IL TOFU
Il tofu viene anche chiamato “formaggio di soia” perché, come il formaggio classico, è ottenuto dalla cagliatura del latte, ma, in questo caso di soia (anche se sarebbe più corretto parlare di “bevanda”, dato che è definibile latte solo il prodotto delle ghiandole mammarie degli animali). Il procedimento è molto semplice, tant’è che conosco diverse persone che lo autoproducono in casa partendo dai fagioli secchi della soia gialla.
A grandi linee occorre mettere i fagioli in ammollo per circa una notte, al fine che, come molti legumi, perdano le sostanze antinutrizionali che diminuirebbero l’assorbimento di alcuni minerali. Il mattino seguente basterà frullare la soia con dell’acqua, setacciare il composto e far bollire il liquido lattiginoso ottenuto insieme al cloruro di magnesio (detto anche nigari) o il succo di limone. Una volta cagliato, il tofu ottenuto viene messo a sgocciolare negli stampi e in base alla quantità di acqua estratta potranno risultare tre tipologie di tofu: delicato, che ha la consistenza di un budino e viene sovente utilizzato per i dolci, solido, il più diffuso e comune, e infine il secco che più si presta ad essere conservato, visto il basso tenore di acqua contenuto.
Se volete sbizzarrirvi in cucina e siete curiosi di provare a farlo anche voi in casa, a questo link potrete trovare tutto il procedimento accuratamente spiegato.
La parola “tofu” è giapponese, anche se in realtà le sue origini sono cinesi e risalgono a circa duemila anni fa. La diffusione di questo alimento in tutto il sud est asiatico invece, è dovuta soprattutto ai monaci buddhisti che, essendo vegetariani, lo introdussero come base della loro dieta. Non c’è da stupirsi se ancora oggi è ampiamente utilizzato in tutto il mondo dato che la sua versatilità e il suo valore nutritivo sono senza eguali nel mondo vegetale. È infatti un alimento molto proteico, presenta un alto contenuto di acidi grassi, calcio e aminoacidi essenziali, e inoltre, a differenza della carne, contiene pochissime calorie e aiuta a ridurre il colesterolo nel sangue.
Sovente, quando mi capita di sentire parlare del tofu, la frase più gettonata suona tipo: “ma non sa di niente!” ed effettivamente, il panetto di tofu bianco è privo di gusto, ma la sua forza sta nel saper assorbire molto bene i sapori delle spezie e delle verdure con viene cotto: se non sa di nulla, evidentemente non l’avete cucinato a dovere.
Se volete avvicinarvi a questa pietanza, una delle mie ricette preferite (semplice, veloce e sfiziosa), è l’insalata di tofu e avocado. Comprando un panetto da 250 grammi e un avocado più o meno dello stesso peso, ricaverete una dose abbondante per due persone. L’ideale sarebbe procurarvi l’avocado qualche giorno prima e metterlo a maturare in un sacchetto di carta (si ammorbidirà in maniera uniforme e in minor tempo); quando sarà divenuto dalla consistenza giusta non vi resterà che tagliare a cubetti lui e il tofu (più i pezzetti saranno piccoli, più l’insalata risulterà buona) e condirli con un succo composto da circa mezzo limone, olio, sale e pepe quanto basta. Questa insalata, vi garantisco, è stata approvata anche dei più scettici.
Il tofu ormai si trova nel banco frigo o negli scaffali di quasi tutti i supermercati a prezzi modici (250 grammi si aggirano sui due euro, equivalenti alla dose per due persone). Se invece volete assaporarlo (a parer mio) in tutta la sua bontà, be’, vi converrà rivolgervi ai ristoranti cinesi (chi meglio di loro sa cucinarlo?). Ve lo consiglio in salsa piccante o con funghi e bambù. Un altro modo per prepararlo può essere tagliandolo a fette (spesse circa un centimetro), bagnato nella salsa di soia e impanato nella farina di mais mista a farina di ceci, paprika, erbe aromatiche e sale, il tutto fritto* in padella: sono certa vi conquisterà.
*Penso che a questo punto si sia capito che sono vegana per etica e non per salute.
Per finire, il tofu può essere un valido alleato se volete aggiungere consistenza alle torte salate, abbinandolo con spinaci, oppure zucca e porri o ancora nelle polpette vegetali.
IL TEMPEH
Come il tofu, anche il tempeh è ricavato dalla soia gialla, in questo caso però, fermentata.
