Visualizza articoli per tag: la schiuma dei giorni, contest, vian

Glauco faceva l’impiegato di magazzino. Ci può essere un lavoro più tedioso e riluttante dell’impiegato di magazzino?
Sveglia alle sei e trenta, colazione, bacio alla fidanzata che se la dorme soave. Puntata al bagno, acqua in faccia, vestiti indosso, colazione, salto sul terrazzo a respirare l’aria mattutina. Anche d’inverno, quando la brezza tagliente di dicembre o gennaio penetrava nelle ossa. Aveva bisogno di guardare il panorama, Glauco.
La loro casa si affacciava su un grande campo di grano. La strada che lo costeggiava era stretta, poco trafficata, una porzione d’asfalto che cercava di emergere nella vastità di quel giallo misto a verde sul quale, in estate, regnava un tramonto mozzafiato all’ora di cena.
Lavorava da otto anni alla Grar, piattaforma di stoccaggio per le merci in procinto di essere trasportate su gomma verso tutti i porti d’Italia, e da lì verso i mercati americani e asiatici. Distava circa una quindicina di chilometri da casa e la strada per arrivarci non era delle migliori. Dissestata in parte, con grandi voragini di asfalto sgretolato che in autunno, con le prime piogge, divenivano piscine.
Condivideva l’ufficio con altri tre colleghi, in quello confinante c’erano invece Diana, Sara e Lorenza. Tre arpie.
-Cioè tu hai dato conferma per lo stoccaggio dei tubi da 5 quando avevo chiesto espressamente di aspettare lo spostamento di quelli da 2?-
Incalzavano, sconquassavano, sentenziavano.
-Veramente ieri Sara mi ha detto il contrario.-
-Una volta su questi documenti oltre alla firma mettevamo anche una data… sono quindici anni che facciamo così!-
Glauco stavolta apponeva la data, perché mettersi a discutere era inutile.
Le giornate trascorrevano così. Tanto lavoro, trambusto ancor di più.
Le voci dei trasportatori che in pettorina fosforescente scendevano dai camion e facevano il loro ingresso nel magazzino schiamazzando e dando direttive per il carico, rimbombavano all’interno del grande capannone.
Poi verso le dieci arrivava l’agognata pausa caffè. Sovente Glauco non si prendeva quei quindici minuti perché aveva necessità di caffeina, ma per togliere testa e fisico da quella sorta di pressa dentro cui, anno dopo anno, era finito.

Quella pausa corrispondeva all’alzarsi della sua fidanzata.

-Il solito inferno… ti sei appena alzata?- interrogava Glauco in una interlocutoria telefonata che sembrava fatta più per contratto che per voglia.

Il titolare non c’era quasi mai. Arrivava, buttava lì anche lui un paio di leggi non scritte - tanto per gradire -, e girava i tacchi. Ma, per alimentare lo stress, le te arpie andavano benissimo.
Sembrava non andasse mai bene nulla all’interno di quel magazzino, qualsiasi cosa si facesse. Il pizzetto iniziava a macchiarsi di qualche pelo bianco, il sonno era disturbato, al sorgere del sole lo pervadeva un’ansia sempre più marcata, gli occhi erano veramente lo specchio dell’anima.
Glauco era l’eletto anche per le mansioni esterne. Ritirare documenti, consegnare liste.
Di frequente anche per cose che non c’entravano nulla col suo lavoro.
Un giorno aveva dovuto accompagnare il titolare dal medico. Forse aveva disimparato a guidare?
Glauco prese possesso della macchina aziendale e gli fece da autista. Attese due ore prima che lui entrasse. E nessuno dei colleghi mandava avanti ciò che lui aveva dovuto improvvisamente abbandonare.
Una mattina, durante l’ennesima pausa caffè, lo raggiunse Simona. Lavorava al piano di sopra, nell’ufficio del personale.
-Io inizio a essere stanco. C’è un sistema di lavoro che fa acqua da tutte le parti. Ormai ho perso il sonno-.
Alcuni documenti dovevano essere controllati da un ufficio esterno. Gli impiegati ne avevano poca voglia, tempo o predisposizione. Così Glauco aspettava invano il ritorno di quelle carte. Poi arrivavano tutte insieme: una pila di carta da stampare. E il mese successivo si ricominciava da capo. Documenti, controllo, errori, restituzione. E attesa del rientro delle copie corrette. Sempre così.
-Te l’ho sempre detto che qui non è tutto ora ciò che luccica. Anche all’inizio, quando eri entusiasta di essere arrivato qui-
In effetti all’inizio, otto anni prima, Glauco aveva legato con tutti. I colleghi non gli sembravano così malvagi, nel lavoro si era buttato con entusiasmo, era sbocciata una incoraggiante empatia. Aveva molto da imparare.
-Li vedo i tuoi occhi spenti. Lo vedo che sei cambiato- affermava sicura Simona.
Era cambiato sì. Sarà stata l’età, saranno stati gli stimoli, sarà stata la routine.
Glauco pensava che quello fosse il lavoro della sua vita, ma probabilmente si sbagliava. Si era legato alla Grar come ci si può legare a una famiglia, ma evidentemente aveva preso un abbaglio. Aveva un’altra età, un’altra visione delle cose.
Era più ingenuo, più distaccato. Oggi sembrava chiuso in un vicolo cieco.
-Mi sembra di essere all’interno di quattro mura, come quelle di una cella. La via di fuga è in alto, vedo una luce. Ma non riesco ad arrivarci-.
La quotidianità di Glauco aveva assunto le sembianze di una lavatrice incagliata. Usciva schiuma da sotto che sbuffava, sbroccava, sbrodolava. Continuamente. La schiuma dei giorni che trascorrevano su una linea retta, su di una rotta tracciata e senza soluzione di continuità.

