3 Luglio 2018, ore 11.30, Ospedale Saint Jean, Bruxelles, modalità gemello buono.

La sala d’attesa è strapiena, il mio appuntamento è adesso ma la dottoressa è in ritardo, dunque dovrò aspettare. Anche la Vichinga numero due è in ritardo, il termine per il parto scadeva il primo luglio ma lei di nascere non ne ha proprio nessuna voglia. Infatti sono qui per il controllo e per il monitoraggio: se non si smuove nulla nei prossimi quattro giorni dovranno indurmi le contrazioni.

A me in effetti non dispiace affatto tenerla dentro ancora un pochino. Mi piace essere incinta, non mi dà nessun fastidio e per tutta la gravidanza ho continuato a condurre la mia vita quasi come se niente fosse.

Davvero non capisco tutte quelle donne che dal settimo mese in poi cominciano a lamentarsi, dall’alto dei venti e passa chili che hanno messo su, con piagnistei del tipo: “Non ce la faccio più, non vedo l’ora che esca, non riesco nemmeno a camminare”.

Io sono molto più preoccupata per quanto riguarda il dopo! Quando la nanetta avrà messo piede fuori dalla mia pancia, allora sì che il gioco si farà impegnativo; ecco perché evito di pensarci troppo e mi godo gli ultimi giorni di quiete. In fondo, finché sta dentro, non piange e non ha bisogno di nulla.

Sto aspettando già da più di un’ora, per fortuna mi sono portata un libro da leggere. Le riviste in francese che vedo sul tavolino non sono certo il mio genere; non seguivo il gossip quando vivevo in Italia, figuriamoci qui in Belgio dove non conosco nemmeno minimamente i protagonisti delle pagine patinate.

La vichinga numero due continua a muoversi e a puntare i piedi contro la mia vescica, ma non ci casco più: sono tutte finte, ormai l’ho capito. Andrò in bagno per la terza volta da quando sono arrivata, sperando sia l’ultima. Ecco, una cosa che non mi mancherà della gravidanza è la navetta ininterrotta verso la toilette, di giorno ma soprattutto di notte.

“Madame Aramini?” la dottoressa si affaccia alla porta con la sua solita aria brusca e sbrigativa. Magra, scattante e con i capelli corti, è una che non bada ai convenevoli, ma un sorriso e una breve frase di scuse per il mostruoso ritardo con cui mi sta ricevendo avrebbe anche potuto produrli.

“C’est moi”, mi affretto a rispondere mentre scatto in piedi sorridendo al posto suo. Chissà perché mi sento sempre in dovere di compensare le mancanze degli altri? Quando la finirò di agevolare sempre il compito a tutti anche quando sono in torto marcio?

Comunque, finalmente mi visita e in dieci minuti al massimo mi liquida: “Voilà, tutto tace signora, nessun segno di contrazioni e tanto meno di dilatazione. Ci rivediamo tra tre giorni alla stessa ora, cerchi di muoversi parecchio e faccia le scale il più possibile”.

Insomma ho perso praticamente tutta la giornata per sentirmi dire sempre la solita cosa. Ora ho giusto il tempo di arrancare verso casa, mangiarmi un panino al volo e poi incamminarmi verso il nido per recuperare la Vichinga numero uno.

16/12/2033 – ore 20:00

Scrigno non mi serve più al bancone appoggiando distratto il solito calice di bianco fermo mentre prende un'altra ordinazione. Adesso mi riserva un tavolo, il mio preferito, quello nell'angolo vicino al palco. Sa che mi piace la musica, e che soprattutto mi piacciono i musicisti giovani, avidi di esperienze e di racconti. Fare sesso con una milf è una delle cose da collezionare nei loro tour e da raccontare ad amici e fan. Fare sesso con un musicista invece è un modo per tenermi in allenamento ed essere sempre al passo con gusti e perversioni.

Questa sera ho voglia di festeggiare: diciassette anni fa mi trovavo a Firenze, davanti a Santa Maria del Fiore, avvolta dalla nebbia. Ero là per un incontro, un uomo che non avevo mai visto prima ma che mi avrebbe fatto una promessa, la più importante.

Entro e vado diretta verso la targhetta con su scritto Riservato Solani. Noto il palco vuoto, nessun tecnico del suono al mixer. Mi tolgo il cappotto e lo appoggio sulla sedia accanto alla mia, slaccio il foulard quel tanto che basta per lasciare scoperto l'inizio del seno, tiro fuori le sigarette, bisogna sempre prepararsi un alibi per le conversazioni troppo pesanti.

«Il solito whiskey?»