(nell'immagine a sinistra c'è il tofu e a destra il tempeh)
Produrlo in casa, è difficile perché bisogna mantenerlo a livelli di temperatura (30/32 gradi) e umidità costanti per due giorni. Ai fagioli bolliti, viene aggiunto un fungo, il Rhizopus oligosporus, che funge da starter per innescare, appunto, un processo di fermentazione controllato da cui poi si otterranno dei panetti compatti e privi di acqua che potranno essere conservati per diverso tempo. Lo strato bianco che si vede tra i fagioli e in superficie non è altro che una muffa (buona) che rende il tempeh un alimento meraviglioso dal punto di vista nutrizionale in quanto naturalmente ricco di microrganismi, sali minerali, vitamine e fibre. I suoi fermenti hanno, inoltre, la capacità di rivitalizzare la flora intestinale e contrastare la proliferazione di batteri nocivi. A differenza del tofu poi, non contenendo acqua, ha un contenuto di proteine molto maggiore (a parità di peso).
Sarà per il suo gusto piuttosto particolare o forse per la sua minore versatilità che il tempeh (almeno da noi in Italia) non riscuote nemmeno la metà del successo del suo parente tofu; è più difficile da reperire (si trova prettamente nei negozi bio-vegan) e costa di più (300 grammi quattro o cinque euro).
Da cucinare però, è molto semplice e può essere tagliato a fettine o cubetti, cotto in padella e aggiunto a insalate fredde o verdure cotte.
In questo caso io l’ho tagliato a fette sottilissime, cotto qualche minuto in padella e condito con una salsa verde a base di prezzemolo, aglio, olio e aceto di mele.
Se però voleste lanciarvi nella sua preparazione, a questo link potrete farvi mandare un pacchettino di “starter”, pagando solo le spedizioni. Potrebbe valerne la pena provare.
IL SEITAN
Dei tre sicuramente è il mio preferito. Anch’esso ha antiche origini orientali, presumibilmente giapponesi (da qui il nome, che significa è-proteina). In questo caso però è prodotto a partire dalla pura e semplice farina di grano di tipo tenero o dal farro o dal khorasan , impastata e lavata per privarla dell’amido in modo da lasciare solo le proteine, ovvero il glutine. Successivamente viene cotto in un brodo fatto di salsa di soia, alga kombu, verdure e aromi a piacere. Questo procedimento richiede tempo ma con un po’ di esercizio diventa facilmente riproducibile.
A livello nutrizionale è un’ottima fonte proteica seppur sbilanciata (manca la lisina) e, proprio per questa asimmetria, è consigliabile abbinarlo a legumi cotti, tale da andare a completare il corredo amminoacidico. Negli ultimi anni la sua richiesta sul mercato è cresciuta così tanto da portare a sostituire il processo artigianale con metodi industriali, nei quali la materia prima non è più la farina di frumento bensì direttamente il glutine, estratto meccanicamente e successivamente reidratato. Ne è derivato un prodotto dal sapore insipido, gommoso e qualitativamente inferiore. Quest’ultimo ovviamente è di più facile reperibilità e lo si può trovare in tutti i supermercati alla cifra di tre euro e mezzo per 250 grammi. Se però avete la fortuna di avere vicino casa un negozio di alimenti biologici, potrete trovare il seitan lavorato a mano; in questo caso il prezzo sarà più alto – io lo pago circa sei euro per tre etti – ma ne guadagnerete in gusto e, a lungo andare, in salute.
Essendo le consistenze molto diverse, il tipo artigianale l’ho usato per fare degli straccetti con peperoni in agrodolce, mentre il secondo, più duro e gommoso, l’ho tritato con il mixer e ne ho fatto un ragù vegetale.
Questo articolo vuole essere una introduzione per chi si sta approcciando alla cucina vegetale. Se vi riconoscete in questa categoria, mi permetto di darvi un suggerimento che, quando divenni vegetariana, e in seguito vegana, mi aiutò ad apprezzare maggiormente il cibo che di volta in volta mi accingevo ad assaggiare: non fate paragoni. Gli alimenti che vi ho presentato oggi, sovente vengono definiti come “surrogati della carne” ma penso che con una definizione simile abbiano già perso in partenza perché, in realtà e per fortuna, non hanno nulla a che vedere con questa ultima categoria: sono, semplicemente, un’altra cosa. Il seitan, il tofu, e qualsiasi cibo vegetale che inizierete a conoscere e a mangiare sono espressione di natura, di vita e non di morte. Pensate a questo, e tutto sarà una splendida e incredibile scoperta.
Se volete provare a cimentarvi nella preparazione di piatti a base di seitan, tofu o tempeh, vi suggerisco questo libro.