Vivo in una piccola città protetta da un’enorme teca trasparente. Faccio una vita riservata e solitaria ed esco solo per andare a scuola. Frequento il dodicesimo corso di base, come tutti quelli della mia età. I miei diciotto anni sono un peso enorme e vivo schiacciata tra la voglia di andare via e la paura dell'ignoto. Non so nulla sul mondo che mi circonda, non sono mai uscita dalla teca: è proibito. So che ne esistono altre, ma per andarci occorre un visto particolare rilasciato dal Governatore. Poche persone l’hanno ottenuto, dicono, e io ne conosco nemmeno una.

I racconti della vita prima delle teche si sono persi negli anni e restano solo aneddoti, che sembrano più fiabe che realtà. Nessuna traccia storica, niente di scritto, nessuno ricorda più cosa sia successo, si sa solo che al di fuori delle teche l’aria è malsana e velenosa.

La mia fantasia viaggia parecchio, quella sì: nelle ore di solitudine, e a volte anche durante le ore di scuola, immagino il mondo meraviglioso che si potrebbe trovare al di fuori di Liggen, la nostra teca. Lo sto facendo anche ora, ma la sirena della fine lezioni mi desta dai miei pensieri. Il foglio degli appunti si è fermato alle prime righe... Non abbiamo che questi su cui studiare, i professori ci dettano decine di pagine ogni giorno e noi le dobbiamo imparare praticamente a memoria; dopo le verifiche ci ritirano i fogli e li macerano per riciclare la carta e farne di nuovi. A causa della mia smania di evadere, oggi non ho trascritto la lezione: ora sì, che sono nei guai! Lancio uno sguardo a Lydia, la mia vicina di banco, che mi fa un cenno di assenso. Nemmeno dopo le lezioni abbiamo il permesso di parlare tra noi: una navetta ci porta alle nostre case e durante il viaggio è imposto il silenzio assoluto.

Saluto distrattamente mia madre, mangio un panino in fretta e poi la aiuto a fare le faccende domestiche, come tutti i giorni. Questa vita noiosa non mi basta, ci deve essere dell'altro: da fare, da vedere e da vivere.

Mia madre mi sta richiamando, e dalla faccia severa credo lo stia facendo da molto.

- Emma! Ci sei?

- Scusa, ero distratta.

- Ho visto, spicciati con quelle verdure.

- Sì, faccio presto. Scusami.

Ricomincio a lavare le verdure per la cena, ma la mia mente riprende presto a vagare per gli affari suoi.

Dopo cena si va subito a letto.

Fuori dalla finestra un rumore richiama la mia attenzione. Mi affaccio e vedo Lydia che si ripara sotto il ciliegio del mio giardino. Apro le imposte e le faccio cenno di avvicinarsi. Si arrampica con destrezza sul pergolato, che arriva fino al piano della mia camera. La aiuto a entrare.

- Ma sei pazza? Sei in giro durante il coprifuoco?

- Lo faccio spesso, non preoccuparti. Ti ho copiato gli appunti di oggi, tieni.

Mi lascia in mano i fogli e si accinge a uscire dalla finestra da cui è entrata.

- Grazie, mi hai salvato la vita. Corri a casa adesso, non avresti dovuto rischiare!

- Volevo darti il tempo di studiare, ma sarei uscita lo stesso, la sera mi piace andare a correre.

- Come fai con le ronde?

- Conosco a memoria gli orari e i percorsi, non cambiano mai: potrei girare tutta la notte senza che mi vedano. Vuoi venire con me?

Senza pensarci un secondo, col sangue che mi pulsa nelle tempie, sono già sul davanzale e la sto seguendo mentre scende dal pergolato. Se mi vedesse mia madre le prenderebbe un colpo.

Sorrido, mi sento leggera come non mai e mi affido completamente a Lydia standole dietro, passo dopo passo. Dopo aver attraversato una zona boschiva siamo senza fiato e ci fermiamo in una radura. Non mi ero mai allontanata così tanto da casa e non mi ero mai sentita così eccitata. Il silenzio è praticamente assoluto, rotto solo dal nostro respiro affannoso, e anche il buio è quasi totale. Aspiro l’aria come se respirassi per la prima volta e il profumo che sento, un misto di erba e resina, mi dà un senso di libertà mai avvertito prima.

All'improvviso sentiamo un rumore provenire dalla boscaglia. Per un attimo restiamo paralizzate. Una figura si sta avvicinando, ci hanno scoperte, mia madre mi ammazzerà!

- Salve! Per quale ragione girovagate solinghe a quest’ora tarda?

Soffochiamo una risata per il suo modo strano di parlare.

- Facciamo jogging - risponde altezzosa Lydia - e tu che ci fai qui? Non hai paura delle ronde?

- Le ronde, vi prendete gioco di me? Avete il coprifuoco?

- Avete? Abbiamo semmai!

- Noi non l’abbiamo, io non sono di Liggen, vengo da Waarheid, una teca vicino alla vostra. Non sapevo lo aveste, vengo qui spesso e non ho mai incontrato nessuno, prima di questa sera.

- E vi lasciano andare nelle altre teche? Chiedo, estasiata all’idea di potermele girare tutte.

- In realtà no, i tunnel sono chiusi a chiave, ma si dà il caso io ne abbia una copia…

- Non sono mai uscita da Liggen. Esclamo senza pensarci.

Lui mi sorride. Ha un aspetto gradevole, deve avere pochi anni più di noi. È un tipo strano, non solo nel modo di parlare, ma anche per come è vestito: indossa un completo grigio con tanto di fazzoletto al taschino, calza delle lucidissime scarpe nere e porta una borsa a tracolla. Mai visto nulla del genere.

Mi devo essere incantata di nuovo, distolgo lo sguardo, ma temo si sia accorto che lo stavo fissando perché sembra a disagio e borbotta:

- Scusate la mia goffaggine, non mi sono introdotto a voi come si conviene. Piacere di fare la vostra conoscenza. Mi chiamo Reed. Dice allungandoci la mano.

Io mi avvicino cautamente e gliela stringo, sussurrando a fil di voce.

- Io sono Emma e lei è la mia amica Lydia. Ora però è meglio che andiamo a casa o passeremo dei guai.

