo progetto a casa del suo collega e amico Lucio. Doveva assolutamente recuperare quel materiale. Ma dove aveva la testa? Certi errori non li commetteva nemmeno da giovane; forse era proprio perché stava invecchiando che succedevano cose del genere, la troppa sicurezza non aiuta. Sorpresa a Tessa rimandata. Girò sui tacchi e si diresse spedito a casa di Lucio, in cima alla collina, circondata da un bosco dove non arrivava neppure la strada asfaltata.

Lassù c’era una vista spettacolare: le luci della città brillavano tremolanti e lontane, con la montagna alle spalle. Spesso si trovavano lì quando avevano scadenze che li costringevano a fare gli straordinari. Lucio era un tipo silenzioso, gentile e intelligente, privo di difetti, ma non affascinante. Anche Tessa lo conosceva e pensava che fosse il fidanzato ideale per qualsiasi ragazza - quindi anche per lei - poi però tornava a casa con Ramiro, che ascoltava poco, parlava tanto, assomigliava a un selvaggio ed era sfuggente.

Arrivato da Lucio, Ramiro ne approfittò per stampare il biglietto elettronico e fare il check-in on line, così da evitare la fila il giorno dopo, e tra una chiacchiera e l’altra tornò a casa a mezzanotte passata. Si dispiacque per non avere visto Tessa, ma non si può sempre fare tutto.

SEI

“Tu rifiuti di vedere le cose dal mio punto di vista, ovvio che non ci capiamo”.

“C’è poco da capire Tessa, a me dispiace solo vedere che stai male e che ti racconti una storia assurda per dimostrare a te stessa che sei contenta”.

“Forse hai ragione, sono patetica. Però penso veramente che dobbiamo imparare a prendere dalle persone quello che possono offrirci senza tentare di ottenere ciò che non sanno, o non vogliono darci!”

Ogni volta la stessa storia, mio fratello è tanto caro ma certe cose non c’è verso di fargliele capire; lui deve sempre pensare male, che nervoso. Per me invece è il contrario, ogni brandello di positività che si possa scovare nella gente va apprezzato per ciò che è, e bisognerebbe anche farselo bastare. Certo, poi spesso va a finire che sì, cogli una nota positiva da uno, una nota positiva dall’altro, e anche un bel concertone di note negative da tutti quanti, ma ne vale comunque la pena, o no? Insomma se uno è bravo in matematica ma è una schiappa in italiano, storia e geografia, probabilmente verrà bocciato e tutti penseranno che è un asino, ma se era bravo in matematica, perché dimenticarsene?

Forse però dovrei essere un po’ meno indulgente, questo devo ammetterlo. Diciamo pure un po’ meno stupida, dai. Se mi fossi lasciata scoraggiare di più da tutte le bassezze di Ramiro probabilmente la mia vita sentimentale sarebbe stata più semplice.

Ho sempre creduto che essendo esigenti e selettivi si rischiasse di rinchiudersi nella propria intransigenza, fermi a guardare il mondo da una finestrella che ci restringe inesorabilmente la visuale, e così mi ostino a giustificare qualsiasi cosa le persone mi facciano, con una tolleranza che nemmeno io so bene da dove venga. Ramiro è solo l’ultimo gradino di una lunga scala che si ricongiunge con se stessa come un otto volante. Con persone come lui si può resistere solo se capaci di apprezzare il viaggio, o una tratta di esso, senza pensare alla meta, e soprattutto senza pensare a cosa fare una volta arrivati.

“Capisci Edo? Lui è così, ma non è cattivo. Cioè, sono sicura che è convinto di volermi bene, ci tiene a me, solo che è impossibile pensare di costruirci qualcosa insieme e allora tutti ne deducono che sia uno stronzo e basta. Non è vero, ha un sacco di qualità positive, mi devi credere, altrimenti non ci uscirei, non sono proprio così cretina. Hai capito cosa intendo dire?”

Lo so che non capisce e non ha nessuna intenzione di sforzarsi. Ramiro a lui non piace anche se non l’ha mai visto, e il fatto che io gli corra dietro come un cocker scodinzolante, leccandogli pure le mani quando si degna di portarmi a fare una passeggiata, lo manda su tutte le furie.

“Sì, sì Tessa, come no. Hai una capacità strabiliante di indorarti la pillola. A me sembra tutto molto più semplice, e cioè che hai tra le mani un maschilista, egoista, infantile e playboy che approfitta del fatto che al mondo esistano ancora delle rimbambite come te, che si raccontano le favole da sole, e mentre lui ti usa, tu gli faciliti pure il compito facendogli credere che per te vada tutto bene”.

SETTE

Il primo aereo della mattina era alle 6.30, presto, prestissimo, soprattutto per uno come Edo che sembrava avere dei ghiri tra i suoi lontani discendenti. Quella mattina riuscì ad alzarsi, vestirsi e farsi trasportare all’aeroporto senza nemmeno svegliarsi del tutto. Lo faceva da quando era piccolo, apriva gli occhi a metà e si trascinava come un automa, neanche fosse in sonnambula. Tessa mal sopportava quel comportamento, ma le sue frecciate non erano mai riuscite a cambiare la situazione. Così alle sei in punto Tessa, sveglissima, scaricò all’aeroporto il fratello addormentato e se ne tornò alla lunga giornata frenetica che l’avrebbe attesa.

L’imbarco iniziò in orario, Edo mostrò la sua carta senza aprire la seconda metà degli occhi, trovò il suo posto accanto al finestrino e in pochi secondi dormiva di nuovo come se non si fosse mai mosso dal letto.

Poco dopo il decollo il suo sonno fu disturbato dalla voce gracchiante del capitano che dava il benvenuto a bordo e pubblicizzava i prodotti in vendita durante il volo. Maledette low cost, sembrava di stare al mercato. Sbadigliò con la bocca spalancata e pensò che sua sorella l’avrebbe sgridato. Per fortuna non era lì. Il suo vicino di posto stava leggendo una rivista scientifica, ma continuava a passare da un articolo all’altro senza concentrarsi su niente in particolare. Magari ha paura di volare, pensò con aria già meno assonnata. Se un minuto prima avrebbe potuto essere scambiato per una specie di panda in letargo, ora l’opportunità di intavolare un qualsiasi discorso con un perfetto sconosciuto l’aveva svegliato.

“Scusi, ha per caso sentito quanto durerà il volo? Ho un appuntamento alle 11.00 e non vorrei arrivare in ritardo, già ho perso l’aereo di ieri sera, meno male che mia sorella mi ha ospitato per stanotte…”

“No non ho sentito, ma di solito questo volo dura circa un’ora e mezza, lo prendo spesso per lavoro. Tu sei in viaggio di lavoro o di piacere?”

No, non sembrava aver paura di volare, ma era comunque amichevole. Edo aveva la tendenza a intrattenere discorsi con chiunque e appena ne aveva l’occasione non esitava a lanciarsi in lunghi monologhi, durante i quali a volte era davvero difficile non perdere il filo. Lo sconosciuto, però, ascoltò la storia dei suoi viaggi per un minuto scarso e poi lo interruppe con una domanda che non aveva alcun nesso con l’argomento: “Tu credi esistano altre forme di vita nell’universo? Stavo leggendo qui le varie ipotesi che negano la presenza di extraterrestri, ma io non sono tanto convinto”.

