Giusy Golotta - Di cosa parliamo quando parliamo d'amore

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“Mi piace il Natale, cioè mi piace in linea teorica - le luci, e pure la frenesia - è la pratica che mi disturba; solo all’idea mi manca il respiro. Non è una questione religiosa. E’ tutto il resto: Natale uguale famiglia. Appunto”.

Lei era in piena paranoia. Era una di quelle persone che avevano sempre pregustato il Natale da fine agosto, ma negli ultimi due anni la fregola era stata rimpiazzata dall’ansia. Parlava a se stessa come si parla a un’amica, una che non può fare a meno di ascoltarti e cerca di placare le tue angosce. Quando parlava con le sue amiche in carne e ossa erano tutte ovvietà: “Quest’anno andiamo da mia suocera, così non devo preparare nulla/Tu i regali li hai già fatti tutti? Io ormai compro solo su internet/Noi andiamo tre giorni a Parigi, è il nostro regalo”. E via dicendo. Sorrisi esagerati a bocche spalancate, bacini e bacetti.

Anche quest’anno era andata così. La solita cena annuale “almeno per farsi gli auguri” e per lo scambio obbligato di regali inutili. Sia chiaro, a lei piacevano i regali inutili. “Cose che devono stupirti, nel bene e nel male, o perlomeno non essere prosaiche,” come lei era solita dire. Che so: un bracciale è utile? No, ti piace o non ti piace. E ti dice senza dubbio qualcosa su chi te lo ha regalato. Quelli delle amiche, però, erano sempre forzatamente insensati, diciamo presi a caso. Fatti per portare oggetti. Le mutande rosse, ad esempio. Quante ne aveva ormai? E poi a cosa le servivano? C’è crudeltà nel regalare mutande sexy a una fresca di divorzio. Stronze. Mettetevele voi, tanto i vostri mariti non se ne accorgono e probabilmente vi staranno facendo le corna mentre voi pensate al loro regalo.

Lei era divorziata ormai da due anni e si considerava ancora fresca di divorzio. Sarà che ancora non aveva digerito la cosa.

Il suo ex marito, invece, era felicemente accoppiato (vedi alla voce causa del divorzio); infatti pare avesse acconsentito con entusiasmo alla richiesta della propria madre di passare il Natale tutti insieme: figlio, consuoceri, ex-moglie e nuova compagna.

“E’ per il bambino, almeno vi vede insieme a Natale!”. Aveva detto sua suocera, o ex-suocera, come doveva puntualizzare ogni volta (in effetti non era più sua suocera, se lei non era più sposata). Lei, invece, sapeva che lo faceva solo per metterli tutti di fronte al fatto compiuto: una nuova e bella coppia pronta a ricevere la benedizione corale, compresa la sua, ché doveva fare la persona matura e incassare il colpo con educazione.

Lei aveva un nome, Tea, che era piaciuto molto al suo ex-marito. “E’ il nome di una rosa,” diceva quando la presentava a qualcuno con visibile orgoglio. Ne sottolineava la doppia bellezza: nel suono e nel significato. La sua nuova fidanzata - nuova per modo di dire, erano già passati due anni e qualcosa in più, senza contare i mesi di tresca - si chiamava Patrizia. Che nome rozzo. E a dispetto del suo significato! Sarà che si pronuncia come se ne avesse tre di zeta, ma non ha a che vedere con la soavità di Tea.

Lei l’aveva vista, Patrizia, dentro la macchina del suo ex-marito, sotto casa. Era stata la prima volta.

“Chi era quella?”.

“Quella chi?”.

“Quella che era dentro la tua macchina”.

“Ah. Ah già. Una collega. Non aveva la macchina oggi. Che rottura”.

Non aveva certo pensato al peggio, capita che si diano i passaggi alle colleghe. E poi non era un granché, diciamolo pure. Col caschetto spiaccicato in testa era un tutt’uno nero con cappotto e stivali. Una blatta.

Succedeva che erano in macchina. Lei non sarebbe dovuta tornare in quel momento, ma aveva parcheggiato e li aveva visti. Capita. Lui era salito a prendere qualcosa, era stato veloce. Quando era rientrato in macchina non c’era stata nessuna effusione, neanche un minimo contatto.

“E perché sei salito?”.

(Preoccupazione crescente)

“Mi scappava e le ho chiesto di aspettare cinque minuti”.

(Preoccupazione svanita)

A pensarci, che stronzo. Bravo attore, però. Nessun segno di tensione. Carino come sempre. Come poteva pensare male, Tea? Quando uno tradisce è distante, o ignora, oppure compensa con gesti d’affetto eccessivi. Lui no, carino come sempre. “Ma quanto è buono, lui,” dicevano le sue amiche. Sì, sì, in effetti lo era. Eccome. Intanto era arrivata la blatta.