- È stato un piacere inaspettato incontrarvi e spero facciate jogging di nuovo da queste parti, io vengo spesso qui. Aspettate, vorrei lasciarvi un presente.

Rovista nella borsa e tira fuori uno strano oggetto, me lo deposita in mano e mi sussurra: - Leggetelo, parla di una donna che porta il vostro nome... spero vi piacerà.

È pesante, l’esterno è liscio e fresco.

- Che cos'è?

- Un libro, come quelli di scuola, ma più bello da leggere.

- Noi non usiamo questi cosi... Rigiro tra le mani il plico e a un certo punto si scompone. - Oh, cielo! L'ho rotto!

La sua risata mi indispettisce. Mi mostra come farlo tornare della forma originale e me lo riconsegna. Non so perché, ma mi dà gioia stringere questo oggetto tra le mani. Sulla superficie ci sono scritte parole con lettere strane, ma leggibili: “Madame Bovary”. Me lo avvicino istintivamente al viso e aspiro il profumo: mai sentito nulla di così buono.

- Grazie mille, lo leggerò e ve lo riporterò appeno lo avrò finito. Addio.

- Spero sia piuttosto un arrivederci a presto. Naturalmente lo potete leggere anche voi, Lydia.

- Dubito. Adesso dobbiamo andare, Emma: alle due, le guardie fanno il secondo giro.

- A presto allora. Gli dico mentre ci inoltriamo nella boscaglia.

Torniamo a casa senza parlare, arrivate sotto casa mia, Lydia dice bisbigliando: - Non torneremo mai più laggiù, potrebbe essere un malintenzionato.

- A me sembrava una brava persona.

- Non possiamo rischiare. E così dicendo mi fa un cenno di saluto con la mano e si dirige verso casa sua.

L’arrampicata fino alla mia finestra è più difficoltosa del previsto, ma riesco a raggiungere indenne il piano superiore. Mi infilo a letto e decido di cominciare subito a leggere questo... come lo aveva chiamato? Ah, sì, libro.

L’alba arriva troppo in fretta. All'inizio la lettura era stata difficoltosa: i caratteri non erano tutti uguali a quelli che conoscevo, col passare dei minuti, però, quelle parole scritte così ordinatamente, messe nelle righe tutte così regolari e con i margini perfettamente allineati, hanno cominciato a diventarmi più familiari e leggerle non mi procurava più difficoltà, anzi non riuscivo più a smettere di farlo e non ho potuto decidermi a riporlo. Quando mia madre mi chiama per la scuola, nascondo accuratamente il mio tesoro sotto il materasso, non voglio rischiare che qualcuno lo trovi.

Appena finite le lezioni torno a casa di corsa e con la scusa di avere mal di testa mi rinchiudo in camera per proseguire con la lettura. Sono oltre ai tre quarti delle pagine quando mia madre mi chiama per la cena. Le dico che non mi sento abbastanza bene per mangiare e che preferisco stare a letto. Non fa domande e non insiste, per fortuna. Dopo un paio d'ore arrivo all’ultima pagina e provo una sensazione di euforia mista a un senso di vuoto... cosa farò adesso che l'ho finito? Come farò a sentirmi di nuovo così? La risposta è semplice: tornerò a cercare quel ragazzo. Sono le undici, e come la sera prima sgattaiolo fuori dalla finestra e mi dirigo alla radura oltre il bosco. Mi metto nello stesso punto in cui l'avevamo incontrato, e aspetto. Quando sto per rinunciare all'impresa, eccolo. Si avvicina sorridendo.

- Non ditemi che la lettura non vi piace.

- Al contrario, mi è piaciuta molto! Gli dico restituendogli il libro.

- L’avete già terminato? Diventeremo grandi amici allora. Possiamo essere meno cerimoniosi?

Lo guardo stranita, non capisco tutto quello che dice, lui mi sorride e aggiunge.

- Potremmo darci del tu, se per te va bene.

- Oh! Sì, per me va benone.

Reed ripone il libro nella borsa con espressione compiaciuta, e vi armeggia dentro.

- Allora, eccone un altro. E mi porge un nuovo volume.

Lo prendo con timore, come se avessi paura di sciuparlo, quasi con devozione.

- Posso farti una domanda, Reed?

- Prego, la curiosità è sintomo di intelligenza.

- Davvero? Mia madre dice che è un difetto. Comunque, mi chiedevo: come mai tu passi qui le tue serate e non nella tua teca?

- Mi piace molto stare qui. Ho scoperto questo posto per caso dopo aver letto un articolo su un vecchio giornale di prima del conflitto.

- Quale conflitto?

- Per tutti i numi! Non ti hanno fatto studiare la terza guerra mondiale?

- Non ne ho mai sentito parlare.

- Ma non fate storia a scuola? Cosa vi insegnano? C’è stato un tempo in cui le teche non c’erano, più di cinquecento anni fa. Poi un capo di stato ha deciso di conquistare il mondo e ha usato delle armi che hanno irreparabilmente danneggiato il nostro pianeta. L’aria era malsana e piena di radiazioni pericolose. I pochi sopravvissuti hanno vissuto sottoterra per decenni e poi hanno costruito le teche che ora ci proteggono. Per questo non possiamo vivere all’esterno, l’ambiente è ancora contaminato.

Ascoltarlo mi dà pace e gioia, e più ascolto le sue parole, più ne voglio sentire: nessuno mai mi aveva raccontato cose così interessanti.

- Avremo modo di parlarne… Per rispondere alla tua domanda, ho letto su questo vecchio giornale che le stelle nel cielo sono molto più luminose se c’è buio totale e da noi, purtroppo, c’è sempre troppa luce anche di notte e si vede a malapena la luna quando è piena. Invece qui c’è il buio quasi assoluto e si vedono tutte le miriadi di stelle.

Guardo in alto e in effetti lo spettacolo è incredibile, possibile che non ci abbia mai fatto caso? Avevo sopra di me questo spettacolo e non me ne sono mai curata? Resto a bocca aperta e giro su me stessa cercando un punto in cui non ci sia uno di quei puntini luminosi e tremolanti, ma niente: tutto il cielo ne è pieno. Riabbasso il capo giusto in tempo per vedere il viso di Reed, raggiante, intento a guardare la mia faccia strabiliata. Si ricompone subito e inizia a indicarmi i vari punti in cui ci sono le costellazioni, che sono gruppi di stelle, e per ciascuna mi racconta la leggenda a cui è legata: un viaggio incredibile che mi toglie il fiato.