“Ehm, a essere sincero non ci ho mai pensato”. Balbettò Edo a disagio. Odiava addentrarsi in conversazioni in cui non si sentisse il più ferrato in materia, ma ricorrendo alla sua capacità di cadere sempre in piedi aggiunse: “Non so se gli extraterrestri esistano, ma spero proprio di sì. Magari tra le ragazze marziane potrei incontrare una fidanzata adatta a me, visto che le terrestri sembrano non apprezzarmi abbastanza”.

Non credeva minimamente a quell’idiozia, ma era soddisfatto per aver riportato il discorso su un terreno più neutrale. L’altro lo guardò serio, fissandolo con due occhi così scuri che era impossibile distinguere la pupilla dall’iride. Un’espressione indefinita, a metà tra la curiosità e la rassegnazione, un’espressione estremamente vivace ma in fondo triste. E poi, inaspettatamente, cominciò a parlare.

“Extraterrestri…di solito intendiamo omini verdi che viaggiano su dischi volanti, per forza ci riesce difficile credere alla loro esistenza. Prendi invece una formica, che vive nel tuo giardino e non andrà mai molto più lontano: per lei l’universo è il giardino, i fili d’erba saranno i paesi, le foglie  le città e gli alberi che ne so, forse i grandi raccordi anulari. La formica non si pone certo il problema che vi possa essere un mondo al di là del suo. Per noi umani però il giardino è solo una minuscola parte di tutto ciò che chiamiamo universo. Per la piccola formica noi siamo gli extraterrestri, enormi e venuti da chissà dove. Eppure il nostro mondo è lo stesso della formica, solo che lei non lo sa e ne esplora solo una minima parte. E allora non potrebbero esistere degli altri esseri in giro, diversi da noi, che non potremmo riconoscere come appartenenti al nostro mondo per lo stesso motivo per il quale la formica non può riconoscere noi?

Pensa alle bamboline Matrioske: la bambola più grande ha percezione di tutte le altre, mentre la più piccola ha percezione solo di se stessa. E non parlo unicamente in termini di dimensioni; parlo anche dell’incapacità di riconoscere l’essenza dell’altro, confondendolo con qualcosa che ci fa più comodo vedere. I così detti extraterrestri potrebbero essere il vicino di casa, il collega, il barista, chiunque. Alieno non è necessariamente qualcuno che viene da fuori, può essere benissimo qualcuno che non si trova tanto bene dentro. Come me. Io mi sento extraterrestre, non perché vengo da un altro pianeta, ma perché vivo questo pianeta in un modo diverso. Ho cercato di spiegarlo alle persone, ma tutti invece di capire hanno cominciato a pensare che ero matto; ovvio eh, per la gente è più comodo trovare una spiegazione come la follia piuttosto che mettere in discussione le proprie convinzioni. 

E’ raro che qualcuno resista alla tentazione di provare a farmi tornare “normale”. Si avvicinano in tanti, curiosi. E poi si allontanano poco dopo, frastornati dalle mie strane abitudini e incapaci di conciliare le reciproche differenze. Chissà perché, fanno tutti fatica ad avere un rapporto continuativo con me e poco a poco mi sono convinto che nemmeno io desidero nulla di più. Alieno anche ai rapporti soffocanti dunque, meglio avere più alternative. Se non mi vedo con una persona ne contatto un’altra, difficilmente resto solo. E’ comodo questo metodo, funziona. La fregatura però c’è, il rapporto con gli altri non è mai vero del tutto. Extraterrestre, già me ne stavo dimenticando.

La ragazza marziana che cerchi io credo di averla trovata sai? E’ un po’ aliena anche lei, ha i piedi per terra ma la testa no, quella ce l’ha tra le nuvole. La conosco da parecchio tempo e all’inizio avrei giurato che avrebbe seguito lo stesso percorso di tutti, curiosità-novità-insofferenza-allontanamento. Invece no, ha deciso da sola se poteva o meno sopportare certe cose, spesso si fa delle domande ma trova le sue risposte senza coinvolgermi. Mi ha visto, mi ha seguito un po’ da lontano in modo da poter sempre scappare, e non ha mai cercato di farmi diventare altro. Qualche volta mi sgrida, ma se lo fa è perché ha già deciso di passarci sopra e lo fa con il sorriso. Quando è davvero arrabbiata nemmeno mi vuole vedere, perché sa che non si può cancellare quello che l’ha ferita e sa che io non sono abituato a chiedere scusa. Vedi? Non è una tipica terrestre, anche se lei come me non viene da nessun’altra galassia.

Quando un alieno incontra un altro alieno accadono cose strane. Mi sono accorto che mi stavo perdendo tante cose, della marziana e anche di tutti i terrestri. Forse potrei essere migliore, ma non riesco a lasciare la sicurezza delle vie di mezzo. Viaggiare su un treno è rassicurante, incontri tanta gente che sale e che poi scende e infine sparisce. Io in genere viaggio così, anche se so che salire su un taxi con un solo compagno di viaggio e arrivare esattamente dove si vuole sarebbe molto diverso.  A volte mi sorprendo a comportarmi come una persona comune, ma dura sempre poco. Per fortuna la marziana non mi fa mai vedere la delusione nei suoi occhi, così continuo a fare male un po’ a me e un po’ a lei. E intanto aspetto che si stanchi e sparisca. Per lei sarebbe decisamente meglio se si stancasse, ma io non riuscirei mai a mandarla via prima del tempo.

Mi piacerebbe presentartela, ti troverebbe simpatico. Si chiama Tessa e guardandoti bene addirittura un pochino vi somigliate”.

 

Debora Gatelli – La vita segreta delle parole

UNO

C’è qualcosa che non va. Anzi, non c’è niente che torna. Mi deve essere sfuggito il filo che teneva insieme cuore e cervello e adesso ciao, non riesco più né a riprenderlo, né a districarlo, né tanto meno a buttar via l’intero groviglio. Ho quella dannata sensazione di essermi introdotta in una stanza rotonda con il preciso intento di mettermi a sedere in un angolo. Che idiota, come ho potuto cascarci di nuovo? Mi faccio quasi compassione, qui appallottolata sulla poltrona a guardare un film che sembra raccontare la storia della mia vita. Possibile che ci si riveda tanto spesso nei film? Siamo davvero così banalmente tutti uguali? Forse sì. Eppure Ramiro no, lui non è uguale a nessuno. Anzi, è talmente fuori dal comune - o fuori di testa - che non saprei nemmeno bene come descriverlo. Un malandrino, ecco cos’è, che si sta prendendo tutto lo spazio nelle mie giornate senza lasciare impronte del suo passaggio, come se non esistesse. Bell’affare davvero, brava Tessa, la tua vita è quasi più patetica di questo film strappalacrime.

Meno male che ogni tanto c’è lo stacco pubblicitario a sdrammatizzare: merendine sane, creme miracolose e automobili superveloci da pagare in comode rate; l’occasione perfetta per andarmene in cucina ad arraffare un po’ di biscotti al cioccolato. No, decisamente così non si può andare avanti; ma non si può nemmeno tornare indietro. Dannazione.

