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Il negozio è un posto in cui andiamo per prendere ciò che ci necessita. Nella bottega ci sono persone che offrono servizi. Poi ci sono i luoghi. I luoghi non hanno solo cibo, non offrono solo beni, e non sono neanche solo persone; i luoghi sono abitazioni. Nei luoghi trovi idee, trovi un pensiero che ti era sfuggito e non ricordavi dove lo avevi messo, ti viene in mente quel sapore sentendo quell’odore, che faceva troppo male ricordare ma che, oramai, è tornato bello; nei luoghi ti siedi per riposare e ti alzi per andare, parli con un amico e ti sembra di abitare una casa nuova, con nuove parti di te.
Donata, Ombretta ed Ezio sono tre fratelli che nel 2012 hanno iniziato a pensare di costruire il loro personale piccolo mondo. Hanno iniziato a studiare come poterlo fare nascere, cercato il luogo adatto, si sono districati nella burocrazia. E, due anni dopo lo hanno inaugurato.
Camellia, quindi, non è solo negozio, locale, bottega.
Più di un anno fa stavo cercando un posto nuovo per comprare un centinaio di grammi di puer. Giusto per vedere qualcosa di nuovo e capire se a Torino qualcosa, in ambito di tè, si stava muovendo. Con mio stupore vidi che negli ultimi tempi, in effetti, qualcosa in più c’era.
Scelsi Camellia, un poco perché comodo come zona, un poco perché nel sito avevo visto uno “shu” dall’aspetto attraente.
Entrare da Camellia ti dà, immediatamente, la sensazione di aver lasciato gli abiti stanchi fuori dalla porta. Ti rilassi. Sei accolto senza il fastidiosissimo “allora, ha bisogno di qualcosa, mi dica, mi dica, mi dica” che ti fa immediatamente venire voglia di scappare, ma neanche ti lasciano solo a te stesso. Chiedono, aspettano, ti lasciano vagare in cerca di odori o sensazioni nel loro bellissimo locale. E, di odori e sensazioni, ce ne sono davvero tanti. Per gli amanti dei rossi ossidati ci sono delle belle torte in bella vista, e poi i neri, i verdi, giapponesi, coreani. E poi teiere  in ghisa, in terracotta yixing, vassoi, tazzine. Tutto di qualità elevata. Ma questo è solo uno degli aspetti che mi ha fatto tornare da Camelia. A Torino mancava un posto per consumare tè. O, meglio, per consumare qualcosa che non avesse solo l’aspetto del tè. Non in un bustina, non da pochi centesimi, non vicino a mille altre bevande. Quindi, da Camelia ci si siede, si vede cosa bere e con che cibo accompagnarlo. E, se sei di fretta e vuoi solo un sacchettino prezioso da portare via, comunque hai la possibilità, prima, di assaggiarlo.
I tre fratelli, Donata, Ombretta ed Ezio, capiscono di tè senza avere la supponenza che, purtroppo e spesso, ha chi capisce di tè. Non è una cosa facile da trovare, puoi fare due chiacchiere con persone che, oltre a dirti delle nuove tendenze in asia, dei nuovi neri africani, e a parlarti del bellissimo viaggio fatto da Ezio in una terra da camellia, sanno anche ascoltare quello che hai da dire. Insomma, sono persone intelligenti, persone da andare a trovare per passare qualche decina di minuti nel loro bel mondo sentendosi in una casa propria.

 
Questo il loro sito
Questa la loro pagina facebook

Alcune foto del locale  (tutte le immagini sono in anteprima, aprendone una vedrete la galleria)

foto di Martina Giovalli e Daniele Giovani

Alcune foto del bellissimo  viaggio di Ezio a Laos (nel link la storia)

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Abbiamo intervistato il “Signor Teknosvapo”.
È  utile capire cosa vuol dire svapare e perché, da e attraverso una persona che è partita da una passione per arrivare ad avere una attività importante.