Il tempo vola, e arriva il momento di rientrare a casa. A malincuore ci salutiamo e ci diamo appuntamento all’indomani sera.

Le serate si erano susseguite numerose, ritrovarmi a parlare con lui era diventato un rituale a cui non avrei mai potuto più rinunciare. Nessuno sapeva usare le parole come lui e di sentire quello che aveva da dirmi non mi sarei mai stancata.

Ogni sera, dopo cena, mi trovo nella mia camera a pensare a lui e a leggere l’ultimo libro che mi ha dato; oppure, sempre più di frequente, a sistemarmi i capelli e a scegliere qualcosa da mettermi per andare da lui. E poi giù dalla finestra e di corsa attraverso il bosco, fino alla nostra radura, col cuore che trepida dal desiderio di stare con lui e di ascoltare le sue storie. Ogni volta mi porta dei nuovi libri, ormai sono come una droga.

Questa sera, per la prima volta, non mi ha portato un libro. Mi sento strana e delusa.

- Come mai? Non dirmi che ho già letto tutti i libri che hai!

- No, Emma, non li hai letti tutti, ce ne sono ancora molti. Proprio per questo non intendo più portatene. Devi cominciare a scegliere tu quali leggere.

- Ma mi sono piaciuti tutti. Hai buon gusto. Come posso scegliere dei libri? Non ce ne sono a Liggen.

- Per questo ho un regalo per te.

- Un regalo? Per me? Mi hai già regalato tante serate meravigliose in compagnia tua e dei tuoi libri… sono in debito.

- La gioia che vedo nei tuoi occhi quando stringi tra le mani un libro nuovo è una ricompensa più che sufficiente. Ma non sei curiosa di sapere cosa ti voglio regalare?

- Certo che sì.

Mi trovo a saltellare come una bambina e lui sorride, si sta godendo il momento e si capisce dal suo sguardo che non vede l’ora di darmi il regalo. Io sono impaziente, non sono molto abituata a riceverne, in effetti, e la curiosità mi divora. Reed estrae dal panciotto una chiave e me la porge. La prendo in mano e la soppeso con titubanza, non capisco a cosa mi possa servire.

- Oltre quelle colline troverai una porta d’acciaio: apri la serratura con questa chiave e mi troverai là tutte le volte che vorrai. Mi piacerebbe che tu conoscessi il mio mondo, troveresti un’infinità di libri...

- Ma perché stai facendo questa cosa?

- Dal nostro primo incontro ho visto nei tuoi occhi una curiosità inconsueta e a quanto pare non erravo.

- Io ci voglio venire adesso!

- Aha aha, subito? Immaginavo che ti sarebbe piaciuto il mio regalo, ma non avrei mai pensato saresti stata così impaziente. Va bene, andiamo.

Mi prende per mano e ci dirigiamo verso le colline, le superiamo e arriviamo alla fatidica porta d’acciaio. Mi tremano le mani mentre cerco di introdurre la chiave nella serratura, sono eccitata al pensiero di cosa potrò trovarci al di là. Reed mi aiuta a girarla e apre insieme a me la pesante porta. C’è un buio molto intenso e lui estrae dalla tasca una piccola torcia che illumina il pavimento davanti a noi, mi stringo a lui senza nemmeno rendermene conto: ho paura. Lui mi stringe a sua volta e mi dà quella sicurezza che mi serve per camminare nella semi oscurità, verso l’ignoto.

Camminiamo un bel po’, non so bene per quanto tempo, so solo che non sento la stanchezza perché non vedo l’ora di scoprire il suo mondo. Arriviamo di fronte a un’altra porta uguale a quella attraversata prima e infiliamo la stessa chiave nella serratura. Reed la apre appena e controlla dalla fessura che non ci sia nessuno nei paraggi. Poi fa cenno di andare e oltrepassiamo l’uscio richiudendoci la porta alle spalle.

Vengo investita da una luce accecante, sembra sia giorno da quanto è alta l’illuminazione, e subito dopo arriva il rumore assordante della città. Nulla a che vedere con il silenzio di Liggen. C’è movimento e tutti parlano e ridono senza che nessuno li rimproveri, o li fermi. Dopo qualche attimo di stupore guardo Reed e gli chiedo: - Ma se mi scoprono?

- Non ti scopriranno, vieni con me.

Mi riprende per mano e mi fa entrare in un enorme palazzo con un portone di legno massiccio. Appena entro non credo ai miei occhi: un’immensa distesa di libri messi in bell’ordine sugli scaffali, ovunque mi giri vedo librerie zeppe. Ce ne sono di ogni colore e dimensione. Mi gira la testa a forza di vorticare su me stessa per godere quello spettacolo. Reed è estasiato dal mio stupore, gli sembrerò sciocca, ma non avevo mai visto nulla di così maestoso.

- Ma dove siamo?

- Nella biblioteca di Waarheid, la più grande di tutte le teche.

- Santo cielo! Mai visto nulla di così bello in vita mia. Di chi sono tutti questi libri?

- Nostri. Ci sono tutti i libri che sono stati scritti dai tempi dei tempi. E chiunque può prenderli in prestito e leggerli, senza pagare. Quelli che hai letto tu li ho presi da qui. Le storie che ti ho raccontato sulle costellazioni, le ho lette su libri presi qui.

Mi sento sopraffatta dall’emozione, non so cosa dire, lo abbraccio stretto e gli dico solo grazie, non mi viene altro da dirgli. Ci aggiriamo a lungo tra gli scaffali, mai avrei pensato che potessero esistere così tanti libri e vorrei prenderli tutti, non so davvero da quale iniziare. Alla fine decido di andare in ordine, comincio dal primo scaffale accanto all’ingresso e prendo il primo volume: ho intenzione di leggerli tutti.

- Ora andiamo, prima che ti sorprendano le guardie della tua teca.

Stringo tra le mie mani il nuovo volume e seguo Reed che mi scorta fino all’uscita del tunnel.