Mollalo. Sprechi il tuo tempo. Esci con qualcun altro. Tutti saggi i miei amici: facile giocare al buon consigliere coi miei di problemi. La verità è che una volta che abbiamo attraversato di corsa un prato ricoperto di neve fresca non possiamo ripensarci tornare indietro e sperare di ritrovare il prato immacolato: le impronte di noi tutti restano lì a ricordarci la precisa traiettoria della corsa, fa eccezione solo Ramiro? Non siamo cassette musicali, non si può riavvolgere il nastro e aspettarsi di riascoltare la stessa canzone. Nella vita il tasto rewind non è previsto. C’è una sola opzione obbligata: l’effetto palla di neve, che rotola sempre più giù tirandosi dietro sbagli, dolori, fili ingarbugliati e molto altro. Alla fine della discesa ciò che potremo ascoltare sarà talmente diverso dalla maledetta canzoncina iniziale, che faremo quasi fatica a riconoscerla.

DUE

Alle 21.45 Edo saltò giù dal treno con l’agilità di un’otaria e trotterellò rapidamente verso l’uscita della stazione, il cappuccio della giacca bordato di pelo a coprirgli la faccia facendolo somigliare a un eschimese. Pioveva, faceva freddo e non aveva ancora avuto nemmeno tempo di mangiare qualcosa. Scese le scale della metro e il cellulare iniziò a suonare. Tentò di rispondere senza smettere di camminare e senza posare né l’ombrello, né i tre libri che stringeva sottobraccio. Lo zaino gli s’impigliò nel corrimano e gli fece perdere l’equilibrio, ma riuscì a non cadere.

“Pronto. Sì sono io. Mh. Va bene non si preoccupi, contatto il professore domani in mattinata. No, nei prossimi giorni sarò all’estero, potremmo organizzare un incontro verso metà della settimana prossima. Perfetto. La ringrazio. Ci sentiamo domani per definire il tutto. Buona serata”.

Nel frattempo era riuscito a salire sul metrò senza sbagliare direzione, aveva trovato un posto a sedere, e già si apprestava a fare una nuova telefonata per risolvere quella nuova questione. Si chiese come mai il suo cellulare funzionasse anche lì, nelle viscere della terra, mentre sua sorella ovunque si trovasse non riusciva mai a fare una chiamata senza che cadesse la comunicazione. Da quando si era trasferito a Roma si vedevano di rado e la cosa pesava a entrambi. Lei era petulante e polemica, ma gli parlava di ogni cosa e vedeva in lui un punto fisso nella sua vita traballante. Lui la adorava e avrebbe fatto qualsiasi cosa per supportarla nelle sue volubili e folli iniziative. Il loro rapporto poteva riassumersi con un “mi appoggio a te così intanto ti sorreggo” e la lontananza geografica era chiaramente un ostacolo molesto. Edo, il cellulare all’orecchio, si rosicchiò un’unghia nervosamente mentre pensava che stava perdendo il controllo della situazione: non sapeva nemmeno più con chi stesse uscendo sua sorella. La frenata brusca e il rumoroso aprirsi delle porte della metropolitana scacciarono il moto di gelosia, che già stava affiorando, e ritornato quello di prima uscì spedito dal convoglio, sbadigliando sia per la fame sia per il sonno. E dimenticando l’ombrello sul sedile. Quando riuscì a ricordarsi la strada e imboccò il vialetto che conduceva al portone erano quasi le 23.00. Speriamo bene, pensò mentre suonava il campanello.

TRE

Quando Ramiro spense il computer e guardò l’orologio gli venne un colpo: non aveva cenato, non era andato a giocare a tennis, non aveva chiamato Tessa per il loro rituale aperitivo sul fiume - estate e inverno, tanto il fiume è sempre bello, e guarda come siamo fortunati ad avere questa bella vista gratis - insomma il tempo era volato. Almeno era riuscito a rimettere a posto le foto dell’ultimo viaggio e aveva quasi ultimato la presentazione per la promozione del suo prossimo tour-avventura, doveva solo rivedere il discorso. Si grattò la testa già spettinata peggiorando l’effetto scienziato pazzo e si alzò dalla scrivania.

Potrei mangiare qui in ufficio già che ci sono, devo avere qualcosa nel frigo. No, magari chiamo Simon e passo da lui per qualche dolcetto di quelli che fa sua mamma, buonissimi. Chissà se Tessa è rimasta a casa visto che non l’ho chiamata? Domani ho il volo per andare a discutere il nuovo progetto e non l’ho nemmeno avvertita.

Non si chiedeva spesso cosa facesse quella ragazza, così aperta e chiusa allo stesso tempo, quella strana ragazza capace di non fare domande quando urge una risposta e con il singolare potere di ottenere risposte senza domandare nulla. Non se lo chiedeva perché non ne aveva il diritto, se ne rendeva conto da solo, ma in fondo avrebbe voluto saperlo. Lei sembrava non arrabbiarsi mai, ma soffriva parecchio a causa sua. Forse non era ancora andata a dormire, avrebbe potuto passare per un saluto, le avrebbe di certo fatto piacere. Uscì dall’edificio, sorrise, e si incamminò a piedi per prendere il treno che portava in città.

QUATTRO

Ma chi diavolo suona alla porta, a quest’ora, senza avvertire? Il principe azzurro non credo, anche se dopo quel film ci starebbe bene. Che tanto, Tessa, a te i principi azzurri non piacciono, a cosa ti serve aspettarli  se poi li mandi via? Un cavaliere nero magari, ma già non se ne trovano di cavalieri, figuriamoci neri. Tutti di un grigio topo sbiadito che fanno passare la voglia ancor prima che ti venga.

Brava Tessa, brava, alla larga i principi azzurri, via i cavalieri grigi, non ti resta che lanciarti tra le braccia degli squilibrati, ottima scelta. Ma chi sarà alle undici di sera? Ramiro non si presenta mai all’improvviso, più propriamente non si presenta e basta, bisogna andare a recuperarlo chissà dove se si vuole avere il piacere di vederlo. Magari mi ha fatto una sorpresa, magari gli è successo qualcosa - ma avrebbe telefonato, no, non può essere lui, stasera sarà uscito con un’altra. Forse è solo lo scherzo di qualche ragazzino, lo facevo anch’io da piccola.

Fammi vedere che faccia ho, ecco i soliti capelli da strega, dannazione c’è un motivo se odio le visite a sorpresa, spero solo che non sia di nuovo il vicino con la scusa che ha perso il gatto perché stasera non sono proprio in vena. Ma dove diavolo sono le chiavi? Questo posto si mangia le cose, le fa sparire e poi le risputa quando ormai non servono più. O peggio, quando le ho già rimpiazzate. Ah eccole, giuro che se è il vicino … EDO! E TU COSA CI FAI QUI?

“Ah, meno male che sei a casa, mi si è cancellata un’altra volta la rubrica del cellulare, non ricordo il tuo numero a memoria e non sapevo come avvertirti. Ho fatto scalo all’aeroporto, ma ho perso la coincidenza, cerco di partire con il primo volo di domani perché devo essere in università in mattinata a tutti i costi, poi c’è il benedetto articolo che sto scrivendo con il professore della mia tesi, ti ricordi che te ne ho parlato no? Ho la scadenza tra due giorni e mi mancano ancora tutte le conclusioni. Fa un freddo cane e mi sono pure bagnato i piedi, uffa mi vien già da starnutire, meno male che ci sei, ma dove ho lasciato il mio ombrello?”