«Sì, grazie. Scusa Scrigno, questa sera non suona nessuno?»

«Margherita è mercoledì, è la sera della settimana in cui di solito rimorchi semplici clienti».

Ogni sera della settimana ha le sue abitudini, da molto tempo, e il mercoledì è la prima in cui mi affaccio sul mondo esterno dopo il fine settimana. È la sera in cui mi piace tentare la sorte e provare per pochi istanti quella piacevole ansia data dall'incertezza. Voltare le spalle all'intero locale aspettando di vedere la sedia muoversi e una voce maschile chiedermi se può accomodarsi.

Sfilo una sigaretta dal pacchetto e mi dirigo verso l'uscita. Scrigno mi fa segno di andare nel retro, gli dico di no, ho bisogno di una boccata d'aria fresca. Quando rientro il whiskey non è ancora arrivato. Mi siedo con le spalle sempre rivolte alle persone.

Una mano compare alla mia sinistra e avvicina un bicchiere alle mie labbra. Non dice una parola, non dico una parola. Lo sfioro e lui lo inclina fino a farmi scivolare un po' di quel liquido bianco in bocca. Lo mando giù.

Dalla mia reazione deve aver capito che non mi è dispiaciuto, così ripete il gesto.

Mi scioglie i capelli e lascia che cadano sulle mie spalle, poi sposta il cappotto e si siede.

«È vodka, liscia».

«È buona».

«Ne vuoi ancora?»

«Vorrei il mio whiskey se a te e a Scrigno non dispiace».

Fa un gesto verso il bar e in un attimo quello che ho ordinato si materializza davanti a me.

Avrà poco più di vent'anni, potrebbe essere mio figlio se dimostrassi davvero l'età che ho. Potrebbe esserlo ugualmente ma la cosa non mi interessa e pare non interessare nemmeno a lui.

Non chiede niente di me e non racconta nulla di sé ma conversa e lo fa divinamente. La noia che abita con tanta facilità le mie giornate scompare all'improvviso e mi trovo a ridere di gusto, per la prima volta dopo Andrea.

Alla nostra prima consumazione se ne aggiunge una seconda e poi una terza, alla quarta dico no, voglio restare lucida, voglio ricordarmi di lui. Si dirige verso la cassa e salda il conto, Scrigno da lontano mi fa l'occhiolino, segno che non gli devo nulla.

Il ragazzo torna da me, prende il cappotto dalla sedia e mi aiuta a indossarlo.

«Abiti qui vicino?»

«Sì».

«È perfetto».

 

Sono una vera dura, amore non ne chiedo mai.

Raccolgo quel che arriva per caso, come succede con le monetine che cadono dalle tasche e rimangono incastrate tra i cuscini del divano. Quando gli ospiti si alzano, si dileguano e la sala è vuota, senza qualcuno attorno che mi osservi, di nascosto, vado a cercarle. E a raccoglierle.

Voglio dire, è pur sempre una forma di accattonaggio, ma non si tratta di elemosina manifesta. Lo trovo ben diverso: alla fin fine quel che arriva è comunque un premio. E questo premio, se non te lo aspetti, se non è lì per te, è ben più goduto.

Allo stesso modo era arrivato Marco. Era entrato nella mia boriosa esistenza senza chiedere il permesso, senza che lo cercassi. Per casualità, ma con prepotenza, ché quelle come me venerano il dio del caso, ma ne adorano anche l'arroganza: non pretendere nulla, badate bene, non è una forma di pigrizia quanto una smodata passione per la sopraffazione.

A Marco lo avevo conosciuto la scorsa estate ad una festa, la festa di compleanno di Ester. Lui era lì per lei: non perché fosse il suo compleanno, intendiamoci. Non come me, che presenziavo per una certa forma di doverosa cortesia, nonostante odiassi stare in mezzo a troppa gente. Marco era lì per lei, perché le faceva il filo; ne era innamorato, è sempre stato invaghito di Ester, lo è tuttora. Quando arrivai, lo vidi seduto in giardino, su quella poltrona in vimini sotto il salice piangente. Era belloccio, tutto sommato: un bel viso abbronzato, i lineamenti abbastanza marcati, mascolini, anche se armonici nel complesso. Vestito bene: semplice, minimale. Ma non è per la bellezza che lo notai, quella è merce sopravvalutata, bensì per il suo sguardo perso e assieme fisso, puntato sul culo di Ester, sul suo bel fondoschiena fasciato in un tubino rosso, sfoggiato con ostentazione per l'occorrenza.