Sono passati due anni da quando Reed mi ha dato la chiave e io non ho perso tempo. L'ho usata moltissime volte. Ho divorato un libro dopo l'altro, conoscendo personaggi magnifici e viaggiando in mille mondi diversi, in epoche passate e future.

Qualche volta indugiamo ancora nella radura, sdraiati sull’erba a guardare le stelle, come oggi. Il cielo sembra più luminoso del solito, il cielo è limpido e la luna illumina i nostri corpi sdraiati. All’improvviso una scia luminosa attraversa la volta celeste strappandomi un grido di stupore.

- Hai visto anche tu?

- Sì, l’ho vista. È una stella cadente. In questo periodo dell’anno se ne vedono molte. Aspettiamo la prossima ed esprimiamo un desiderio. Una leggenda narra che se esprimi un desiderio mentre cade una stella, quel desiderio si avvererà.

- Davvero?

Setaccio tutto il cielo in cerca di un’altra scia luminosa, ma sono tutte immobili, adesso che ne cerco una non cadrà mai, lo so, la solita fortuna! Saprei cosa desiderare, so quello che voglio.

- Tu cosa desidereresti, Reed?

Mi squadra con uno sguardo strano e carico di emozione e sussurra.

- Io ho già tutto quello che desidero, non saprei.

- Io desidero una cosa, invece.

- No, non dirmela, se lo dici ad alta voce poi il desiderio non si avvera.

- OK, allora lo terrò per me e per la prossima stella cadente.

Mi metto a sedere sempre con il naso verso il cielo, lui si avvicina e mi mette un braccio intorno alle spalle, non eravamo mai stati così vicini e sento lo stomaco in subbuglio. La sua vicinanza mi dà contemporaneamente gioia e spavento. Non avevo mai provato nulla del genere. Ed ecco la scia che attraversa il cielo dall’orizzonte verso l’alto! Sospiro, chiudo gli occhi ed esprimo nella mia mente il mio più grande desiderio. Mi sento molto felice anche solo per aver potuto consegnare a quella stella cadente il mio pensiero, quello che più vorrei al mondo, confidando che la storia raccontata da Reed sia vera e che si avvererà. Si deve avverare.

Non voglio aprire gli occhi, ho paura che tutto possa svanire e che quindi il mio desiderio vada disperso.

- Emma, tutto bene?

- Sto solo ripetendo il mio desiderio affinché quella stella non lo dimentichi.

- Come sei dolce, piccola Emma.

Mi abbraccia stretta e io provo smarrimento e di nuovo quella strana sensazione alla bocca dello stomaco, non so cosa mi stia capitando, ma so che il giorno in cui si avvererà il mio desiderio potrò sentirmi così tutti i giorni.

Liggen mi è sempre stata stretta, ma da quando ho conosciuto Reed e il suo meraviglioso mondo, non è più tollerabile vivere qui.

Oggi è il fatidico giorno: entro questa sera saprò se mi hanno accordato il visto per andare a vivere a Waarheid, saprò se il mio desiderio si può avverare. Sarebbe magnifico poter stare sempre in mezzo ai libri, con Reed, e non dover più leggere e vederci di nascosto!

Mi presento all’orario stabilito presso la sede del Governo. Il Vicegovernatore mi riceve nel suo ufficio e senza mezzi termini mi comunica che il mio visto è stato negato. Non è possibile. Le lacrime mi salgono agli occhi senza che io lo possa impedire. Vorrei urlare, imprecare, protestare, ma è contro la legge. Chino mestamente la testa e corro verso casa.

Tutto, intorno a me, sembra diventare ancora più insopportabile: il silenzio è assordante e l’aria sembra irrespirabile. Avevo fatto affidamento su questo visto e ora dovrò vivere per sempre sapendo di non poter vedere avverato il mio sogno. Mi chiudo in camera, mi butto sul letto con il cuscino sopra la testa e sfogo tutto il mio dolore.

Alle undici, col viso gonfio dal pianto e la testa che mi scoppia, metto qualche vestito in una borsa e stringo al petto l'ultimo libro che ho letto, con l'intenzione di usare la chiave per l'ultima volta: fuggirò al di là della porta d’acciaio, a ogni costo. Vado oltre le colline. Davanti alla porta, c'è Reed, con un sorriso meraviglioso sulle labbra.

- Non è andata come speravamo, mi hanno negato il visto.

Mi guarda e non smette di sorridere, mandando tutte le mie certezze all'aria, pensavo che anche lui volesse che andassi a vivere con lui a Waarheid, ma quel sorriso sembra esprimere tutt'altro. Sono confusa, delusa, mi pulsa la testa, ho la nausea e mi sento una perfetta idiota.

- Perché sei così afflitta? Non è cambiato nulla: il piano è sempre lo stesso. Noi due insieme, però a Liggen.

- Dove starai? Non puoi scappare giorno e notte.

- Sapevo che il tuo arretrato governo non ti avrebbe mai concesso il visto e allora l'ho richiesto anche io. A me lo hanno elargito e da oggi sono un fiero cittadino di Liggen. Abbiamo anche la chiave... possiamo avere tutto.

Le lacrime mi impediscono di vedere la sua espressione, ma dal tono della sua voce sembra felice almeno quanto lo sono io. Improvvisamente capisco: non ho bisogno di andarmene dal mio paesino bigotto per essere libera, mi basta la possibilità di stare con lui e di viaggiare in tutto il mondo attraverso le parole scritte nei libri.

Viaggeremo in un mondo nuovo e diverso tutte le volte che vorremo e vivremo le avventure descritte nei libri, perché la libertà, dopotutto, non è un luogo.

"Uomini che odiano le donne", tratto dal romanzo di Stieg Larsson.
Come sempre potete ispirarvi all'opera originale e prendere qualsiasi direzione troviate inerente.

Le regole, sempre le stesse:

I racconti (inediti) devono essere inviati a: contest@jonaeditore.it

La lunghezza massima (e vivamente consigliata) è di quattromila parole.
Il documento deve essere in qualsiasi formato office (doc, docs, odt).
Il titolo deve essere composto dal vostro nome-cognome e da "uomini che odiano le donne".
Dovete scrivere consenso a pubblicare online lo scritto, in caso di vittoria.
Precisiamo che con "inedito" si intende non pubblicato né su cartaceo, né online.
Scadenza 28 febbraio 2018.
Chiediamo, inoltre, ai partecipanti, di iscriversi al sito, alla nostra newsletter e a mettere un like alla pagina facebook. Sarà più semplice comunicare e potrete seguire ogni nostra iniziativa.
Cosa si vince?

