Tofu, tempeh e seitan: conoscerli per cucinarli

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“Ma come fai ad essere vegan? Devi rinunciare a un sacco di cose!”
Sovente mi sono sentita dire questa frase che però, secondo me, pecca di una visione superficiale e che ha poco a che vedere con lo stile di vita vegan; penso infatti che la parola più appropriata nel nostro caso sia scoperta. Da quando sono vegan la scoperta di nuovi cibi, cereali e legumi mi accompagna quotidianamente, facendomi entrare in un mondo fatto di sapori nuovi, profumi esotici e consistenze inaspettate. Penso che la nostra dieta e il nostro stile di vita non siano pesanti, ma che molto spesso sia un certo tipo di società a farceli percepire così, improntata a mantenere un livello culturale basato sulla propria storia e non su possibili evoluzioni. Prova ne è che quando rimango in famiglia, fuori da ogni condizionamento, non sento alcuna limitazione alimentare, perché ciò che ero abituata a mangiare è stato ampiamente sostituito o rivisitato in chiave vegetale.
In questi anni ho scoperto come fare i dolci senza utilizzare il latte, creo polpette senza bisogno delle uova e della carne, mangio gnocchi e pasta fatta in casa. Pizza, falafel e sushi. Sapete che il vero significato del sushi è riso e non pesce? E che quindi con questa parola non si designa solo ed esclusivamente l’involtino che tutti siamo abituati a immaginare? ( Il sushi (寿司? pronuncia giapponese [sɯ̥ɕi] o [sɯɕi], in italiano [ˈsuʃʃi][1]) è un piatto tipico della cucina giapponese a base di riso insieme ad altri ingredienti come pesce, alghe, vegetali o uova. Il ripieno può essere crudo, cotto o marinato e può essere servito appoggiato sul riso, arrotolato in una striscia di alga, disposto in rotoli di riso o inserito in una piccola tasca di tofu. In Giappone la parola sushi significa letteralmente "aspro" e si riferisce a una vasta gamma di cibi preparati con riso. Al di fuori del Giappone viene spesso inteso come pesce crudo o come riferimento a un ristretto genere di cibi giapponesi, come il maki o anche il nigiri e il sashimi (che in Giappone non è considerato sushi perché composto di solo pesce fresco.) Ebbene, io adoro il sushi! Mi piacciono i rotolini di alga con all’interno il riso intorno all’avocado, le carote, il cetriolo.
Parlando di carne poi, il suo gusto me lo ricordo bene (anche se sono passati quasi otto anni da quando l’ho abbandonata) e, se devo dirla tutta, il suo sapore non mi dispiaceva affatto, ma considerando il patimento e la morte per i poveri animali, qualsiasi possibile piacere passa in secondo piano. Ogni morso a una cotoletta era uno strazio per il cuore, ogni momento passato davanti a una pietanza animale era divenuto insopportabile. E allora pensai che non volevo continuare a essere la causa di quegli orrori. Che qualsiasi sapore non avrebbe potuto valere quanto il respiro di un animale. Volevo farne a meno, o quanto meno provarci.
Era il primo dicembre 2009.

Al tofu ci arriviamo più o meno tutti, ma del tempeh ne avete mai sentito parlare? E del seitan?
Ebbene, se siete curiosi d’imparare a distinguerli e cucinarli, questo articolo farà proprio al caso vostro, oppure, mal che vada, saprete finalmente di cosa si tratta quando troverete questi nomi bizzarri tra gli ingredienti di una ricetta o negli scaffali del banco frigo.

IL TOFU

Il tofu viene anche chiamato “formaggio di soia” perché, come il formaggio classico, è ottenuto dalla cagliatura del latte, ma, in questo caso di soia (anche se sarebbe più corretto parlare di “bevanda”, dato che è definibile latte solo il prodotto delle ghiandole mammarie degli animali). Il procedimento è molto semplice, tant’è che conosco diverse persone che lo autoproducono in casa partendo dai fagioli secchi della soia gialla.