CINQUE

A metà strada tra l’ufficio e la stazione Ramiro si ricordò di avere lasciato gli appunti e la documentazione del nuovo progetto a casa del suo collega e amico Lucio. Doveva assolutamente recuperare quel materiale. Ma dove aveva la testa? Certi errori non li commetteva nemmeno da giovane; forse era proprio perché stava invecchiando che succedevano cose del genere, la troppa sicurezza non aiuta. Sorpresa a Tessa rimandata. Girò sui tacchi e si diresse spedito a casa di Lucio, in cima alla collina, circondata da un bosco dove non arrivava neppure la strada asfaltata.

Lassù c’era una vista spettacolare: le luci della città brillavano tremolanti e lontane, con la montagna alle spalle. Spesso si trovavano lì quando avevano scadenze che li costringevano a fare gli straordinari. Lucio era un tipo silenzioso, gentile e intelligente, privo di difetti, ma non affascinante. Anche Tessa lo conosceva e pensava che fosse il fidanzato ideale per qualsiasi ragazza - quindi anche per lei - poi però tornava a casa con Ramiro, che ascoltava poco, parlava tanto, assomigliava a un selvaggio ed era sfuggente.

Arrivato da Lucio, Ramiro ne approfittò per stampare il biglietto elettronico e fare il check-in on line, così da evitare la fila il giorno dopo, e tra una chiacchiera e l’altra tornò a casa a mezzanotte passata. Si dispiacque per non avere visto Tessa, ma non si può sempre fare tutto.

SEI

“Tu rifiuti di vedere le cose dal mio punto di vista, ovvio che non ci capiamo”.

“C’è poco da capire Tessa, a me dispiace solo vedere che stai male e che ti racconti una storia assurda per dimostrare a te stessa che sei contenta”.

“Forse hai ragione, sono patetica. Però penso veramente che dobbiamo imparare a prendere dalle persone quello che possono offrirci senza tentare di ottenere ciò che non sanno, o non vogliono darci!”

Ogni volta la stessa storia, mio fratello è tanto caro ma certe cose non c’è verso di fargliele capire; lui deve sempre pensare male, che nervoso. Per me invece è il contrario, ogni brandello di positività che si possa scovare nella gente va apprezzato per ciò che è, e bisognerebbe anche farselo bastare. Certo, poi spesso va a finire che sì, cogli una nota positiva da uno, una nota positiva dall’altro, e anche un bel concertone di note negative da tutti quanti, ma ne vale comunque la pena, o no? Insomma se uno è bravo in matematica ma è una schiappa in italiano, storia e geografia, probabilmente verrà bocciato e tutti penseranno che è un asino, ma se era bravo in matematica, perché dimenticarsene?

Forse però dovrei essere un po’ meno indulgente, questo devo ammetterlo. Diciamo pure un po’ meno stupida, dai. Se mi fossi lasciata scoraggiare di più da tutte le bassezze di Ramiro probabilmente la mia vita sentimentale sarebbe stata più semplice.

Ho sempre creduto che essendo esigenti e selettivi si rischiasse di rinchiudersi nella propria intransigenza, fermi a guardare il mondo da una finestrella che ci restringe inesorabilmente la visuale, e così mi ostino a giustificare qualsiasi cosa le persone mi facciano, con una tolleranza che nemmeno io so bene da dove venga. Ramiro è solo l’ultimo gradino di una lunga scala che si ricongiunge con se stessa come un otto volante. Con persone come lui si può resistere solo se capaci di apprezzare il viaggio, o una tratta di esso, senza pensare alla meta, e soprattutto senza pensare a cosa fare una volta arrivati.

“Capisci Edo? Lui è così, ma non è cattivo. Cioè, sono sicura che è convinto di volermi bene, ci tiene a me, solo che è impossibile pensare di costruirci qualcosa insieme e allora tutti ne deducono che sia uno stronzo e basta. Non è vero, ha un sacco di qualità positive, mi devi credere, altrimenti non ci uscirei, non sono proprio così cretina. Hai capito cosa intendo dire?”

Lo so che non capisce e non ha nessuna intenzione di sforzarsi. Ramiro a lui non piace anche se non l’ha mai visto, e il fatto che io gli corra dietro come un cocker scodinzolante, leccandogli pure le mani quando si degna di portarmi a fare una passeggiata, lo manda su tutte le furie.

“Sì, sì Tessa, come no. Hai una capacità strabiliante di indorarti la pillola. A me sembra tutto molto più semplice, e cioè che hai tra le mani un maschilista, egoista, infantile e playboy che approfitta del fatto che al mondo esistano ancora delle rimbambite come te, che si raccontano le favole da sole, e mentre lui ti usa, tu gli faciliti pure il compito facendogli credere che per te vada tutto bene”.

SETTE

Il primo aereo della mattina era alle 6.30, presto, prestissimo, soprattutto per uno come Edo che sembrava avere dei ghiri tra i suoi lontani discendenti. Quella mattina riuscì ad alzarsi, vestirsi e farsi trasportare all’aeroporto senza nemmeno svegliarsi del tutto. Lo faceva da quando era piccolo, apriva gli occhi a metà e si trascinava come un automa, neanche fosse in sonnambula. Tessa mal sopportava quel comportamento, ma le sue frecciate non erano mai riuscite a cambiare la situazione. Così alle sei in punto Tessa, sveglissima, scaricò all’aeroporto il fratello addormentato e se ne tornò alla lunga giornata frenetica che l’avrebbe attesa.

L’imbarco iniziò in orario, Edo mostrò la sua carta senza aprire la seconda metà degli occhi, trovò il suo posto accanto al finestrino e in pochi secondi dormiva di nuovo come se non si fosse mai mosso dal letto.

Poco dopo il decollo il suo sonno fu disturbato dalla voce gracchiante del capitano che dava il benvenuto a bordo e pubblicizzava i prodotti in vendita durante il volo. Maledette low cost, sembrava di stare al mercato. Sbadigliò con la bocca spalancata e pensò che sua sorella l’avrebbe sgridato. Per fortuna non era lì. Il suo vicino di posto stava leggendo una rivista scientifica, ma continuava a passare da un articolo all’altro senza concentrarsi su niente in particolare. Magari ha paura di volare, pensò con aria già meno assonnata. Se un minuto prima avrebbe potuto essere scambiato per una specie di panda in letargo, ora l’opportunità di intavolare un qualsiasi discorso con un perfetto sconosciuto l’aveva svegliato.

“Scusi, ha per caso sentito quanto durerà il volo? Ho un appuntamento alle 11.00 e non vorrei arrivare in ritardo, già ho perso l’aereo di ieri sera, meno male che mia sorella mi ha ospitato per stanotte…”

“No non ho sentito, ma di solito questo volo dura circa un’ora e mezza, lo prendo spesso per lavoro. Tu sei in viaggio di lavoro o di piacere?”

No, non sembrava aver paura di volare, ma era comunque amichevole. Edo aveva la tendenza a intrattenere discorsi con chiunque e appena ne aveva l’occasione non esitava a lanciarsi in lunghi monologhi, durante i quali a volte era davvero difficile non perdere il filo. Lo sconosciuto, però, ascoltò la storia dei suoi viaggi per un minuto scarso e poi lo interruppe con una domanda che non aveva alcun nesso con l’argomento: “Tu credi esistano altre forme di vita nell’universo? Stavo leggendo qui le varie ipotesi che negano la presenza di extraterrestri, ma io non sono tanto convinto”.