I due o più vincitori (se i racconti inviati saranno meno di cinquanta decreteremo solo un vincitore) avranno pubblicazione in www.jonaeditore.it

 Entro fine marzo 2018  i migliori tra i vincitori avranno un contratto editoriale e saranno pubblicati in cartaceo e in epub.

Link a Prospettive, l'ebook della prima antologia.

 

Qui abbiamo parlato de Il Gioco.


Bando di partecipazione per la seconda edizione, le regole:


Data di inzio: 15 aprile 2018

Ognuno di voi dovrà pensare un personaggio. Quello che noi consigliamo è di trovarlo in voi. Di cercare di esplorare una parte della vostra natura nascosta, non resa manifesta, e di darle vita. Di trovare, per questa parte, un vestito. Che sia uomo, donna, buono, cattivo, vecchio o giovane, sta a voi. A parer nostro l’errore potrebbe essere quello di enfatizzare quello che già vivete. Una vostra versione più grande/bella/ricca. Al contrario, sarebbe interessante se trovaste quella cosa che, in voi, non volete vedere, nascondete, mascherate. Non, quindi,  quello che volete essere, ma quello che siete malgrado voi.
Dovete scrivere la presentazione. Almeno una pagina (word – va bene sia .doc, sia .docs - Times New Roman, 12, interlinea 1,5) scritto in prima persona del personaggio e inviarla (unita ai vostri dati: nome, cognome, residenza)  a ilgioco@jonaeditore.it
Noi apriremo un gruppo (segreto) in Facebook e creeremo dieci account.
Ogni personaggio che passerà la selezione ne avrà uno e sarà iscritto al gruppo “Il gioco”.
Dovrà presentarsi nella home del gruppo, cosicché tutti possano iniziare a conoscersi.
Dovrà avere tre livelli di scrittura:
Pubblico: nella home del gruppo
Privato: messaggistica con gli altri personaggi
Diario: dovrà, quotidianamente, scrivere le sue impressioni (sempre in prima persona-personaggio) e mandarcele.
I personaggi potranno incontrarsi dal vivo, ma sempre e solo in qualità di personaggio, senza mai rivelare la vera identità.

Il gioco durerà tre mesi.

Se il personaggio sarà poco presente e non interagirà con gli altri participanti: sarà eliminato.

Se sarà noioso, poco interessante, stereotipato: sarà eliminato

Se l’autore parlerà al di fuori del gruppo del suo personaggio: sarà eliminato.

Si partirà in dieci, altri subentreranno.

Alla fine dei tre mesi, i dieci rimasti avranno un contratto editoriale e scriveranno la loro storia. Il vincitore assoluto oltre a scrivere la sua scriverà un romanzo corale, con tutta l'esperienza dei personaggi per i tre mesi all'interno del gruppo.
In totale saranno, quindi, pubblicati undici libri, sia in versione digitale, sia in versione cartacea.

Per qualsiasi domanda, potete scrivere qui o mandare una mail a:

ilgioco@jonaeditore.it

Alla stessa mail, entro il 30 marzo 2018 potete mandare la vostra candidatura.
Per seguire ulteriori sviluppi e approfondimenti, potete seguirci attraverso la pagina Facebook e quella Instagram, e soprattutto il blog:  Il Gioco.

Responsabili editoriali di questa edizione, le vincitrici de Il Gioco 1.0:

Serena Barsottelli

Angela Colapinto


I dieci partecipanti  de Il Gioco 1.0 hanno descritto, in poche righe, la loro esperienza:

Debora Gatelli Per me il gioco e' stato come vivere in una dimensione parallela che con il passare delle settimane convergeva sempre più' pericolosamente con la mia vita reale fino ad intersecarsi con essa. E adesso non so più bene chi sono ma la sensazione e' comunque piacevole!

Mariarosa Quadrio Per me Il gioco è stato un viaggio dentro di me, le mie paure, i miei desideri. La parte migliore è stata trovare dei meravigliosi compagni di viaggio. È stata una splendida avventura che non scorderò mai.

Peppe Patti Per me Il gioco è stata quella esperienza che mi ha confuso del tutto sulla mia identità e che ha aggiunto un pizzico di pazzia in più in me. Ah, ha avuto anche dei lati negativi.

Serena Barsottelli Il gioco è stata la possibilità di dare vita a quella persona che vive dentro di me, ma che fuori dalla mia mente non può e non deve esistere. Mi ha dato la possibilità di essere la me stessa che, nonostante tutti i nonostante, continua a sopravvivere.


Nicoletta Fanuele Il gioco è stato un modo scoprire e scoprirsi, per raccontare un personaggio che da un po' di tempo scalpitava e non riusciva a trovare i giusti spazi e la giusta considerazione in altri contesti. Il gioco è un viaggio meraviglioso, un'avventura indimenticabile.

Galena Colapinto Il Gioco, per me, ha rappresentato la possibilità di aprire i cancelli a lati nascosti. È stato un ottimo sedativo, un viaggio dentro me stessa, a volte perturbante, altre liberatorio. È stato un po' come guardarsi in uno specchio e ritrovarsi a studiare la propria immagine come fosse qualcosa di nuovo.

Margherita Salterini Il gioco è l'esperimento con la E maiuscola, un'esperienza in divenire che abbandona ogni standard a cui si è abituati. È l'occasione di creare un mondo parallelo, che ci piaccia oppure no. Che sia un po' noi o per niente noi.

Chiara Trombetta Per me Il Gioco è stata la finestra di libertà che ho sempre cercato, l'opportunità di costruire qualcosa di vivo e in continua evoluzione insieme a un gruppo di menti fertili e altrettanto folli.
 