Una mattina, che doveva essere uguale a tutte quelle degli ultimi otto anni, arrivò una telefonata.
-Scusate-. Glauco si assentò in tutta fretta, speranzoso che quelle copie del suo curriculum che aveva provveduto ad aggiornare, limare e rifinire, finite sulle scrivanie di molte altre aziende, portassero a un risultato.
Aveva deciso di concretizzare ciò che gli frullava nella testa da anni. Fiorenza lo aveva lasciato fare. Era determinato a cambiare lavoro, nonostante un contratto a tempo indeterminato, a patto di trovare pari condizioni, per porre finalmente fine a quell’agonia.
-Glauco?-
-Sì sono io-
-Sono Monica, della Airmax- Non gli era nuovo questo nome. Due settimane prima aveva letto un’offerta sul web: “Cercasi impiegato per il monitoraggio della merce in entrata e in uscita…” e altre amenità. Lo aveva letto sommariamente, e quello scopo assunzione lo aveva indotto a fare un tentativo. Sembrava il solito buco nell’acqua. Non fu così.
Alle 18.30 di un giorno di aprile, Glauco si presentò negli uffici della Airmax.
-Crediamo che lei abbia i requisiti adatti. Ha lavorato in modo capillare e totale in un ruolo analogo, ma, mi dica, come mai questa necessità di fuggire da un contratto così vantaggioso?-
Glauco riversò su di loro gli ultimi mesi colmi di vuoto, la mancanza di appagamento, il desiderio di cimentarsi in un ambiente diverso, con facce diverse, persino con colori diversi. A un certo punto si chiese se era giusto aver preso un colloquio di lavoro come uno sfogo adolescenziale con un amico.
-E adesso che penseranno? Che sono uno che cambia lavoro ogni otto anni? Che mi annoio di ciò che faccio dopo poco che lo faccio? Che…?-
Non ce ne fu il tempo. Il pomeriggio seguente, un’altra telefonata, dallo stesso numero.
Fabrizio, uno dei colleghi con cui divideva l’ufficio alla Grar, alzò gli occhi di scatto, sottraendoli alle carte che stava controllando. Forse aveva intuito qualcosa. Forse gli era arrivata qualche voce.
-Abbiamo deciso di prenderla. Abbiamo notato la sua determinazione, la sua personalità. Ci faccia sapere per il preavviso. Contiamo di farla iniziare tra il 28 e il 30 del mese-.
Glauco era fuori, nel grande cortile del magazzino, quando riagganciò il telefono. Era una giornata assolata, primaverile, calda. Mezzogiorno era vicino. Tutto intorno a lui appariva come una metafora. Il sole che torna a splendere, la luce, il tepore. Era come se una grande ruspa avesse rimosso il terreno spianando la strada davanti a lui. Tutti gli sforzi erano stati ripagati. La lavatrice era riparata. La schiuma si era come dissolta.

Glauco rincasò. L’animo scosso, il cuore in subbuglio; poteva mai provocare tanta gioia lasciare un lavoro per un altro? Infilò la chiave nella buchetta, aprì lo sportellino, estrasse il groviglio di buste. Pubblicità, pubblicità, pubblicità. Bollette. Bollette. Bollette. Prese l’ascensore, chissà perché aveva sempre la paura di restarvi bloccato dentro. Aprì la porta di casa. Fiorenza era lì, seduta sul divano, gambe nude, canotta rossa, testa china sulla mano sinistra in preda ai folli e irregolari movimenti di una lima per le unghie. Alzò di scatto lo sguardo.
-Ciao-
Glauco era ancora lì. Si arrestò sulla soglia tenendo in una mano il groviglio di buste, nell’altra la maniglia della porta, Fiorenza abbassò la testa ma la rialzò di scatto.
-Che hai?- Un meraviglioso sorriso era disegnato sul volto del suo fidanzato.
-Non so ancora se sarà il 28 o il 30… ma… vado alla Airmax-.
Era uscito da quelle quattro mura, che aveva raggiunto quella luce apparentemente inafferrabile là in alto. Fiorenza lo guardò stralunata.
Lì sulla soglia, ora si cingevano in un abbraccio.