“Ehm, a essere sincero non ci ho mai pensato”. Balbettò Edo a disagio. Odiava addentrarsi in conversazioni in cui non si sentisse il più ferrato in materia, ma ricorrendo alla sua capacità di cadere sempre in piedi aggiunse: “Non so se gli extraterrestri esistano, ma spero proprio di sì. Magari tra le ragazze marziane potrei incontrare una fidanzata adatta a me, visto che le terrestri sembrano non apprezzarmi abbastanza”.

Non credeva minimamente a quell’idiozia, ma era soddisfatto per aver riportato il discorso su un terreno più neutrale. L’altro lo guardò serio, fissandolo con due occhi così scuri che era impossibile distinguere la pupilla dall’iride. Un’espressione indefinita, a metà tra la curiosità e la rassegnazione, un’espressione estremamente vivace ma in fondo triste. E poi, inaspettatamente, cominciò a parlare.

“Extraterrestri…di solito intendiamo omini verdi che viaggiano su dischi volanti, per forza ci riesce difficile credere alla loro esistenza. Prendi invece una formica, che vive nel tuo giardino e non andrà mai molto più lontano: per lei l’universo è il giardino, i fili d’erba saranno i paesi, le foglie  le città e gli alberi che ne so, forse i grandi raccordi anulari. La formica non si pone certo il problema che vi possa essere un mondo al di là del suo. Per noi umani però il giardino è solo una minuscola parte di tutto ciò che chiamiamo universo. Per la piccola formica noi siamo gli extraterrestri, enormi e venuti da chissà dove. Eppure il nostro mondo è lo stesso della formica, solo che lei non lo sa e ne esplora solo una minima parte. E allora non potrebbero esistere degli altri esseri in giro, diversi da noi, che non potremmo riconoscere come appartenenti al nostro mondo per lo stesso motivo per il quale la formica non può riconoscere noi?

Pensa alle bamboline Matrioske: la bambola più grande ha percezione di tutte le altre, mentre la più piccola ha percezione solo di se stessa. E non parlo unicamente in termini di dimensioni; parlo anche dell’incapacità di riconoscere l’essenza dell’altro, confondendolo con qualcosa che ci fa più comodo vedere. I così detti extraterrestri potrebbero essere il vicino di casa, il collega, il barista, chiunque. Alieno non è necessariamente qualcuno che viene da fuori, può essere benissimo qualcuno che non si trova tanto bene dentro. Come me. Io mi sento extraterrestre, non perché vengo da un altro pianeta, ma perché vivo questo pianeta in un modo diverso. Ho cercato di spiegarlo alle persone, ma tutti invece di capire hanno cominciato a pensare che ero matto; ovvio eh, per la gente è più comodo trovare una spiegazione come la follia piuttosto che mettere in discussione le proprie convinzioni. 

E’ raro che qualcuno resista alla tentazione di provare a farmi tornare “normale”. Si avvicinano in tanti, curiosi. E poi si allontanano poco dopo, frastornati dalle mie strane abitudini e incapaci di conciliare le reciproche differenze. Chissà perché, fanno tutti fatica ad avere un rapporto continuativo con me e poco a poco mi sono convinto che nemmeno io desidero nulla di più. Alieno anche ai rapporti soffocanti dunque, meglio avere più alternative. Se non mi vedo con una persona ne contatto un’altra, difficilmente resto solo. E’ comodo questo metodo, funziona. La fregatura però c’è, il rapporto con gli altri non è mai vero del tutto. Extraterrestre, già me ne stavo dimenticando.

La ragazza marziana che cerchi io credo di averla trovata sai? E’ un po’ aliena anche lei, ha i piedi per terra ma la testa no, quella ce l’ha tra le nuvole. La conosco da parecchio tempo e all’inizio avrei giurato che avrebbe seguito lo stesso percorso di tutti, curiosità-novità-insofferenza-allontanamento. Invece no, ha deciso da sola se poteva o meno sopportare certe cose, spesso si fa delle domande ma trova le sue risposte senza coinvolgermi. Mi ha visto, mi ha seguito un po’ da lontano in modo da poter sempre scappare, e non ha mai cercato di farmi diventare altro. Qualche volta mi sgrida, ma se lo fa è perché ha già deciso di passarci sopra e lo fa con il sorriso. Quando è davvero arrabbiata nemmeno mi vuole vedere, perché sa che non si può cancellare quello che l’ha ferita e sa che io non sono abituato a chiedere scusa. Vedi? Non è una tipica terrestre, anche se lei come me non viene da nessun’altra galassia.

Quando un alieno incontra un altro alieno accadono cose strane. Mi sono accorto che mi stavo perdendo tante cose, della marziana e anche di tutti i terrestri. Forse potrei essere migliore, ma non riesco a lasciare la sicurezza delle vie di mezzo. Viaggiare su un treno è rassicurante, incontri tanta gente che sale e che poi scende e infine sparisce. Io in genere viaggio così, anche se so che salire su un taxi con un solo compagno di viaggio e arrivare esattamente dove si vuole sarebbe molto diverso.  A volte mi sorprendo a comportarmi come una persona comune, ma dura sempre poco. Per fortuna la marziana non mi fa mai vedere la delusione nei suoi occhi, così continuo a fare male un po’ a me e un po’ a lei. E intanto aspetto che si stanchi e sparisca. Per lei sarebbe decisamente meglio se si stancasse, ma io non riuscirei mai a mandarla via prima del tempo.

Mi piacerebbe presentartela, ti troverebbe simpatico. Si chiama Tessa e guardandoti bene addirittura un pochino vi somigliate”.

 

Pubblicato in concorso

Vivo in una piccola città protetta da un’enorme teca trasparente. Faccio una vita riservata e solitaria ed esco solo per andare a scuola. Frequento il dodicesimo corso di base, come tutti quelli della mia età. I miei diciotto anni sono un peso enorme e vivo schiacciata tra la voglia di andare via e la paura dell'ignoto. Non so nulla sul mondo che mi circonda, non sono mai uscita dalla teca: è proibito. So che ne esistono altre, ma per andarci occorre un visto particolare rilasciato dal Governatore. Poche persone l’hanno ottenuto, dicono, e io ne conosco nemmeno una.

I racconti della vita prima delle teche si sono persi negli anni e restano solo aneddoti, che sembrano più fiabe che realtà. Nessuna traccia storica, niente di scritto, nessuno ricorda più cosa sia successo, si sa solo che al di fuori delle teche l’aria è malsana e velenosa.

La mia fantasia viaggia parecchio, quella sì: nelle ore di solitudine, e a volte anche durante le ore di scuola, immagino il mondo meraviglioso che si potrebbe trovare al di fuori di Liggen, la nostra teca. Lo sto facendo anche ora, ma la sirena della fine lezioni mi desta dai miei pensieri. Il foglio degli appunti si è fermato alle prime righe... Non abbiamo che questi su cui studiare, i professori ci dettano decine di pagine ogni giorno e noi le dobbiamo imparare praticamente a memoria; dopo le verifiche ci ritirano i fogli e li macerano per riciclare la carta e farne di nuovi. A causa della mia smania di evadere, oggi non ho trascritto la lezione: ora sì, che sono nei guai! Lancio uno sguardo a Lydia, la mia vicina di banco, che mi fa un cenno di assenso. Nemmeno dopo le lezioni abbiamo il permesso di parlare tra noi: una navetta ci porta alle nostre case e durante il viaggio è imposto il silenzio assoluto.

Saluto distrattamente mia madre, mangio un panino in fretta e poi la aiuto a fare le faccende domestiche, come tutti i giorni. Questa vita noiosa non mi basta, ci deve essere dell'altro: da fare, da vedere e da vivere.

