Considerarmi un poeta m’imbarazza un po’ perché ho sempre dei riferimenti molto alti, ma alla fine mi capita di leggere autori, anche molto condivisi sui social, che mi fanno dire che magari posso pure fregiarmi di questo appellativo senza remore, se poi come poeta valgo o meno non lo devo dire io. Ho detto questo perché di fatto non credo nella figura del poeta, credo di essere una persona che scrive poesie e sono le poesie a parlare il resto è marketing, narrazione, gossip. Non devi bere come Bukowski o ucciderti come Sexton per essere un poeta, ma devi scrivere poesie, il resto, come ho detto è una narrazione esterna, qualcosa di accidentale.
C’è una frase di Adorno, criticata poi dallo stesso, che afferma che scrivere poesie dopo Auschwitz è una barbarie, ma come dimostrano le poesie di Celan e il suo confronto con Adorno, non è affatto vero. Se mi posso permettere è vero il contrario: lessi in un romanzo di Scurati che non si può lasciare l’ultima parola al massacro; Hikmet ha vinto sulla barbaria del suo tempo, sulle torture e sull’esilio, scrivendo poesie. Sia che i tempi siano buoni sia che siano cattivi vale il motto: “non tacciano i canti”. Gli umani sono animali narrativi, finché potranno narrarsi possono sopravvivere nelle loro aspirazioni più alte, quindi il 2018 va bene come il 1918 per scrivere poesie.
All’università ho studiato soprattutto la filosofia della religione, un tipo di filosofia teoretica, quindi i miei riferimenti culturali sono mutuati dall’Ebraismo, dall’Islam e dal Cristianesimo. Sicuramente un grande peso ce l’ha Derrida nel mio approccio alla materia, ma le radici culturali sono sempre molto vaste e profonde e potrei parlare per ore senza arrivare a individuare la “prima radice”, queste che ho detto sono quelle sicuramente più manifeste.
Difficile da dire, credo siano le parole a venirmi in mente e sono poi quelle stesse parole che mi raccontano, a volte l’io narrante domina le parole altre volte ci sono solo loro.La parola pone una rottura col silenzio e l’unicità della parola rompe con la chiacchiera: la parola taglia il mondo con una nettezza e una crudeltà immense, prima della parola ci può essere tutto, dopo c’è tutto il resto, tutto ciò che consegue a quella parola. Non è forse questa la narrazione religiosa che abbiamo? Quello che sto dicendo è che noi siamo nascosti nelle parole perché esse ci indicano e ci distinguono, ci de-finiscono. Le parole sono un recinto in cui ci sono io e al tempo stesso non so dove sono perché non mi esaurisco in quelle parole che ho detto e allora ne dico altre e così via, non arrivo mai a trovarmi, al massimo riesco a convincermi che posso essere come quelle parole vogliono.
Leggo molte poesie, ma pochi autori o autrici nello specifico. Leggere autori diversi aiuta a conoscere stili espressivi diversi, mi aiuta a studiare la poesia. Citare solo tre nomi è difficile perché subito dopo averli detti penserei a quanti ne amo di più, ma che non ho citato. Sicuramente ho letto molti poeti russi e molti poeti e poetesse americane, ma non mi va di dare nomi perché farei torto a quelli che non cito.
Scrivo in prosa, ma molto più di rado. In genere riesco sempre a scrivere una poesia su un foglio, poi magari non la rileggo o la sistemo in tempi migliori, ma con la prosa mi riesce più difficile essere costante.
Non a tutti piace leggere poesie e non tutti sanno leggere le poesie. Le poesie riescono a coprire pochi righi, ma hanno tempi di assimilazione molto dilatati, certe poesie le rileggo tante volte e poi le capisco davvero quando mi vengono in mente quelle parole in un contesto che sto vivendo. La poesia fa compagnia, fa riflettere, ti dice qualcosa di te che non sapevi, per questo bisogna leggere poesie, ma prima bisogna saperle leggere, altrimenti sono una noia.
In questo periodo leggo, non che quando scriva interrompa la lettura, ma diciamo che leggo per studiare stili narrativi e poetici, ma forse mi prendo solo in giro pensando che sto rendendo costruttivo un tempo creativamente morto. Inizio racconti e li lascio, valuto diverse idee che potrebbero essere romanzi o sceneggiature e ogni tanto scrivo qualche appunto da qualche parte, ma non posso dire che stia propriamente scrivendo… probabilmente non posso neanche dire che ci stia provando.
Vale come per i poeti: qualsiasi nome dica faccio torto a chi non cito. Forse però posso dire che leggo con piacere Hemingway e Steinbeck, sebbene non possa dire propriamente che siano i miei scrittori preferiti… sicuramente sul podio c’è Kafka, ma mi è difficile fare classifiche.
La situazione lavorativa è talmente disperata che è anche difficile sognare il lavoro ideale, di certo vorrei trovare qualcosa che mi permetta di studiare, scrivere e conoscere cose nuove.
Non lo so, credo che saranno i critici a trovare la frase giusta.
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