La convinzione che Ester fosse la fedele fidanzata di Davide mi rincuorò, non per una improvvisa e immotivata gelosia che non potevo provare verso uno sconosciuto qualsiasi, ma dovrei piuttosto dire che mi rassicurò, mi guidò come un faro acceso in piena notte, che illumina la strada salvaguardandoti dal rischio, dal pericolo. E lì mi resi conto: Marco poteva essere l'uomo per me, e io potevo essere la sua seconda scelta. Glielo avrei fatto capire? Certo che no. Mi sarei nascosta, all'ombra di una qualsiasi altra presenza più distinguibile, affinché mi venisse a cercare. E sarebbe venuto, ma solo se lo avesse voluto davvero. E, ne ero certa, lo voleva.

“Piacere, io sono Valentina” gli avevo risposto, infatti, solo dopo che - al banco del bar - mi si era avvicinato un po' troppo, pestandomi il piede accidentalmente e uscendosene con uno “Scusa, perdonami, non l'ho fatto apposta” e aggiungendo poi “Ah, sono Marco” mentre mi porgeva la mano. Per pura educazione, di certo, non perché mi trovasse attraente. Del resto, “piacere” lui non lo aveva detto, o almeno non lo avevo sentito. Mentre io, dolorante, nonostante fossi stata calpestata ci avevo tenuto a sottolineare che ero contenta di fare le sue conoscenze. E questo la dice lunga su come tutto ebbe inizio, tra me e lui, e su come tutto proceda, tra me e la vita.

Lui è stato il mio incidente, in un certo senso. Io sono stata la sua seconda scelta. E questo mi lusinga, non perché impazzisca all'idea di essere seconda a qualcuno, sia ben chiaro, sarebbe assai triste, bensì perché è un pensiero davvero consolatorio: essere comunque la sua scelta, al di là delle classifiche, che quelle non contano.

Sono innamorata di lui? Non lo so. Anche la passione, come la bellezza, è roba sopravvalutata.

Lui è innamorato di me? Non so neppure questo. E, soprattutto, a chi importa? Dovrei dire che sono felice di stare lì al mio posto, accanto a lui, a travasare da me quel che c'è in lui da colmare, ché l'amore come sentimento invece esiste, e si trova nel prestarsi a qualcuno, senza negarsi ai suoi bisogni. Siamo vasi comunicanti, in questo, fatti forse l'uno per l'altro.

La scorsa settimana sono tornata a casa e Marco non c'era ancora. Aveva lasciato il cellulare a casa, sulla mensola della cucina: se me ne sono accorta è stato per il drin che avvisava dell’arrivo di un messaggio e per la luce dello schermo che balenò nella semi oscurità della stanza. Non avrei mai voluto leggere quel che c'era scritto, sarei pronta a giurarlo, ma l'anteprima della notifica mi avvisava che era da parte di Ester. Una mia amica, anche, quindi ero autorizzata ad aprirlo.

“Rifacciamolo”, diceva. E un drin dopo “ne ho sempre voglia”, aggiungeva. Che cosa?

L’ “amore mio” finale chiariva ogni possibile dubbio.

Mi sono infuriata? Non lo so. Ma, naturalmente, mi sono vista costretta a cancellare il messaggio, o Marco se ne sarebbe accorto e non avrei potuto far finta di nulla, la miglior scelta possibile.

Rincasato, sembrava felice, e nel vederlo così il mio cielo nero si era fatto terso. Ogni nuvola spazzata via. Sì, trovo serenità nel compiacerlo, esisto nell'assecondarlo. Godo del non essere io a godere, lasciandogli spazio per fare quello che vuole, non mostrando quel che dovrebbere essere frustrazione, ma che chiamerei apatia.

V15

Scritto da

Salone internazionale del libro - 10/14 maggio 2018.

Padiglione 4, stand V15, Jona Editore.

 

 

 

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JE: Hai già iniziato a pensare al prossimo romanzo?

EP: Ho iniziato a pensarlo, sì. Niente ancora di definito, qualche idea su carta. Mi interessa sempre più vedere e narrare il mondo dei Social. Capire il mondo che sembra quasi risiedere lì, tra byte e ore passate con altre persone senza, spesso, averle mai viste in faccia.

 

JE: Non più YouTube, però?

EP: Un altro, credo si possa dire il nome: Instagram. E non con gli occhi di un uomo ma con quelli di una donna. Vedere quello che una persona può arrivare a fare, e perché, per avere successo. Capire il prezzo di centomila o un milione di follower.

 

JE: Instagram è in crescita, no?