La carne abbrustoliva lentamente. Lo sfrigolio della cipolla in padella si mescolava al possente rumore dell’aspiratore. La cena era quasi pronta. Fiorenza muoveva tra stoviglie, forchette, canovacci.
-Tra l’altro Ferrari lo conosco… era con me alle medie, non che avessimo un gran rapporto, ma la sua presenza mi ha messo a mio agio-. Ferrari era uno dei consiglieri del gruppo dirigente.
Avevano scherzato ricordando quei tempi, ma non era con lui che doveva misurarsi. Bensì con un altro Glauco, responsabile del personale della Airmax. Non vi furono toni intimidatori, la chiacchierata corse via. Lo capisci quando le cose stanno per andare per il verso giusto.
-Quando lo dici a loro?- interrogò Fiorenza.
-Domani. Appena arrivo chiamerò da parte Simona-.
Fiorenza andò a letto presto quella sera. Glauco uscì sul balcone, si accese una sigaretta, guardò lontano.
L’indomani Glauco si alzò presto. Non dormiva già più ben prima della sveglia. Lo assalivano i tormenti, come prima di un matrimonio. Sarà la cosa giusta da fare? Si sciacqua la faccia, armeggia con la caffettiera. Incrocia Fiorenza - nel frattempo si è alzata anche lei - stiracchiato sorriso da rimbambiti delle sette di mattina.

-Hai dieci minuti?- freddezza, distacco, finta serenità.
-Ho ricevuto un’offerta. Che ho intenzione di accettare. Ma per correttezza volevo prima informare voi e chiedere di essere ritenuto libero-
Simona aveva lo sguardo perso. Rimase colpita. Glauco non sopportava quel silenzio.
Avrebbe preferito una risposta pronta del tipo ah va bene, ok, be’, è un passo importante nella tua carriera, ci dispiace ma lo accettiamo. Alzò le sopracciglia Simona. Si fece cupa. Ma dovette accettare.
Quella puntina di pentimento, insicurezza, timore di aver fatto una cazzata, spingeva nel petto di Glauco. Era lì, pulsante, fastidiosa. Avrebbe, invece, voluto solo gioire. Ma erano giorni di passaggio. Erano normale quelle reazioni e ci sarebbe voluto tempo per quietare il vento forte del cambiamento.
Lavorò con il cuore più leggero. Non guardava più tutto con gli occhi di prima: se ne stava per andare. Tutti fecero come si fa ogni giorno. Controlli, bollette, carichi, scarichi, fatturazione.
Il giorno seguente qualcosa si mosse. Glauco venne convocato in ufficio. C’era Simona, c’era Sergio, il direttore dell’ufficio centrale di cui faceva parte. Un uomo con bretelle rosse su camicia bianca (ancora qualcuno che indossa le bretelle?!), stempiato, con un pancione da donna incinta.
-Allora, abbiamo saputo la notizia. Ora devo riorganizzare l’ufficio- disse con aria rammaricata.
-Eh già-
(Quindi? Che ci devo fare io? Non ho diritto a cambiare lavoro?) E altre amenità sull’occasione della vita, su un cambio di ambiente, sul se questa è la tua scelta fai pure, ci dispiace, ma fai pure.
Un calcio in culo insomma, vai pure se non vuoi stare tra noi.

Ottobre. L’estate è un lontano ricordo. Glauco guarda sconsolato fuori dalla finestra adiacente la sua scrivania. In agosto è dovuto rientrare dalle ferie in anticipo, c’era un sacco di lavoro da fare alla Airmax. Gli hanno dato anche un cellulare aziendale che squilla di continuo: quando Fiorenza gli è avvinghiata addosso sul divano a guardare la tv, quando sono alle Terme immersi negli accappatoi, persino quando scopano. I colleghi sono insopportabili. Essere lì o nell’aula di una scuola media piena di teppistelli è la stessa cosa. E anche qui, nessuno gli sistema gli arretrati. Glauco consulta lo smartphone quasi sempre in pausa pranzo: “Cercasi impiegato…”.

Pubblicato in concorso