(Tutti i disegni de Il Gioco 1.0 e de Il gioco 2.0 sono di Alberto Baroni)


Qualora la redazione dovesse accettare la candidatura di un minore di anni diciotto sarà necessario che i genitori provvedano a sottoscrivere la liberatoria (scaricabile qui) per l’utilizzo delle immagini del minore stesso.
Nel caso che, inoltre, un minore di anni diciotto risultasse tra gli ultimi dieci rimasti  ai quali l’Editore offrirà contratto editoriale, sarà cura dello stesso Editore fornire tutta l’assistenza per l’ottenimento, da parte degli esercenti la potestà genitoriale nell’interesse del minore, dell’eventuale autorizzazione da parte del Giudice tutelare competente, per la stipula del contratto e per la riscossione delle somme dovute a titolo di corrispettivo percentuale sulle vendite.

Siamo arrivati all'ultima intervista doppia: Chiara Trombetta e il suo personaggio Nicola Ventimiglia.

 

-          Nome?

Nicola Ventimiglia.

-          Età?

Venticinque anni.

-          Dove vivi?

In provincia. Che è anche il nome di una malattia.

-          Il tuo maggior pregio?

La capacità di comprendere anche ciò che mi è estraneo.

-          Il tuo peggior difetto?

L'incapacità di limitarmi a vivere.

-          Il peggior difetto del tuo alter ego?

Un niente la tocca e spunta subito un livido.

-    Qualcosa al tuo alter ego che non gli hai mai detto?

Sii meno spigolosa, che tanto muori lo stesso.

-          Cosa ti resterà di questa esperienza?

Un amore folle per il Detestiario di Margherita e il desiderio di narrarmi.

Chiara

-          Nome?

Chiara Trombetta.

- Età?

Ventidue anni.

-          Dove vivi?

Fino al mese scorso a Siena. Per ora di nuovo a Sora (FR), la mia città natale. Tra pochissimo in Germania. Diciamo pure che non ho radici.

-          Il tuo maggior pregio?

La trasparenza.

-          Il tuo peggior difetto?

Troppe cose mi scivolano addosso.

-          Il peggior difetto del tuo alter ego?

Si incarta in se stesso dieci volte al minuto.

-          Di qualcosa al tuo alter ego, che non gli hai mai detto.

Al bando il senso di colpa, per favore.

-          Cosa ti resterà di questa esperienza?

Soprattutto la bella sensazione di veder nascere, crescere, respirare e mutare qualcosa di vivo.

Altra intervista doppia, questa volta conosciamo meglio Nicola Rovetta e il suo personaggio: Eddy Jonston.

- Nome?

Eddy Jonston.

- Età?

Trentuno anni.

- Dove vivi?

In provincia di Brescia.

- Il tuo maggior pregio?

L'eccentricità, la mia miglior amica è purtroppo stata anche la peggiore.

- Il tuo peggior difetto?

La tendenza ad avere raptus di furia, quando esplodo tocca anche ad un oggetto vicino.

- Il peggior difetto del tuo alter ego?

Non ascolto mai i consigli, penso sempre che farcela da solo sia il miglior consiglio. Non è cosi!

- Di qualcosa al tuo alter ego che non gli hai mai detto

Vatti a fare una bella camminata. Resti troppo in casa, rischi di impazzire come me, un giorno di questi ti porto a camminare su un laghetto ghiacciato.

- Cosa ti resterà di questa esperienza?

Degli ottimi compagni di gioco, maggior felicità e una bella storia da raccontare.


- Nome?

Nicola Rovetta.

- Età?

Ventiquattro anni.

- Dove vivi?

In provincia di Brescia.

- Il tuo maggior pregio?

Una fantasia con le sfumature dell'arcobaleno.

- Il tuo peggior difetto?

La tendenza all'eccessiva bontà, quando sono sgarbati o peggio con me me ne sto zitto e buono. Eddy si arrabbia parecchio, dovrei fare più come lui, con lui sono successe anche cose eccessive però. Una via di mezzo sarebbe forse la cosa migliore.

- Il peggior difetto del tuo alter ego?

Non ha abbastanza fiducia in se stesso, spesso soffre proprio per questo.

- Di qualcosa al tuo alter ego che non gli hai mai detto.

Dovresti iniziare a studiare qualcosa, sei più intelligente di quel che pensi.

- Cosa ti resterà di questa esperienza?

Una bella esperienza letteraria, l'aver conosciuto Eddy e tutti voi che avete lasciato un grosso segno. Sarà mica poco!

- Nome?

Prisca Aramini.

- Età ?

Quarantuno.

- Dove vivi?

In Fiammingozia.

- Il tuo maggior pregio?

Sono amichevole e ho sempre una buona parola per tutti.

- Il tuo peggior difetto?

Il mio gemello cattivo non ha peli sulla lingua.

- Il peggior difetto del tuo alter ego?

Quel babbeo del gemello buono ha seminato nuovi peli sulla sua stupida lingua.

- Di qualcosa al tuo alter ego che non gli hai mai detto

Se non ci fossi tu, io sarei in carcere.

- Cosa ti resterà di questa esperienza?

Uno sdoppiamento della personalità ancora più grave di quello che già avevo.

 

- Nome?

Debora Gatelli.

- Età

Quarantuno.

- Dove vivi?

Ad Anversa (Fiammingozia).

- Il tuo maggior pregio?

Ho molta fantasia nel creare i miei personaggi! ;-)

- Il tuo peggior difetto?

Ascolto la gente fino allo sfinimento (mio).

- Il peggior difetto del tuo alter ego?

E’ petulante e polemico fino allo sfinimento (altrui).

- Di qualcosa al tuo alter ego che non gli hai mai detto.

Comincio a sentirmi un po’ sfinita.

- Cosa ti resterà di questa esperienza?

Nuovi amici da ascoltare e con i quali polemizzare in allegra "petulanza"

Conosciamo meglio Giuseppe Patti e il suo personaggio: Giuseppe Calamitaro.


 

- Nome?

Giuseppe Calamitaro.

- Età?

Venticinque.

- Dove vivi?

Palermo.

- Il tuo maggior pregio?

Non credo di averne, pregi.

- Il tuo peggior difetto?

Forse sono un insicuro senza speranza, ed esisto.

- Il peggior difetto del tuo alter ego?

Si crede migliore di me.

- Di' qualcosa al tuo alter ego, che non gli hai mai detto.

Pensa, vivi.

- Cosa ti resterà di questa esperienza?

Forse qualche ricordo, più o meno sfumato.

 

- Nome?