EP: È il presente che sarà futuro. Probabilmente perché è più veloce, il più veloce che c'è in questo momento. E in questo momento la gente vuole connessione più che dialogo. Una foto, boom, mille like, mille persone che sanno che esisti.

 

JE: Ma nessuna parola, comunicazione non verbale, quasi.

EP: In realtà qualche parola la si può inserire, ma sicuramente il mezzo per comunicare è l’immagine.

 

JE: E tornando ai tuoi ultimi due anni: il romanzo ti ha tolto tempo. Lavori sempre in ambito sigarette elettroniche?

EP Sì. Da due anni tutta la mia vita, almeno quella in superficie, ha gravitato intorno alle sigarette elettroniche. Il romanzo ha avuto anche questa responsabilità. Mi ha indicato la porta di uscita, mi ha fatto capire che gravitare per un po’ va bene, oltre diventa colla.

 

JE: E nel romanzo tutto questo mondo che gira intorno alle sigarette elettroniche è rappresentato o c’è solo il protagonista?

EP: No, non solo il protagonista, molto gira in quell’ambito. E a pensarci da lettore più che da scrittore, il mondo che ne viene fuori, eccezion fatta per due persone, non è del tutto positivo.

 

JE: Quindi, premettendo che noi abbiamo pubblicato un libro de il Santone dello Svapo su come uscire dalle sigarette, considerando che lo svapo è sicuramente un fenomeno positivo, come studio sociologico è interessante, no?
EP: Interessante vedere le dinamiche all’interno di un gruppo parecchio chiuso e molto egoriferito. Ma non tanto per studiare chi svapa, ma proprio per vedere e conoscere meglio il branco.

 

JE: E secondo te gli svapatori sono riconoscibili? Se tu vedi una persona sai se svapa, come e perché?
EP: Se vedo una persona senza sigaretta elettronica no, ma se ne ha una, sicuramente dal modello, da come la usa, da come si atteggia: molto si può dire su di lui.


JE: E se tu ti vedessi svapare da fuori in che categoria ti metteresti e cosa penseresti della tua categoria?

EP: In quella dello svapatore distratto. Che è capitato in un mondo e che cerca di conoscerlo, spesso arrancando. Come uno che si ritrova in mezzo al mare e vuole tornare in terra ferma, ma facendo fatica, non sapendo bene che stile di nuoto è efficace in quelle acque, cercando di vedere le onde e, soprattutto, sperando di non affogare.


JE: Un po’ come il protagonista de La farsa, no?
EP: Esattamente.

JE: E perché un lettore dovrebbe comprarla, La farsa?

EP: Per vedere se è scritta da uno YouTuber o da una persona. Per vedere se è in pieno cliché ho un po’ di follower che saranno lettori, quindi un prodotto o se davvero è un romanzo.
JE: Due scrittori che ami?
EP: Edward Bunker,  ho amato Come una bestia feroce; Chuck Palahniuk, li ho amati tutti, paradossalmente fatta eccezione di Fight club, e aggiungo un italiano, Paolo Sorrentino. Bellissimo il suo Hanno tutti ragione.

JE: E come scrittore hai autori che ti hanno influenzato?
EP: Non credo, almeno non in coscienza.

JE: Guardando i tuoi video sembri, in effetti, più figlio della cultura rap.
EP: Assolutamente sì, è un mondo che mi coinvolge da sempre.

JE: Ultimissima domanda, quando la presentazione de La farsa?
EP: Torino, Salone del libro, domenica 13 maggio, ore 16.

 

Link a La farsa


Disegno di Alberto Baroni

Seconda delle tre parti dell'intervista a Enrico Pistoni. Venerdì 13 aprile l'ultima. (Parte prima)

 

JE: E tutto questo ha anche portato a prendere il personaggio Ignoranz Svapo e a farlo uscire dal video ed entrare in un romanzo o le due cose sono slegate?
EP: Sì, il mio canale si chiama, appunto, Ignoranz Svapo, La farsa è stata la mia occasione per prenderlo e portarlo in giro, fuori dai video.

JE: E cosa fa questo personaggio?
EP: Combatte tra il rifugio che si è creato con il suo personaggio e la difficoltà di andare fuori.
E poi c’è la vita che conduce, ci sono le persone che incontra. Una delle quali, uno per cui aveva fatto delle recensioni, nella storia diventerà il suo nemico, uno che lo minaccia, che non vuole che lui smetta di fare video.

JE: “Nemici in rete” è un tema di cui si parla molto. Il cyber bullismo. È davvero un fenomeno così diffuso?
EP: Dipende dall’accezione che vogliamo dare a questi hater. Il paragone con la televisione è questo: se uno guarda un qualcosa che non ama, cambia canale. Invece, su YouTube, prima di farlo ha la possibilità di scrivertelo, e spesso in modo parecchio esplicito.