Mia madre mi sta richiamando, e dalla faccia severa credo lo stia facendo da molto.

- Emma! Ci sei?

- Scusa, ero distratta.

- Ho visto, spicciati con quelle verdure.

- Sì, faccio presto. Scusami.

Ricomincio a lavare le verdure per la cena, ma la mia mente riprende presto a vagare per gli affari suoi.

Dopo cena si va subito a letto.

Fuori dalla finestra un rumore richiama la mia attenzione. Mi affaccio e vedo Lydia che si ripara sotto il ciliegio del mio giardino. Apro le imposte e le faccio cenno di avvicinarsi. Si arrampica con destrezza sul pergolato, che arriva fino al piano della mia camera. La aiuto a entrare.

- Ma sei pazza? Sei in giro durante il coprifuoco?

- Lo faccio spesso, non preoccuparti. Ti ho copiato gli appunti di oggi, tieni.

Mi lascia in mano i fogli e si accinge a uscire dalla finestra da cui è entrata.

- Grazie, mi hai salvato la vita. Corri a casa adesso, non avresti dovuto rischiare!

- Volevo darti il tempo di studiare, ma sarei uscita lo stesso, la sera mi piace andare a correre.

- Come fai con le ronde?

- Conosco a memoria gli orari e i percorsi, non cambiano mai: potrei girare tutta la notte senza che mi vedano. Vuoi venire con me?

Senza pensarci un secondo, col sangue che mi pulsa nelle tempie, sono già sul davanzale e la sto seguendo mentre scende dal pergolato. Se mi vedesse mia madre le prenderebbe un colpo.

Sorrido, mi sento leggera come non mai e mi affido completamente a Lydia standole dietro, passo dopo passo. Dopo aver attraversato una zona boschiva siamo senza fiato e ci fermiamo in una radura. Non mi ero mai allontanata così tanto da casa e non mi ero mai sentita così eccitata. Il silenzio è praticamente assoluto, rotto solo dal nostro respiro affannoso, e anche il buio è quasi totale. Aspiro l’aria come se respirassi per la prima volta e il profumo che sento, un misto di erba e resina, mi dà un senso di libertà mai avvertito prima.

All'improvviso sentiamo un rumore provenire dalla boscaglia. Per un attimo restiamo paralizzate. Una figura si sta avvicinando, ci hanno scoperte, mia madre mi ammazzerà!

- Salve! Per quale ragione girovagate solinghe a quest’ora tarda?

Soffochiamo una risata per il suo modo strano di parlare.

- Facciamo jogging - risponde altezzosa Lydia - e tu che ci fai qui? Non hai paura delle ronde?

- Le ronde, vi prendete gioco di me? Avete il coprifuoco?

- Avete? Abbiamo semmai!

- Noi non l’abbiamo, io non sono di Liggen, vengo da Waarheid, una teca vicino alla vostra. Non sapevo lo aveste, vengo qui spesso e non ho mai incontrato nessuno, prima di questa sera.

- E vi lasciano andare nelle altre teche? Chiedo, estasiata all’idea di potermele girare tutte.

- In realtà no, i tunnel sono chiusi a chiave, ma si dà il caso io ne abbia una copia…

- Non sono mai uscita da Liggen. Esclamo senza pensarci.

Lui mi sorride. Ha un aspetto gradevole, deve avere pochi anni più di noi. È un tipo strano, non solo nel modo di parlare, ma anche per come è vestito: indossa un completo grigio con tanto di fazzoletto al taschino, calza delle lucidissime scarpe nere e porta una borsa a tracolla. Mai visto nulla del genere.

Mi devo essere incantata di nuovo, distolgo lo sguardo, ma temo si sia accorto che lo stavo fissando perché sembra a disagio e borbotta:

- Scusate la mia goffaggine, non mi sono introdotto a voi come si conviene. Piacere di fare la vostra conoscenza. Mi chiamo Reed. Dice allungandoci la mano.

Io mi avvicino cautamente e gliela stringo, sussurrando a fil di voce.

- Io sono Emma e lei è la mia amica Lydia. Ora però è meglio che andiamo a casa o passeremo dei guai.

- È stato un piacere inaspettato incontrarvi e spero facciate jogging di nuovo da queste parti, io vengo spesso qui. Aspettate, vorrei lasciarvi un presente.

Rovista nella borsa e tira fuori uno strano oggetto, me lo deposita in mano e mi sussurra: - Leggetelo, parla di una donna che porta il vostro nome... spero vi piacerà.

È pesante, l’esterno è liscio e fresco.

- Che cos'è?

- Un libro, come quelli di scuola, ma più bello da leggere.

- Noi non usiamo questi cosi... Rigiro tra le mani il plico e a un certo punto si scompone. - Oh, cielo! L'ho rotto!

La sua risata mi indispettisce. Mi mostra come farlo tornare della forma originale e me lo riconsegna. Non so perché, ma mi dà gioia stringere questo oggetto tra le mani. Sulla superficie ci sono scritte parole con lettere strane, ma leggibili: “Madame Bovary”. Me lo avvicino istintivamente al viso e aspiro il profumo: mai sentito nulla di così buono.

- Grazie mille, lo leggerò e ve lo riporterò appeno lo avrò finito. Addio.

- Spero sia piuttosto un arrivederci a presto. Naturalmente lo potete leggere anche voi, Lydia.

- Dubito. Adesso dobbiamo andare, Emma: alle due, le guardie fanno il secondo giro.

- A presto allora. Gli dico mentre ci inoltriamo nella boscaglia.

Torniamo a casa senza parlare, arrivate sotto casa mia, Lydia dice bisbigliando: - Non torneremo mai più laggiù, potrebbe essere un malintenzionato.

- A me sembrava una brava persona.

- Non possiamo rischiare. E così dicendo mi fa un cenno di saluto con la mano e si dirige verso casa sua.

L’arrampicata fino alla mia finestra è più difficoltosa del previsto, ma riesco a raggiungere indenne il piano superiore. Mi infilo a letto e decido di cominciare subito a leggere questo... come lo aveva chiamato? Ah, sì, libro.

L’alba arriva troppo in fretta. All'inizio la lettura era stata difficoltosa: i caratteri non erano tutti uguali a quelli che conoscevo, col passare dei minuti, però, quelle parole scritte così ordinatamente, messe nelle righe tutte così regolari e con i margini perfettamente allineati, hanno cominciato a diventarmi più familiari e leggerle non mi procurava più difficoltà, anzi non riuscivo più a smettere di farlo e non ho potuto decidermi a riporlo. Quando mia madre mi chiama per la scuola, nascondo accuratamente il mio tesoro sotto il materasso, non voglio rischiare che qualcuno lo trovi.

Appena finite le lezioni torno a casa di corsa e con la scusa di avere mal di testa mi rinchiudo in camera per proseguire con la lettura. Sono oltre ai tre quarti delle pagine quando mia madre mi chiama per la cena. Le dico che non mi sento abbastanza bene per mangiare e che preferisco stare a letto. Non fa domande e non insiste, per fortuna. Dopo un paio d'ore arrivo all’ultima pagina e provo una sensazione di euforia mista a un senso di vuoto... cosa farò adesso che l'ho finito? Come farò a sentirmi di nuovo così? La risposta è semplice: tornerò a cercare quel ragazzo. Sono le undici, e come la sera prima sgattaiolo fuori dalla finestra e mi dirigo alla radura oltre il bosco. Mi metto nello stesso punto in cui l'avevamo incontrato, e aspetto. Quando sto per rinunciare all'impresa, eccolo. Si avvicina sorridendo.