A grandi linee occorre mettere i fagioli in ammollo per circa una notte, al fine che, come molti legumi, perdano le sostanze antinutrizionali che diminuirebbero l’assorbimento di alcuni minerali. Il mattino seguente basterà frullare la soia con dell’acqua, setacciare il composto e far bollire il liquido lattiginoso ottenuto insieme al cloruro di magnesio (detto anche nigari) o il succo di limone. Una volta cagliato, il tofu ottenuto viene messo a sgocciolare negli stampi e in base alla quantità di acqua estratta potranno risultare tre tipologie di tofu: delicato, che ha la consistenza di un budino e viene sovente utilizzato per i dolci, solido, il più diffuso e comune, e infine il secco che più si presta ad essere conservato, visto il basso tenore di acqua contenuto.


Se volete sbizzarrirvi in cucina e siete curiosi di provare a farlo anche voi in casa, a questo link potrete trovare tutto il procedimento accuratamente spiegato.

La parola “tofu” è giapponese, anche se in realtà le sue origini sono cinesi e risalgono a circa duemila anni fa. La diffusione di questo alimento in tutto il sud est asiatico invece, è dovuta soprattutto ai monaci buddhisti che, essendo vegetariani, lo introdussero come base della loro dieta. Non c’è da stupirsi se ancora oggi è ampiamente utilizzato in tutto il mondo dato che la sua versatilità e il suo valore nutritivo sono senza eguali nel mondo vegetale. È infatti un alimento molto proteico, presenta un alto contenuto di acidi grassi, calcio e aminoacidi essenziali, e inoltre, a differenza della carne, contiene pochissime calorie e aiuta a ridurre il colesterolo nel sangue.
Sovente, quando mi capita di sentire parlare del tofu, la frase più gettonata suona tipo: “ma non sa di niente!” ed effettivamente, il panetto di tofu bianco è privo di gusto, ma la sua forza sta nel saper assorbire molto bene i sapori delle spezie e delle verdure con viene cotto: se non sa di nulla, evidentemente non l’avete cucinato a dovere.
Se volete avvicinarvi a questa pietanza, una delle mie ricette preferite (semplice, veloce e sfiziosa), è l’insalata di tofu e avocado. Comprando un panetto da 250 grammi e un avocado più o meno dello stesso peso, ricaverete una dose abbondante per due persone. L’ideale sarebbe procurarvi l’avocado qualche giorno prima e metterlo a maturare in un sacchetto di carta (si ammorbidirà in maniera uniforme e in minor tempo); quando sarà divenuto dalla consistenza giusta non vi resterà che tagliare a cubetti lui e il tofu (più i pezzetti saranno piccoli, più l’insalata risulterà buona) e condirli con un succo composto da circa mezzo limone, olio, sale e pepe quanto basta. Questa insalata, vi garantisco, è stata approvata anche dei più scettici.


Il tofu ormai si trova nel banco frigo o negli scaffali di quasi tutti i supermercati a prezzi modici (250 grammi si aggirano sui due euro, equivalenti alla dose per due persone). Se invece volete assaporarlo (a parer mio) in tutta la sua bontà, be’, vi converrà rivolgervi ai ristoranti cinesi (chi meglio di loro sa cucinarlo?). Ve lo consiglio in salsa piccante o con funghi e bambù. Un altro modo per prepararlo può essere tagliandolo a fette (spesse circa un centimetro), bagnato nella salsa di soia e impanato nella farina di mais mista a farina di ceci, paprika, erbe aromatiche e sale, il tutto fritto* in padella: sono certa vi conquisterà.
*Penso che a questo punto si sia capito che sono vegana per etica e non per salute.
Per finire, il tofu può essere un valido alleato se volete aggiungere consistenza alle torte salate, abbinandolo con spinaci, oppure zucca e porri o ancora nelle polpette vegetali.

IL TEMPEH

Come il tofu, anche il tempeh è ricavato dalla soia gialla, in questo caso però, fermentata.
(nell'immagine a sinistra c'è il tofu e a destra il tempeh)


Produrlo in casa, è difficile perché bisogna mantenerlo a livelli di temperatura (30/32 gradi) e umidità costanti per due giorni. Ai fagioli bolliti, viene aggiunto un fungo, il Rhizopus oligosporus, che funge da starter per innescare, appunto, un processo di fermentazione controllato da cui poi si otterranno dei panetti compatti e privi di acqua che potranno essere conservati per diverso tempo. Lo strato bianco che si vede tra i fagioli e in superficie non è altro che una muffa (buona) che rende il tempeh un alimento meraviglioso dal punto di vista nutrizionale in quanto naturalmente ricco di microrganismi, sali minerali, vitamine e fibre. I suoi fermenti hanno, inoltre, la capacità di rivitalizzare la flora intestinale e contrastare la proliferazione di batteri nocivi. A differenza del tofu poi, non contenendo acqua, ha un contenuto di proteine molto maggiore (a parità di peso).