 

JE: Ma fino a che si limita a scrivertelo è lecito, no? Io posso vedere un tuo video, non apprezzarlo e dirti cosa ne penso. Il problema, forse, ma ripeto, è un mondo che conosco poco e male, sono quelli che insultano, no?
EP: Certo, quelli sono meno numerosi, forse, ma ci sono anche loro. Figurati che diversi mesi fa feci un video che voleva essere ironico, sul Natale. E feci, come spesso faccio, parlare il mio personaggio con la musica. E prendevo in giro il Natale. Non puoi immaginare quanti insulti mi hanno scritto. Ecco, una cosa che ho capito con i social è di non toccare mai il Natale, si arrabbiano di brutto.

 

JE: Due anni di video, di lavoro, di editing, di social, cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto?
EP: Quello che ha tolto è semplice: il tempo. Chi vede video difficilmente sa quanto tempo ci vuole per realizzarli. Bisogna avere una idea. Bisogna scrivere un copione. Bisogna girarlo e poi editarlo. Tempo però che non è stato perso. In due anni ho imparato parecchio. Conosco il mondo della sigaretta elettronica molto meglio di due anni fa, riesco a girare più facilmente un video, riesco, insomma, a comunicare meglio.

 

JE: E in questo personaggio quanto c’è di Entico Pistoni?
EP: C’è molto di quello che sono e poco di quello che faccio. In parte è come fossi io, ma interpretassi non la mia vita ma quella di un’altra persona. Quindi almeno in parte, mie emozioni, sensazioni, modi di vedere la vita, quasi nulla di mio, invece, come trama, come storia.

JE Quindi il guscio è Ignoranz Svapo, l’interno sei tu?
EP: Una parte, sì, non certo tutto, ma una parte senza altro.

 

JE Qual è stato l'approccio alla scrittura? Che legame si crea con la trama?
EP: Non avevo un piano preciso in testa. Era solo un'idea, ossia quella di voler mettere in luce alcuni retroscena che lo spettatore di YouTube non può vedere. Certo, questa idea derivava sicuramente da alcune mie fatiche personali. Sono partito da quello che ho vissuto io in certi periodi, e ho provato a immaginarmi un personaggio che rimane fortemente invischiato dentro quei retroscena. Volevo portare all'eccesso le cose per vedere cosa sarebbe successo. Nel libro uso il mio vero nome(Enrico) e uso Ignoranz svapo, sebbene non sia una autobiografia o una cronaca di fatti realmente accaduti. È una storia, semplicemente.

 

JE: Come hai vissuto il legame che si crea, quando si scrive un libro, con l’editor?
EP: Prima di scrivere questo libro conoscevo per sentito dire la figura dell'editor ma non avevo davvero in mente il suo ruolo. Oggi posso dire che senza l'editor (Renzo Semprini Cesari) questo libro non esisterebbe. Mi ha aiutato in tutto, correggendo e fornendo stimoli. Per me ha svolto una funzione di specchio per quanto avevo scritto, e di bussola per quello che dovevo scrivere. Non gli sarò mai abbastanza riconoscente per il suo lavoro, lo so già.

 

 JE: stai già pensando al prossimo romanzo?

Link alla terza parte dell'intervista
Link al romanzo.

Oggi, in occasione del suo romanzo in uscita, La farsa, intervistiamo Enrico Pistoni.

Enrico Pistoni: Buongiorno!

JE: Buongiorno a te. Partiamo dagli ultimi  anni della tua  vita: chi è Ignoranz Svapo?

Enrico Pistoni: Ignoranz Svapo è il nome del mio canale youtube, canale in cui tratto di sigarette elettroniche: faccio delle presunte recensioni. È un canale che ho aperto da un paio d’anni. Il mio approccio ai video è dettato dall’avere un pretesto. Il mio è, appunto, quello della sigaretta elettronica, che uso per raccontare delle storie.

JE: E con questa tua frase ci siamo automaticamente giocati tutti i tuoi iscritti che non compreranno più il romanzo.

Enrico Pistoni: Assolutamente. Ho appena deluso, credo, un cinquantamila persone.

JE: Cinquantamila sono tanti, no?

Enrico Pistoni: Sì, penso che di iscritti, tra tutti i vari social, sui cinquanta/sessantamila.

JE: E come si fa ad avere cinquantamila iscritti? Insomma, non deve essere facile.