- Non ditemi che la lettura non vi piace.

- Al contrario, mi è piaciuta molto! Gli dico restituendogli il libro.

- L’avete già terminato? Diventeremo grandi amici allora. Possiamo essere meno cerimoniosi?

Lo guardo stranita, non capisco tutto quello che dice, lui mi sorride e aggiunge.

- Potremmo darci del tu, se per te va bene.

- Oh! Sì, per me va benone.

Reed ripone il libro nella borsa con espressione compiaciuta, e vi armeggia dentro.

- Allora, eccone un altro. E mi porge un nuovo volume.

Lo prendo con timore, come se avessi paura di sciuparlo, quasi con devozione.

- Posso farti una domanda, Reed?

- Prego, la curiosità è sintomo di intelligenza.

- Davvero? Mia madre dice che è un difetto. Comunque, mi chiedevo: come mai tu passi qui le tue serate e non nella tua teca?

- Mi piace molto stare qui. Ho scoperto questo posto per caso dopo aver letto un articolo su un vecchio giornale di prima del conflitto.

- Quale conflitto?

- Per tutti i numi! Non ti hanno fatto studiare la terza guerra mondiale?

- Non ne ho mai sentito parlare.

- Ma non fate storia a scuola? Cosa vi insegnano? C’è stato un tempo in cui le teche non c’erano, più di cinquecento anni fa. Poi un capo di stato ha deciso di conquistare il mondo e ha usato delle armi che hanno irreparabilmente danneggiato il nostro pianeta. L’aria era malsana e piena di radiazioni pericolose. I pochi sopravvissuti hanno vissuto sottoterra per decenni e poi hanno costruito le teche che ora ci proteggono. Per questo non possiamo vivere all’esterno, l’ambiente è ancora contaminato.

Ascoltarlo mi dà pace e gioia, e più ascolto le sue parole, più ne voglio sentire: nessuno mai mi aveva raccontato cose così interessanti.

- Avremo modo di parlarne… Per rispondere alla tua domanda, ho letto su questo vecchio giornale che le stelle nel cielo sono molto più luminose se c’è buio totale e da noi, purtroppo, c’è sempre troppa luce anche di notte e si vede a malapena la luna quando è piena. Invece qui c’è il buio quasi assoluto e si vedono tutte le miriadi di stelle.

Guardo in alto e in effetti lo spettacolo è incredibile, possibile che non ci abbia mai fatto caso? Avevo sopra di me questo spettacolo e non me ne sono mai curata? Resto a bocca aperta e giro su me stessa cercando un punto in cui non ci sia uno di quei puntini luminosi e tremolanti, ma niente: tutto il cielo ne è pieno. Riabbasso il capo giusto in tempo per vedere il viso di Reed, raggiante, intento a guardare la mia faccia strabiliata. Si ricompone subito e inizia a indicarmi i vari punti in cui ci sono le costellazioni, che sono gruppi di stelle, e per ciascuna mi racconta la leggenda a cui è legata: un viaggio incredibile che mi toglie il fiato.

Il tempo vola, e arriva il momento di rientrare a casa. A malincuore ci salutiamo e ci diamo appuntamento all’indomani sera.

Le serate si erano susseguite numerose, ritrovarmi a parlare con lui era diventato un rituale a cui non avrei mai potuto più rinunciare. Nessuno sapeva usare le parole come lui e di sentire quello che aveva da dirmi non mi sarei mai stancata.

Ogni sera, dopo cena, mi trovo nella mia camera a pensare a lui e a leggere l’ultimo libro che mi ha dato; oppure, sempre più di frequente, a sistemarmi i capelli e a scegliere qualcosa da mettermi per andare da lui. E poi giù dalla finestra e di corsa attraverso il bosco, fino alla nostra radura, col cuore che trepida dal desiderio di stare con lui e di ascoltare le sue storie. Ogni volta mi porta dei nuovi libri, ormai sono come una droga.

Questa sera, per la prima volta, non mi ha portato un libro. Mi sento strana e delusa.

- Come mai? Non dirmi che ho già letto tutti i libri che hai!

- No, Emma, non li hai letti tutti, ce ne sono ancora molti. Proprio per questo non intendo più portatene. Devi cominciare a scegliere tu quali leggere.

- Ma mi sono piaciuti tutti. Hai buon gusto. Come posso scegliere dei libri? Non ce ne sono a Liggen.

- Per questo ho un regalo per te.

- Un regalo? Per me? Mi hai già regalato tante serate meravigliose in compagnia tua e dei tuoi libri… sono in debito.

- La gioia che vedo nei tuoi occhi quando stringi tra le mani un libro nuovo è una ricompensa più che sufficiente. Ma non sei curiosa di sapere cosa ti voglio regalare?

- Certo che sì.

Mi trovo a saltellare come una bambina e lui sorride, si sta godendo il momento e si capisce dal suo sguardo che non vede l’ora di darmi il regalo. Io sono impaziente, non sono molto abituata a riceverne, in effetti, e la curiosità mi divora. Reed estrae dal panciotto una chiave e me la porge. La prendo in mano e la soppeso con titubanza, non capisco a cosa mi possa servire.

- Oltre quelle colline troverai una porta d’acciaio: apri la serratura con questa chiave e mi troverai là tutte le volte che vorrai. Mi piacerebbe che tu conoscessi il mio mondo, troveresti un’infinità di libri...

- Ma perché stai facendo questa cosa?

- Dal nostro primo incontro ho visto nei tuoi occhi una curiosità inconsueta e a quanto pare non erravo.

- Io ci voglio venire adesso!

- Aha aha, subito? Immaginavo che ti sarebbe piaciuto il mio regalo, ma non avrei mai pensato saresti stata così impaziente. Va bene, andiamo.

Mi prende per mano e ci dirigiamo verso le colline, le superiamo e arriviamo alla fatidica porta d’acciaio. Mi tremano le mani mentre cerco di introdurre la chiave nella serratura, sono eccitata al pensiero di cosa potrò trovarci al di là. Reed mi aiuta a girarla e apre insieme a me la pesante porta. C’è un buio molto intenso e lui estrae dalla tasca una piccola torcia che illumina il pavimento davanti a noi, mi stringo a lui senza nemmeno rendermene conto: ho paura. Lui mi stringe a sua volta e mi dà quella sicurezza che mi serve per camminare nella semi oscurità, verso l’ignoto.

Camminiamo un bel po’, non so bene per quanto tempo, so solo che non sento la stanchezza perché non vedo l’ora di scoprire il suo mondo. Arriviamo di fronte a un’altra porta uguale a quella attraversata prima e infiliamo la stessa chiave nella serratura. Reed la apre appena e controlla dalla fessura che non ci sia nessuno nei paraggi. Poi fa cenno di andare e oltrepassiamo l’uscio richiudendoci la porta alle spalle.

Vengo investita da una luce accecante, sembra sia giorno da quanto è alta l’illuminazione, e subito dopo arriva il rumore assordante della città. Nulla a che vedere con il silenzio di Liggen. C’è movimento e tutti parlano e ridono senza che nessuno li rimproveri, o li fermi. Dopo qualche attimo di stupore guardo Reed e gli chiedo: - Ma se mi scoprono?

