La diagnosi

“Ambasciator non porta pena” si ripeteva senza alcuna convinzione Enrico. Era un mantra che gli risonava dentro ormai da venticinque anni, venticinque anni e tre mesi esattamente, dal giorno in cui consegnò la sua prima diagnosi.

Quella mattina di marzo, dietro allo scudo del suo camice bianco, guardò la paziente negli occhi e pronunciò quelle parole con simulata calma.

La sua voce aveva il tono distaccato con cui le aveva pronunciate tutte di un fiato la mattina stessa, davanti allo specchio del bagno: “midispiacenonsonobuonenotizieepatocarcinoma”. Era sicuro che anche l’espressione del suo viso in quel momento era quella che aveva studiato nel minimo dettaglio nelle sue prove mattutine. Le sopracciglia non l’avevano certo tradito: con una lieve contrattura muscolare avevano obbedito e si erano arcuate leggermente, quel tanto che basta a trasmettere l’empatia di cui a cui i pazienti si aggrappano quando il medico toglie loro la terra da sotto i piedi. Si chiedeva se fosse questo il motivo per cui le sue sopracciglia si erano appesantite in tutti questi anni, come i fili di un vecchio stendino, piegate sotto quei pesanti appelli di aiuto da parte dei suoi pazienti.

Eppure qualcosa andò storto quella mattina, o meglio, andò come sarebbe poi andato negli anni a venire, però questo Enrico non poteva saperlo.

Si era preparato bene, come nei film, ripetendo la scena più e più volte davanti allo specchio, cambiando tono, parole, espressioni e ritmo di respirazione: una pausa ed un respiro profondo dopo la parola “notizie” era una concessione che ci si poteva permettere, ma solo a patto di non tenere la paziente troppo in sospeso, passando subito ad elencare rapidamente le varie opzioni terapeutiche - ben poche in questo caso – senza indugi, una volta arrivati alla parola “epatocarcinoma”. E così, Fellini di sé stesso, fece entrare la paziente ed iniziò la scena. “Buongiorno dottore” sarebbe stato il suo ciak negli anni a venire, fino a che non arrivò a capire che non vi era alcuna differenza tra un copione studiato alla perfezione ed un atto di improvvisazione. A quel punto smise semplicemente di allenarsi allo specchio.