Enrico Pistoni: Come si fa non lo so, posso dire quello che ho fatto io. In questo momento tutti i social sono inflazionati, no? Secondo me uno che voglia entrare in questo mondo deve fare una serie di analisi di mercato.

JE: Quindi non basta improvvisare o, semplicemente, aprire un canale e vedere come andranno le cose?

Enrico Pistoni: Ni. Nel senso che poi la fortuna c’è e tutto quanto, però se vogliamo escludere la fortuna come variabile o comunque imboccarla al meglio possibile, secondo me si deve fare una seria analisi della nicchia in cui si vuole andare a mettere e fare qualcosa che altri non fanno. Se una persona decidesse di fare video sulla sigaretta elettronica dovrebbe guardare cosa e come fanno gli altri e trovare un modo nuovo di farla da una diversa prospettiva. Andare in diretta competizione con chi fa da anni un lavoro che vuoi fare da giorni, non porta a niente di buono.

JE: E, premettendo che uno come te ha davvero trovato un modo nuovo per fare comunicazione attraverso la sigaretta elettronica, c’è ancora spazio per chi vuole iniziare adesso? Non siete già in tanti?

Enrico Pistoni: Non c’è spazio se non hai fantasia, voglia di lavorare, perché fare video porta via tantissimo tempo, e fretta. Se hai fantasia, molta, se riesci a trovare un modo diverso dagli altri, c’è sempre spazio.

JE: Cinquantamila iscritti, due anni di video: cosa ti hanno dato e cosa ti hanno tolto?

Enrico Pistoni: Mi ha tolto molto tempo, molto davvero. Mi hanno dato, be’, diciamo che mi hanno fatto scoprire che anche partendo da una totale ignoranza in materia e in maniera completamente autodidatta si può arrivare a un buon livello. E sembra banale, ma davvero uno si accorge che lo stesso principio lo si può adattare in ogni campo della propria vita. La fine del “non lo so fare” diventa l’inizio del “non ho ancora trovato il modo per farlo”.

JE: Quindi davvero, due anni fa eri completamente all’oscuro sia della sigaretta elettronica, sia di montaggio video?

Enrico Pistoni: Assolutamente sì, ero completamente ignaro dell’una e dell’altra cosa. Il mio primo video postato nel canale è stato il primo video da me girato in cui vedevo per la prima volta un componente di una sigaretta elettronica. O forse il secondo, ma non il terzo di sicuro.

JE: Quel che si dice: “crescere col canale”.

Enrico Pistoni: Assolutamente sì, fare, disfare, imparare, mostrare. Un bel percorso, molto bello, anche se ovviamente mi ha tolto tantissime energie e tempo. Ma davvero, sono felice di avere usato quel tempo per fare quelle cose.

JE: E hai sempre voglia di fare video?

Enrico Pistoni: Ho sempre voglia di fare video, sì; sempre farli in funzione della sigaretta elettronica sì e no. Non è un argomento infinito, ma vedremo bene se ci sono nuove strade per parlarne. Ma sicuramente fare video è una cosa che amo, amo questo linguaggio.

JE: Anche perché tu di linguaggi ne usi parecchi, nel video c’è la musica, col video narri una storia.

Enrico Pistoni: Cerco di usarne, sì. C’è quello che al di là del video non si vede, un mini copione per raccontare la storia è il primo linguaggio, poi c’è la musica, e poi c’è il video. Una delle cose che mi ha dato il mio canale è proprio la possibilità di conoscere meglio questi linguaggi, esplorarli, cercando di unirli e giocando a disunirli.

JE: E tutto questo ha anche portato a prendere il personaggio Ignoranz Svapo e a farlo uscire dal video ed entrare in un romanzo o le due cose sono slegate?

 

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Link alla terza parte.
Link al romanzo.

Il 14 marzo 2018 nascono i nostri podcast.

In Italia questo strumento non è ancora del tutto recepito e utilizzato, mentre negli Stati Uniti e in altri paesi il numero di utilizzatori ha superato quelli di Youtube.

Perché ? Perché è comodo, perché è come ascoltare la radio, ma quando e dove si vuole. In auto andando in ufficio, con le cuffiette mentre si aspetta in una delle tante code, durante la pausa lavorativa, la sera sul divano e lo stereo e gli occhi chiusi. Sta a youtube come la radio alla televisione, sono due mondi paralleli.

Perché no? Fondamentalmente perché non lo conosciamo.