Per prima cosa mi presento, mi chiamo Alessandro, ho quarantesatte anni, sono sposato con Federica da cinque, ho due bellissimi bambini (non potrebbe essere diversamente: ogni guaglione è bello mamma sua - in questo caso a babbo suo).
Vivo a Ferrara da sempre, per due decenni ho lavorato, ricoprendo ruoli di rilievo, presso una azienda di Poste Italiane, e, dopo venti anni di onorato servizio, non privo, per altro, di soddisfazioni, nel marzo del 2012 ho lasciato un posto sicuro e di prestigio per costruirmi un altro futuro fatto esclusivamente da me, dalle mie idee e con le mie convinzioni.
Ho preso questa decisione semplicemente perché la sigaretta elettronica mi ha guarito dal tabagismo, e il mio pensiero, conseguentemente, è stato: “se ha funzionato per me, che nei trentacinque anni di sigarette le avevo provate tutte per smettere ma senza riuscirci, può funzionare anche per altri”. Ho creduto fortemente nel prodotto e nel suo potenziale, mi sono licenziato e ho aperto la mia prima attività.

Una scelta sicuramente controcorrente, soprattutto in Italia.
E per svapare che sistema usi?

Non sono uno “smanettone”, uso semplicemente un kayfun con una box battery Evic.

Quali sono i tuoi attrezzi del mestiere preferiti? Sei un collezionista o li vedi solo come "strumenti per svapare"?


Com’è il detto? Chi ha il pane non ha i denti e viceversa’? La mia box ha ormai un anno, porta tutti i segni del tempo e delle varie cadute, ma finché funziona non la cambio. Io sarei un pessimo cliente, non seguo la moda, quando un prodotto mi soddisfa non cerco altro.


Potessi solo svapare un liquido, quale sceglieresti?

Da ormai 5 anni ne svapo solo uno: il calliope della DEA con 04 di nicotina. Ne ho provati tanti, ma dopo un po’ gli altri tendono a stancarmi.

E adesso passiamo a Teknosvapo. Ce ne puoi parlare? Quando hai deciso di iniziare questa attività? E' nata a conduzione familiare? Come mai sia negozio fisico, sia online?

Il negozio fisico perché il prodotto ha bisogno di essere spiegato e illustrato, l’on-line nato da una considerazione: in Italia ci sono dodici milioni di potenziali clienti, tutti i fumatori, come posso raggiungerli? Con il web ho pensato.
Diciamo che è a conduzione familiare, ci sono io e poi c’è mia moglie che suggerisce; in azienda ci lavoro io e attualmente ci sono cinque collaboratori, ma a breve avrò bisogno di aumentare il numero, il lavoro sta crescendo notevolmente.

La nuova legge, secondo te che effetti provocherà nel mondo dello svapo?

Purtroppo questo è un settore molto giovane, la sigaretta elettronica si sta sdoganando pian piano, c’è ancora molta disinformazione, un po’ creata ad arte, un po’ perché fino a poco tempo fa non c’erano abbastanza informazioni e studi che potessero dare certezze, anche se oggi possiamo vantarci di proporre un prodotto che scienziati e famosi oncologi, di livello mondiale, ci dicono essere molto meno dannoso - 95% in meno - rispetto alle sigarette convenzionali.
Il settore ha subito notevoli “attenzioni” da parte delle lobby del tabacco, farmaceutiche e governative. Lobby del tabacco perché se una persona passa alla sigaretta elettronica loro perdono clienti, farmaceutiche perché se smetti di fumare molto probabilmente puoi non ammalarti. Avete mai pensato quanto è il business per la cura dei tumori? Governative perché allo stato viene a mancare l’introito delle accise dei tabacchi, e poi se la tua aspettativa di vita si allunga, deve anche corrisponderti la pensione.
Questo prodotto, che fino a pochissimi anni fa non esisteva, si è inserito tra la sigaretta e la produzione di ammalati, per questo motivo e solo per questo, attira molte “attenzioni”, il resto sono solo chiacchiere.
Le hanno provate tutte per non far decollare la sigaretta elettronica: leggi fiscali senza un criterio e senza buon senso, che poi, puntualmente, la corte costituzionale ha annullato. Basti pensare che fino a tre anni fa in Italia erano presenti sul territorio almeno seimila negozi, negozi aperti da giovani che si sono creati un posto di lavoro, giovani che hanno investito quei pochi risparmi che avevano da parte, oppure, ancor peggio, che hanno investito i risparmi dei genitori. E lo Stato con un atteggiamento “ignorante” di questi ne ha fatti chiudere almeno tremilacinquecento. Posti di lavoro persi, e pensando anche all’indotto, i numeri sono anche più alti. Quelli che sono si sono salvati ci sono riusciti solo perché la situazione legislativa, oggi, è alquanto farraginosa e sono costretti a vivere border-line.