Giuseppe Patti.

- Età?

Ventidue.

- Dove vivi?

Palermo, ma sogno di girare il mondo, essere sempre in viaggio.

- Il tuo maggior pregio?

Non devo essere io a dirlo, non sarei oggettivo.

- Il tuo peggior difetto?

Tendo a sognare avvenimenti, irrealizzabili, più grandi di me.

- Il peggior difetto del tuo alter ego?

Difficilmente sorride.

- Di' qualcosa al tuo alter ego, che non gli hai mai detto.

Sorridi.

- Cosa ti resterà di questa esperienza?

Tanto sonno arretrato.

-          Givevra Mantovani e Nicoletta Fanuele si raccontano per noi.

 

           Nome?

-          Ginevra Mantovani.

-           Età?

-          Trent’anni.

-           Dove vivi?

-          Salerno.

-          Il tuo maggior pregio?

-          Il coraggio.

-          Il tuo peggior difetto?

-          Sono una gran sbadata!

-          Il peggior difetto del tuo alter ego?

-          La testardaggine.

-          Di’ qualcosa al tuo alter ego, che non gli hai mai detto:

-          Elimina dalla tua vita persone che non ti fanno star bene!

-          Cosa ti resterà di questa esperienza?

-          La capacità di aver saputo affrontare storie “difficili” ed esserne “quasi” venuta a capo.

 

 

-          Nome?

-          Nicoletta Fanuele.

-          Età?

-          Venticinque anni.

-          Dove vivi?

-          Basilicata, provincia di Potenza.

-          Il tuo maggior pregio?

-          La capacità di credere sempre in quello che faccio e tirare dritto verso un obiettivo.

-          Il tuo peggior difetto?

-          Il mio orgoglio, ma non sempre si rivela essere un difetto.

-          Il peggior difetto del tuo alter ego?

-          Il suo voler concedere quasi sempre una seconda opportunità a chi le ha fatto del male.

-          Di’ qualcosa al tuo alter ego, che non gli hai mai detto?

-          Smettila di rovesciare tutti quei caffè, finirà per diventare un vizio!

-          Cosa ti resterà di questa esperienza?
La bellezza di aver conosciuto persone nuove, che nutrono la mia stessa passione per la scrittura, e con cui ho condiviso un’esperienza fantastica!

La prima volta che Lucio Morelli ha incontrato Flaminio Vitali aveva appena irrimediabilmente macchiato di terra la sua salopette rosa. Aveva un sacco di vestiti rosa, perché sua zia aveva capito male, quando era nato, al telefono, e aveva mandato a Teresa tutto il guardaroba di sua cugina.

Si potrebbe dire che era un quieto pomeriggio soleggiato e quasi caldo di un estate degli anni '90, ma in realtà aveva appena finito di piovere, di nuovo, e la foschia era così densa da attorcigliare nodi di nebbia fra le corde dell'altalena.

L'odore di ruggine ed erba bagnata rimaneva sospeso fra il tronco, la piramide a gradoni e la casetta di plastica scolorita dove il figlio della signor Dionigi si nascondeva di sera con la sua ragazza, a fare cose che Teresa non voleva mai dire davanti a lui.

Flaminio Vitali era piccolo, più piccolo dei bambini a cui Lucio era abituato, i figli antipatici dei vicini di casa, e quelli che sua mamma voleva obbligare a diventare suoi amici invitandoli a casa la domenica pomeriggio.

Lucio odiava quei bambini, gli chiedevano sempre perché Marco non era suo papà. Che cosa aveva fatto di male per far scappare così suo papà?

Lucio non lo sapeva, ma aveva cominciato a mordere tutti, e la maestra aveva chiamato a casa.

La prima volta che Lucio Morelli ha visto Flaminio Vitali, era dietro una finestra chiusa nell'appartamento di fronte. Lo ha salutato con in mano il pupazzo di un orso vecchio e rovinato e la bocca sporca di budino.

Si potrebbe raccontare al mondo che tutto è nato in quel momento, con Lucio e la sua salopette rosa che tirava calci alla sabbia del recinto, e Flaminio con il suo orsacchiotto rattoppato che ha attraversato il parco recintato e si è seduto a fatica su un'altalena cigolante.

Non toccava nemmeno a terra, e il suo orsetto si è sporcato ancora contro le catene oliate di fresco dall'amministratore di condominio con il gatto soriano cieco da un occhio.

Lucio Morelli è rimasto seduto a gambe incrociate nel recinto di sabbia per sette minuti e quattordici secondi, prima di alzarsi senza curarsi di raschiare via un grammo di terriccio dai vestiti, e si è seduto con un salto – che negli anni sarebbe diventato, nei suoi racconti, sempre più elegante ed agile – sull'altalena vicina.

Zitto, il mento sollevato, perché così vuole il galateo dei bambini. Il più piccolo, quello che arriva dopo, deve attaccare bottone.

Non l'ha deciso nessuno, è vero, ma fidatevi se dico che è così. Lucio la racconta sempre così, come se fosse ovvio.

Flaminio non sapeva spingersi da solo, così è rimasto a far ciondolare le gambe dal sedile mentre l'altro arrivava talmente in alto da toccare quasi i rami del castagno lì vicino. A lui sembrava così, e i bambini sanno quando gli altri bambini arrivano a toccare il cielo. Anche questo è noto.

“Ciao, sei il figlio della Giovanna?” Flaminio Vitali era, per sua natura, un bambino socievole. In quei dodici secondi di altalena condivisa, nonostante Lucio cercasse in ogni modo di farlo sentire piccolo e insignificante flagellando l'aria con le sue piroette da pavone, aveva già deciso che non voleva rimanere solo quel pomeriggio. Bù, il suo orsetto, era il suo migliore amico da tre anni, otto mesi e cinque giorni, e gli sembrava un tempo considerevolmente lungo per avere un amico che non rispondeva mai alle sue domande. Un'aura di mistero, fra amici, andava anche bene, ma Flaminio stava cominciando a trovare difficile fare conversazione.

“Conosci mia mamma?” e così Flaminio ha trovato l'appiglio dove appendersi per imparare a dondolare nelle strane smorfie orgogliose dell'altro. Un po' a sinistra rispetto alle sue manie di protagonismo, e leggermente a destra della sua cocciutaggine.