I nostri podcast

Ce ne saranno, inizialmente, cinque a settimana (da giugno saranno dieci), a partire dal lunedì alle 10, fino al venerdì. Si potranno ascoltare direttamente dal sito (e in altre piattaforme) o scaricare i file e sentirli con l’ipad, col telefono, con lo stereo.
Saranno tematici:

Il Gioco: parleremo dei personaggi del nostro Gioco. Li presenteremo, li intervisteremo, spiegheremo le dinamiche, sveleremo retroscena.
Piccole storie del terrore: una serie ideata e condotta da Serena Barsottelli. Volete saperne di più? Nei prossimi giorni l’autrice sarà intervistata e saprete tutto.
Maledetti: scrittori, artisti, ma anche politici, cantanti, pittori. Le figure che ci hanno dato una prospettiva diversa, un nuovo modo di pensare, sicuramente non il nostro, sicuramente da capire.
Scrittura schizofrenica: cos’è? In questo link qualcosa si può capire. Sta in quel momento in cui vi siete appena svegliati, prima di vestirvi con la vostra cultura, la vostra educazione, la vostra poca o molta intelligenza, il vostro buon gusto, le vostre pessime maniere.
Cinema e Serie: Le ultime uscite, parliamone. Un classico degli anni ’90. La cinematografia francese e quel film passato inosservato. Insomma: cinema e serie.

Come ascoltarli:
Tre abbonamenti: mensile, trimestrale, annuale. Pochissimi euro.
Per chi deve ancora iscriversi al sito: la solita procedura di registrazione. Una volta ottenuto l’accesso ci sono due menu utente, uno in alto e uno a sinistra del sito, cliccate su “iscrizioni”, scegliete cosa ascoltare e mettete la cuffia.

Cose da Grandi parla di immigrazione, di animali, di vita di strada. Quale di questi temi ti è più caro e quale è stato più difficile trattare?

Non credo ci sia grande differenza. Tutto dipende dall’empatia. Posso dire che inizialmente avevo pensato di parlare esclusivamente del rapporto uomo-animali, ma poi è venuto da sé spostare l’asse del racconto da uomo/animali a indifferenza/sofferenza. Quando si sente qualcuno affermare che non bisogna preoccuparsi degli animali perché “tanto sono solo bestie”, mi vengono immediatamente in mente situazioni in cui qualcuno scaccia in malo modo un mendicante perché si sente in diritto di umiliarlo, o affermazioni assurde e aprioristiche sugli immigrati e sul fatto di rispedirli ai loro paesi. In realtà in tutti questi casi c’è mancanza di empatia. La non volontà di cambiare il punto di vista, per mantenere una sorta di primato e credersi più importanti rispetto alla vita e alla sofferenza di altri esseri viventi. Io oggi mi occupo attivamente di diritti degli animali, ma sono convinta che se fossi vissuta alla fine dell’Ottocento in Inghilterra sarei scesa in piazza per reclamare il diritto di voto alle donne. Se fossi nata negli Stati Uniti, avrei combattuto per l’abolizione della schiavitù. Negli anni Cinquanta del Novecento avrei sfilato a fianco di Martin Luther King, negli anni Settanta con Harvey Milk. È una lunga battaglia per la liberazione e il rispetto che l’uomo combatte da secoli.

Il protagonista è Karim, un ragazzo siriano di diciassettenne anni che a causa della guerra nel proprio Paese è costretto a costruirsi una nuova esistenza. Hai solo immaginato ogni accadimento oppure ti sei documentata?

Purtroppo non conosco la Siria, ma ho viaggiato molto in altri Paesi del Medio Oriente. Il paesaggio, il modo di vivere lo conosco bene. Per quanto riguarda invece l’attuale situazione di questo terribile conflitto che sta distruggendo cose e persone, oltre alle notizie che i vari mezzi di informazione fanno arrivare in Europa, ho un canale di contatto diretto con quello che è conosciuto come il Gattaro di Aleppo. Quest’uomo, che ha perso tutto a causa della guerra, da anni lavora per una ONLUS francese e porta soccorso alle persone senza casa né cibo. Per sua iniziativa personale, e con il sostegno di molti stranieri, ha poi creato un rifugio per gli animali (in particolare gatti) abbandonati nelle vie della città, terrorizzati, affamati, spesso feriti, e ha dato loro ricovero e cure. Di fianco a questo rifugio è sorto anche un orfanotrofio per i bambini rimasti soli. Alaa (il gattaro) sostiene anche questa iniziativa, porta regali e un sorriso a bambini e spesso li fa interagire con i gatti, in una sorta di pet-therapy che dà sollievo agli animali abbandonati e regala un momento di gioia ai bimbi che non hanno più nessuno. Ogni giorno arrivano aggiornamenti e immagini dalla città. Aleppo oggi è una montagna di macerie. È assurdo a che livelli di male può arrivare la crudeltà umana.