- Non ti scopriranno, vieni con me.

Mi riprende per mano e mi fa entrare in un enorme palazzo con un portone di legno massiccio. Appena entro non credo ai miei occhi: un’immensa distesa di libri messi in bell’ordine sugli scaffali, ovunque mi giri vedo librerie zeppe. Ce ne sono di ogni colore e dimensione. Mi gira la testa a forza di vorticare su me stessa per godere quello spettacolo. Reed è estasiato dal mio stupore, gli sembrerò sciocca, ma non avevo mai visto nulla di così maestoso.

- Ma dove siamo?

- Nella biblioteca di Waarheid, la più grande di tutte le teche.

- Santo cielo! Mai visto nulla di così bello in vita mia. Di chi sono tutti questi libri?

- Nostri. Ci sono tutti i libri che sono stati scritti dai tempi dei tempi. E chiunque può prenderli in prestito e leggerli, senza pagare. Quelli che hai letto tu li ho presi da qui. Le storie che ti ho raccontato sulle costellazioni, le ho lette su libri presi qui.

Mi sento sopraffatta dall’emozione, non so cosa dire, lo abbraccio stretto e gli dico solo grazie, non mi viene altro da dirgli. Ci aggiriamo a lungo tra gli scaffali, mai avrei pensato che potessero esistere così tanti libri e vorrei prenderli tutti, non so davvero da quale iniziare. Alla fine decido di andare in ordine, comincio dal primo scaffale accanto all’ingresso e prendo il primo volume: ho intenzione di leggerli tutti.

- Ora andiamo, prima che ti sorprendano le guardie della tua teca.

Stringo tra le mie mani il nuovo volume e seguo Reed che mi scorta fino all’uscita del tunnel.

Sono passati due anni da quando Reed mi ha dato la chiave e io non ho perso tempo. L'ho usata moltissime volte. Ho divorato un libro dopo l'altro, conoscendo personaggi magnifici e viaggiando in mille mondi diversi, in epoche passate e future.

Qualche volta indugiamo ancora nella radura, sdraiati sull’erba a guardare le stelle, come oggi. Il cielo sembra più luminoso del solito, il cielo è limpido e la luna illumina i nostri corpi sdraiati. All’improvviso una scia luminosa attraversa la volta celeste strappandomi un grido di stupore.

- Hai visto anche tu?

- Sì, l’ho vista. È una stella cadente. In questo periodo dell’anno se ne vedono molte. Aspettiamo la prossima ed esprimiamo un desiderio. Una leggenda narra che se esprimi un desiderio mentre cade una stella, quel desiderio si avvererà.

- Davvero?

Setaccio tutto il cielo in cerca di un’altra scia luminosa, ma sono tutte immobili, adesso che ne cerco una non cadrà mai, lo so, la solita fortuna! Saprei cosa desiderare, so quello che voglio.

- Tu cosa desidereresti, Reed?

Mi squadra con uno sguardo strano e carico di emozione e sussurra.

- Io ho già tutto quello che desidero, non saprei.

- Io desidero una cosa, invece.

- No, non dirmela, se lo dici ad alta voce poi il desiderio non si avvera.

- OK, allora lo terrò per me e per la prossima stella cadente.

Mi metto a sedere sempre con il naso verso il cielo, lui si avvicina e mi mette un braccio intorno alle spalle, non eravamo mai stati così vicini e sento lo stomaco in subbuglio. La sua vicinanza mi dà contemporaneamente gioia e spavento. Non avevo mai provato nulla del genere. Ed ecco la scia che attraversa il cielo dall’orizzonte verso l’alto! Sospiro, chiudo gli occhi ed esprimo nella mia mente il mio più grande desiderio. Mi sento molto felice anche solo per aver potuto consegnare a quella stella cadente il mio pensiero, quello che più vorrei al mondo, confidando che la storia raccontata da Reed sia vera e che si avvererà. Si deve avverare.

Non voglio aprire gli occhi, ho paura che tutto possa svanire e che quindi il mio desiderio vada disperso.

- Emma, tutto bene?

- Sto solo ripetendo il mio desiderio affinché quella stella non lo dimentichi.

- Come sei dolce, piccola Emma.

Mi abbraccia stretta e io provo smarrimento e di nuovo quella strana sensazione alla bocca dello stomaco, non so cosa mi stia capitando, ma so che il giorno in cui si avvererà il mio desiderio potrò sentirmi così tutti i giorni.

Liggen mi è sempre stata stretta, ma da quando ho conosciuto Reed e il suo meraviglioso mondo, non è più tollerabile vivere qui.

Oggi è il fatidico giorno: entro questa sera saprò se mi hanno accordato il visto per andare a vivere a Waarheid, saprò se il mio desiderio si può avverare. Sarebbe magnifico poter stare sempre in mezzo ai libri, con Reed, e non dover più leggere e vederci di nascosto!

Mi presento all’orario stabilito presso la sede del Governo. Il Vicegovernatore mi riceve nel suo ufficio e senza mezzi termini mi comunica che il mio visto è stato negato. Non è possibile. Le lacrime mi salgono agli occhi senza che io lo possa impedire. Vorrei urlare, imprecare, protestare, ma è contro la legge. Chino mestamente la testa e corro verso casa.

Tutto, intorno a me, sembra diventare ancora più insopportabile: il silenzio è assordante e l’aria sembra irrespirabile. Avevo fatto affidamento su questo visto e ora dovrò vivere per sempre sapendo di non poter vedere avverato il mio sogno. Mi chiudo in camera, mi butto sul letto con il cuscino sopra la testa e sfogo tutto il mio dolore.

Alle undici, col viso gonfio dal pianto e la testa che mi scoppia, metto qualche vestito in una borsa e stringo al petto l'ultimo libro che ho letto, con l'intenzione di usare la chiave per l'ultima volta: fuggirò al di là della porta d’acciaio, a ogni costo. Vado oltre le colline. Davanti alla porta, c'è Reed, con un sorriso meraviglioso sulle labbra.

- Non è andata come speravamo, mi hanno negato il visto.

Mi guarda e non smette di sorridere, mandando tutte le mie certezze all'aria, pensavo che anche lui volesse che andassi a vivere con lui a Waarheid, ma quel sorriso sembra esprimere tutt'altro. Sono confusa, delusa, mi pulsa la testa, ho la nausea e mi sento una perfetta idiota.

- Perché sei così afflitta? Non è cambiato nulla: il piano è sempre lo stesso. Noi due insieme, però a Liggen.

- Dove starai? Non puoi scappare giorno e notte.

- Sapevo che il tuo arretrato governo non ti avrebbe mai concesso il visto e allora l'ho richiesto anche io. A me lo hanno elargito e da oggi sono un fiero cittadino di Liggen. Abbiamo anche la chiave... possiamo avere tutto.

Le lacrime mi impediscono di vedere la sua espressione, ma dal tono della sua voce sembra felice almeno quanto lo sono io. Improvvisamente capisco: non ho bisogno di andarmene dal mio paesino bigotto per essere libera, mi basta la possibilità di stare con lui e di viaggiare in tutto il mondo attraverso le parole scritte nei libri.

Viaggeremo in un mondo nuovo e diverso tutte le volte che vorremo e vivremo le avventure descritte nei libri, perché la libertà, dopotutto, non è un luogo.

Pubblicato in concorso