La nuova legge, quindi sì o no?

Ben venga, la chiediamo da sempre, purché sia chiara e fattibile, cosa che al momento non pare vada in questa direzione. Da sempre confidiamo nel buon senso di chi ci governa, di chi stabilisce le regole, io personalmente auspico solo che le regole siano fatte per far crescere piuttosto che affondare.

Progetti?

Tanti. Il prossimo tra un paio di mesi, aprire un nuovo negozio sempre a Ferrara, dove oltre a far conoscere la sigaretta elettronica e tutto quello che questo prodotto può offrire, la mia intenzione è quella di creare un luogo di aggregazione, un luogo dove oltre svapare ci si confronta, si sta in compagnia, uno spazio per passare il tempo insieme, giocare insieme, fare nuove amicizie. Metterò a disposizione della clientela uno spazio dove potranno trovare un biliardino, un flipper, una console playstation , un po’ di musica e tanto altro. Cose semplici, divertimento sano.

E finiamo con un consiglio, solo uno da dare a chi inizia a svapare.

La salute purtroppo non è in vendita, cerchiamo di rispettarla, se proprio vogliamo mantenere un vizio cerchiamo quello più salutare, la sigaretta elettronica racchiude in se queste caratteristiche, mantenere un vizio senza compromettere la propria salute. Volere, potere, dovere.

L’intervista finisce qui, Alberto, tra le mille leggi ancora da legiferare, le tasse ancora da definire - ma sembrerebbe ancora più alte - e un mercato bastonato e spremuto, una nuova vita, fatta dalle e delle sue idee, la sta vivendo.
Veronesi diceva che svapare può salvare la vita, lo stato di sicuro non ci aiuta a farlo, cerchiamo di riuscirci da soli. Alessandro, sicuramente, ce l’ha fatta.

Ci sono le cose che uno vuole fare. A venti anni, più o meno tutti, abbiamo voluto aprire un chiosco in un’isola semi deserta. Vendere cocco e vivere di natura e di amore. A trenta il sogno diventa l’attico a New York, a quaranta la fattoria in campagna. Solitamente, poi, a cinquanta si è ancora impiegati in banca.
Invece c’è gente, che, nel piccolo, ha sogni e li realizza.
Giulia e Francesca pensavano che avere una piccola attività per vendere prodotti davvero biologici fosse quello che avrebbero dovuto fare. E importava poco che farlo in un periodo in cui le attività chiudono potesse essere un rischio.

Questa è la prima delle "storie" che pubblichiamo. Storie vere, nessuna invenzione. Storie di persone che hanno lasciato un segno con  un modo di vedere e di interpretare le regole e la vita. Persone a cui vogliamo bene, anche senza averle mai conosciute; persone  a cui siamo grati, anche se non glielo abbiamo mai potuto dire.
Su gentilissima concessione di Barbara, autrice dello scritto, e con la approvazione di Rachel, la figlia di Papone, ecco a voi:



Giuseppe Sonnino è molto noto in “Piazza”, al Portico d’Ottavia dove è conosciuto con l’affettuoso nomignolo di Papone. Parla bene l’ebraico, scandendo le sillabe con il caratteristico accento degli ebrei romani. Scherza sempre con tutti, e alcune volte i suoi scherzi sono grevi, ma questa è una sua caratteristica.
Nei suoi ricordi parla sempre di quando faceva “er sordato” in Israele, cominciando nella “mahteret”, la resistenza, appena prima della proclamazione dello Stato, e poi nell’Haganà, l’esercito regolare.
Forse non sa che il caso ha voluto che partecipasse alle più importanti battaglie delle neonate forze armate d’Israele. E non sa neppure di essersi comportato da eroe.
L’avventura di “Papone” inizia nel 1945 quando, appena sedicenne, decise di recarsi in Palestina, dove frequentò – dopo un breve soggiorno al campo di transito di Beit Lid – la scuola agricola di Ben Shemen.
Da lì entrò a far parte del Kibbutz di Givat Brenner dove, nel 1947 iniziò l’addestramento militare.