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Voi, chi vorreste essere per i prossimi tre mesi?

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Luke Rhinehart nel 1971 scrisse L’uomo dado.

Il protagonista, Luke, era uno psicanalista di successo, con moglie e figli. Il tipico esempio di borghesia americana. Quando, un giorno, decise di prendere un dado. Di pensare a un desiderio per ogni numero. Di tirarlo. Di seguire quel desiderio a qualsiasi costo.
La storia, ovviamente, continua con protagonista quel dado e quella vita che sempre più restano connessi, mentre a esserlo sempre meno, è tutto il resto del mondo che si era costruito Luke.

Molto si è detto su questo romanzo: che il dado è la vera coscienza. Che il dado è quello che vogliamo. Che il dado è D-o.

Molto più semplicemente si può dire che il dado può portare alla luce le nostre componenti nascoste. Tutto quello che siamo, ma non vogliamo essere, per ragioni sociali, per “leggi”, per cultura o semplicemente per “educazione, il dado fa emergere, dandogli vita.

Analogicamente pensiamo al sistema Stanislavskij. Recitare una parte andando a cercare quel personaggio dentro di noi. Interpretare un marito confuso, una moglie distratta, un assassino, un prete, un bravo ragazzo, andando a cercare quella figura dentro di noi.

Adesso, proviamo a riportare quanto descritto nella scrittura. Proviamo ad abbandonare il sistema “creativo” e a indossare quello “schizofrenico”. Proviamo a vedere la scrittura come la possibilità, attraverso la finzione, di essere quello che davvero siamo. Scindiamo, volontariamente, la nostra personalità e decidiamo quale componente deve emergere.

Non sarebbe bello?

E in questo caso, voi, chi vorreste essere per i prossimi tre mesi di vita?

Nelle prossime settimane le regole de Il gioco.

Che diventetà contest letterario, e poi casa e poi romanzo.