Ha annuito, con il suo caschetto tremendamente anni '90.

“Mia mamma è amica della tua. Si salutano sempre quando sono in fila alle casse della Conad”

“Io non mi ricordo di te...” è una bugia ma, garantisco, a fin di bene. Tutte le volte che Flaminio racconta la storia, Lucio sembra sempre meno convincente mentre dice questa frase.

“Che hai fatto? Per stare qui e non al cinema con gli altri...”

“Sono in castigo tutta la settimana. Ho detto a mia mamma che è una rompipalle. Non è vero che è una rompipalle, ma voleva farmi andare a dormire presto invece di guardare Balto ” si è stretto nelle piccole spalle, e ha stretto di più anche l'Orsetto Bù, perché lo faceva sempre stare un po' meglio sentire il pelo ispido sotto le dita. “Abbiamo fatto pace, ma sono in castigo lo stesso, per un po'” ha dondolato i piedi, osservandoli con l'attenzione maniacale che maschera sempre l'imbarazzo “Tu perché sei qui e non al cinema? Z la Formica è un film bellissimo!”

Lucio aveva quasi otto anni, ma avrebbe voluto averne già dieci, o undici, essere grande e alto, e guardare Flaminio Vitali dall'alto in basso mentre sfregava i calzoni macchiati di fango sotto il sedile dell'altalena.

“Faccio schifo. Sono vestito di rosa!” una risposta che, necessariamente, per lui, significava discorso chiuso. Ma l'altro aveva l'espressione di uno che non considerava minimamente il colore rosa una buona ragione per saltare un pomeriggio al cinema con i bambini del condominio. Non quando Z la Formica, il film più bello del mondo, era in programmazione.

“E' mia mamma che mi veste sempre di rosa. Perché le hanno regalato un sacco di cose, ma sono tutte da bambine, ma mia sorella è troppo piccola, e le devo mettere io”

Flaminio ha scrollato le spalle, e per poco non è caduto faccia a terra sull'erba

“Mi piace il rosa, anche se tutti mi prendono in giro perché dicono che è un colore da femmine”

Se qualcuno si fosse affacciato, in quel momento, da una delle duecentododici finestre che si affacciavano sul cortile interno, avrebbero visto il testardo e viziato Lucio Morelli sorridere un poco, e annuire, e smettere di atteggiarsi a gran sportivo perché sapeva andare sull'altalena. Non lo avrebbero visto piangere, né tirare la manica della madre in mezzo al viale, per attirare la sua attenzione. E nemmeno tenersi alla larga dalla carrozzina di sua sorella appena nata, con parenti e amici a far da capannello, mentre lui si tirava dietro i suoi vestiti da femmina.

“Ecco, anche a me. Proprio per quello. E io non voglio andare al cinema con quelli che mi prendono in giro. E Tommaso Orsini è uno-” si è guardato intorno, attento che sua madre non lo stesse ascoltando, o fosse affacciata alla finestra, o quella vecchia che puzzava di cavolo bollito della signora Filini passasse di lì con la sua larga bocca sdentata e l'apparecchio acustico acceso “stronzo”

Flaminio era un bambino socievole, ma non abbastanza da avere amici che dicevano le parolacce.

“Che vuol dire?”

“Non lo so bene. Ma il fidanzato di mia mamma lo dice sempre quando guarda il telegiornale. E lei lo fa stare zitto. E' una cosa brutta però...” Lucio sembrava uno spiritello sorridente, e il suono esile di una risata un po' sciocca allargava pian piano il foro che Flaminio stava usando come appiglio

“Se non lo sai te...hai detto rompipalle a tua mamma!”

“Ma le ho chiesto scusa però! Mica volevo dirglielo davvero!” tremava un po', perché si sentiva ancora in colpa, e il biscotto della pace che Anna gli aveva portato in camera la sera prima era ancora appeso nello stomaco, e proprio non voleva decidersi a scivolare via.

“Però in castigo ci sei lo stesso”

“Perché lei ci è rimasta male. E siamo solo noi quindi...”

“E tuo papà?” forse Lucio non era come i suoi compagni di classe, con le loro famiglie di genitori ancora sposati, le cene di Natale con i nonni, e i cugini invitati ai compleanni, ma era curioso, curioso come è curioso il primo bambino sulla Terra che è stato convinto per anni di essere solo, e scopre improvvisamente che non è così.

“Boh, non l'ho mai visto...” e ha sentito, allora – o almeno così dice, quando arriva a raccontare di quel momento, cercando la mano, il ginocchio, la clavicola o gli occhi di Flaminio attraverso stanza – di non voler vedere le fossette sparire dalle sue guance. Le stesse fossette che prima lo irritavano erano quasi diventate una confortante compagnia.

Ha scrollato le spalle come per scacciare l'ombra della tristezza dalle catene dell'altalena.

Si è alzato con un salto non troppo atletico, anche se non ne farà parola con nessuno, ovviamente, nei suoi racconti successivi, ed ha cominciato ad arrampicarsi sulla piramide di tronchi.

“Io nemmeno il mio. Mia mamma dice “stronzo” anche quando parla di lui. Ma Marco è forte, forse mamma starà bene. Non lo so. Mica me le dice queste cose.” sbuffando, è arrivato in cima. Osservare Flaminio da quella posizione, incredibilmente, non lo ha fatto sentire più forte. “E' sempre lì che parla piano, e dice a tutti di stare zitti perché Silvia dorme, e deve mangiare, e deve giocare, è una noia!”

“Non ti piace tua sorella?” sarà stato anche un bambino di sei anni, ma non era stupido. Anzi, e questo è uno zoom nell'animo umano che solo un narratore onnisciente può permettersi, c'era in lui quell'insolita empatia verso il mondo che a volte è così amara da scavare fosse asimmetriche fra una costola e l'altra. Sei anni di bambino magrolino e un orso di peluche sbrindellato rivelavano gli orli di una passione intensa per le cose usate, rotte, scucite, squarciate. Difettose.

“E' piccola. Mangia e piange. E basta. Io volevo un fratello per giocare a calcio” è saltato giù anche dalla piramide, Lucio, sempre in movimento, a scalciare contro il tempo che passa e che mente.

Pagina 5 di 16