Sarà per il suo gusto piuttosto particolare o forse per la sua minore versatilità che il tempeh (almeno da noi in Italia) non riscuote nemmeno la metà del successo del suo parente tofu; è più difficile da reperire (si trova prettamente nei negozi bio-vegan) e costa di più (300 grammi quattro o cinque euro).
Da cucinare però, è molto semplice e può essere tagliato a fettine o cubetti, cotto in padella e aggiunto a insalate fredde o verdure cotte.


In questo caso io l’ho tagliato a fette sottilissime, cotto qualche minuto in padella e condito con una salsa verde a base di prezzemolo, aglio, olio e aceto di mele.

Se però voleste lanciarvi nella sua preparazione, a questo link potrete farvi mandare un pacchettino di “starter”, pagando solo le spedizioni. Potrebbe valerne la pena provare.

IL SEITAN

Dei tre sicuramente è il mio preferito. Anch’esso ha antiche origini orientali, presumibilmente giapponesi (da qui il nome, che significa è-proteina). In questo caso però è prodotto a partire dalla pura e semplice farina di grano di tipo tenero o dal farro o dal khorasan , impastata e lavata per privarla dell’amido in modo da lasciare solo le proteine, ovvero il glutine. Successivamente viene cotto in un brodo fatto di salsa di soia, alga kombu, verdure e aromi a piacere. Questo procedimento richiede tempo ma con un po’ di esercizio diventa facilmente riproducibile.
A livello nutrizionale è un’ottima fonte proteica seppur sbilanciata (manca la lisina) e, proprio per questa asimmetria, è consigliabile abbinarlo a legumi cotti, tale da andare a completare il corredo amminoacidico. Negli ultimi anni la sua richiesta sul mercato è cresciuta così tanto da portare a sostituire il processo artigianale con metodi industriali, nei quali la materia prima non è più la farina di frumento bensì direttamente il glutine, estratto meccanicamente e successivamente reidratato. Ne è derivato un prodotto dal sapore insipido, gommoso e qualitativamente inferiore. Quest’ultimo ovviamente è di più facile reperibilità e lo si può trovare in tutti i supermercati alla cifra di tre euro e mezzo per 250 grammi. Se però avete la fortuna di avere vicino casa un negozio di alimenti biologici, potrete trovare il seitan lavorato a mano; in questo caso il prezzo sarà più alto – io lo pago circa sei euro per tre etti – ma ne guadagnerete in gusto e, a lungo andare, in salute.



Essendo le consistenze molto diverse, il tipo artigianale l’ho usato per fare degli straccetti con peperoni in agrodolce, mentre il secondo, più duro e gommoso, l’ho tritato con il mixer e ne ho fatto un ragù vegetale.



Questo articolo vuole essere una introduzione per chi si sta approcciando alla cucina vegetale. Se vi riconoscete in questa categoria, mi permetto di darvi un suggerimento che, quando divenni vegetariana, e in seguito vegana, mi aiutò ad apprezzare maggiormente il cibo che di volta in volta mi accingevo ad assaggiare: non fate paragoni. Gli alimenti che vi ho presentato oggi, sovente vengono definiti come “surrogati della carne” ma penso che con una definizione simile abbiano già perso in partenza perché, in realtà e per fortuna, non hanno nulla a che vedere con questa ultima categoria: sono, semplicemente, un’altra cosa. Il seitan, il tofu, e qualsiasi cibo vegetale che inizierete a conoscere e a mangiare sono espressione di natura, di vita e non di morte. Pensate a questo, e tutto sarà una splendida e incredibile scoperta.

Se volete provare a cimentarvi nella preparazione di piatti a base di seitan, tofu o tempeh, vi suggerisco questo libro

Bibliografia:
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