Parte della storia è ambientata a Napoli della quale hai sottolineato, per esigenze di storia, più gli aspetti loschi che quelli folcloristici, caldi e generosi, e altra parte è ambientata a Roma. Che rapporto hai con queste due città?

Karim sbarca dopo un naufragio del suo barcone sulle coste del Sud Italia ed era inevitabile che nei suoi spostamenti arrivasse in una città del Sud (poi su, fino a Roma). Napoli è una delle città più belle che io conosca. Bella nelle parti eleganti del suo Lungomare, del centro, di Piazza Plebiscito e di via Toledo. Ma ancora più bella nei vicoli vivi e sonori, popolati da persone davvero calde e generose. Per questo mi è piaciuto parlarne nel libro. Ho scelto però di presentare il lato nero della città, perché si tratta di una realtà che sporca, corrompe la sua bellezza e la vera essenza. È una malattia profonda che va estirpata. Perché la vera Napoli è un’altra. Eppure gran parte della vita del posto è gestita da alcuni burattinai che si sono fatti sempre più forti da quando al coltello hanno sostituito armi sofisticate. Questa gente corrompe i giovani, e davvero li spinge a superare ogni senso di pietà costringendoli a torturare gli animali. È il primo passo verso l’annientamento delle coscienze. Così questi ragazzi possono facilmente diventare i burattini che loro cercano per farli muovere a loro piacimento, inducendoli a compiere reati sanguinosi senza sporcarsi le mani in prima persona. E forse proprio da un’azione volta alla salvaguardia degli animali potrebbe nascere un lavoro di recupero dei ragazzi (e, a volte, addirittura bambini) a rischio.

Per quanto riguarda Roma, invece, è una città dove vado spesso perché ci vivono dei carissimi amici. Con loro ho imparato a conoscere i colori, gli odori, le atmosfere. L’incontro di Karim con il barbone Carl avviene sulla riva del Tevere, al tramonto. Sono dorati, i tramonti, a Roma. è in questa atmosfera che ho immaginato la scena.

Parliamo di te. Che studi hai fatto? Quale è stato il percorso che ti ha avvicinato alla scrittura?

Io sono una prof di italiano latino in un Liceo delle Scienza umane. È un lavoro che ho intrapreso da giovane senza molta convinzione. Invece ho scoperto che è proprio il lavoro giusto per me. Stare con i ragazzi mi diverte e mi regala ogni giorno stimoli nuovi e positivi. Non mi sembra neppure di lavorare… Parallelamente a questo, però, ho cominciato a scrivere già dagli anni dell’università. Ho pubblicato alcuni racconti, ma soprattutto ho cominciato ad occuparmi (e mi sono occupata per molto tempo) di letteratura del Novecento. Ho pubblicato saggi, e poi ho collaborato con la pagina culturale di quotidiani nazionali. All’inizio della mia attività ho scritto anche tre romanzi. Uno (per ragazzi) era stato accettato da una grande casa editrice di Milano, ma poi la sorte avversa ha voluto che una ristrutturazione interna facesse cadere quel progetto. Io intanto mi dedicavo sempre di più alla saggistica. Nel 2002 ho pubblicato Il mestiere di leggere (il Saggiatore), una storia delle pubblicazioni della Casa editrice Mondadori vista attraverso i pareri di lettura, documenti editoriali di grande interesse per gli studiosi. Poi è nata una lunga passione per il poeta salernitano Alfonso Gatto. Dopo averne stilato, in collaborazione con Marta Bonzanini, la bibliografia completa e ragionata (un’impresa titanica…), ho pubblicato due sue raccolte di inediti e rari: Il Gatto in poltrona (una raccolta di critiche televisive) e Ballate degli anni, inedite in volume, scritte per la trasmissione televisiva Almanacco di storia, scienza e varia umanità (1963).

Intanto però si stava sviluppando e prendeva sempre più spazio nella mia vita la passione per gli animali. Così ho pensato di affrontare la sfida di un volume di divulgazione sull’argomento, ed è nato Bestie come noi (Effigie, 2016) che prende in considerazione vari aspetti del rapporto uomo-animali, e sostiene la tesi che una maggiore attenzione al benessere animale può portare a un miglioramento anche della qualità della vita umana.

Ora sono tornata alla narrativa, perché ho trovato un argomento che mi ha preso tantissimo. E il fatto di veder pubblicato ora un mio romanzo, a distanza di tanti anni dalle prime scritture, è una gioia davvero grande.

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