Frequentavano lo stesso bar alla mattina. Erano finiti seduti allo stesso tavolino, poi avevano cercato di sedersi sempre a quel posto, fino ad aspettarsi. Chiacchiere. L’ufficio, il figlio, lo stress. Caffè, cornetto. “Meglio di no, sto diventando una balena,” “ma no, tu? Sei in gran forma!”. “Sarà ma è meglio che mi tenga, guarda!”. Indicandosi, con il preciso intento di fare vedere bene la sua maglia aderente, o piuttosto cosa c’era sotto. “Avercene come te!”. Insomma, flirtavano.

Basta poco, anche se sei tanto buono come lui, per trovarti dentro a una storia. Proprio poco, pensava Tea. Qualcuno che mostra un po’ d’interesse, che sorride socchiudendo gli occhi alle tue scemenze, che ride alle tue battute. Aggiungi, nel caso della blatta: tacchi vertiginosi, gonne fascianti e aria da donna curata, e il gioco è fatto. E’ matematico.

Poi sì, certo, come da copione è arrivata la parte struggente: la fanciulla smarrita, la donna dal cuore spezzato ma che ti sta dicendo che, in fin dei conti, la puoi considerare libera. “Mio marito non c’è mai, è fortunata tua moglie ad averti”. “No, guarda, è sfinente fare tutto da sola,” fino ad arrivare a: “Io ce l’ho messa tutta, ma alla fine molli la presa”. E con quali occhi glielo avrà detto. Preso all’amo. Che zoccola. Suo marito c’era eccome. Solo che lei non lo vedeva più. Non gliene fai una colpa, succede, ma rappresentarlo come un menefreghista, questo no. Questo fa di te una zoccola.

Tea era compiaciuta di ciò che pensava. Il suo ragionamento non faceva una piega, d’altronde.

Sta di fatto che l’ex marito il giorno della macchina era salito in casa loro a prendere i preservativi, ben nascosti tra le carte, nel cassetto della propria scrivania. Quel tardo pomeriggio però non aveva potuto usarli perché il marito di Patrizia aveva chiamato e lei era scattata sull’attenti, come un soldatino. Si era fatta accompagnare vicino casa per fare la brava moglie e andare chissà dove con suo marito, e lui, il fedifrago, tornava da Tea. Tranquillo, perché tanto sapeva che se non era stato oggi, sarebbe stato domani. Tranquillo, era entrato in casa e come al solito un bacio sulla guancia e un bacio sulle labbra.

Lui e Tea avevano un figlio, Lorenzo, cinque anni.

Lorenzo non capiva bene questa cosa del distacco tra i suoi genitori. Non capiva cosa fosse successo. Non collegava Patrizia, la fidanzata di papà, a tutto il resto. Patrizia era una nuova figura a sé stante che però viveva con papà al posto della mamma. In alcune cose le ricordava la mamma: era affettuosa come lei; in altre no: Patrizia sapeva fare le lasagne buonissime e si metteva lo smalto scuro.

Lorenzo abitava con Tea, ma due fine settimana al mese stava col padre. Ovviamente, una volta tornato da sua madre era un continuo parlare di papà, Patrizia (soprattutto Patrizia) e lasagne. Si può immaginare lo sforzo che faceva Tea ad ascoltarlo. Era felice che suo figlio stesse bene, ma allo stesso tempo ne soffriva. Quante volte si era trovata a chiedersi perché tutti i bambini odino le matrigne e il suo no? Forse quella era migliore di lei? Lo aveva comprato con due lasagne?

Mentre pensava a tutto questo, Tea stava guidando, Lorenzo dormiva beato dietro di lei, e si stavano dirigendo a casa della nonna, o della ex-suocera, dipende da come la vivi.

Tea aveva comprato anche un bel regalo per lei, una teiera vagamente indiana, anche se le era sembrato assurdo occuparsi della madre di colui che l’aveva lasciata così, dopo anni di vita insieme. Era rimasta impassibilmente fatalista, l’ex-suocera, un laconico: “se deve succedere, succede, bisogna andare avanti”. Che sotto sotto fosse contenta dell’accaduto?

Ci sarebbero stati anche i propri genitori, complici per amore del nipote, nonostante li avesse già visti la sera precedente, quella della Vigilia. C’erano stati anche sua sorella e i nipotini, in quell’occasione. I bambini si erano divertiti, un po’ meno Lorenzo, che era il bambino più grande, si annoiava e si aspettava da lei soluzioni immediate. Patrizia di certo le avrebbe avute. Sua sorella, dotata di tre figli piccoli e marito pacioso al limite dell’inconsistenza, le chiedeva di continuo come stava, con il tono di chi parla con una depressa. E Tea dentro di sé aveva sempre la stessa risposta: “Pensi che io sia depressa? I depressi non escono mai di casa, io sì,” mentre all’esterno liquidava rispondendo che stava bene.

Diciamo che, in realtà, era costretta a uscire per via di suo figlio, e del lavoro, e di quell’unica volta, sotto Natale, in cui si ricordava di essere parte di un gruppo di amiche, perlopiù inesistenti.

Le pesava ricordarsi la sua vita di prima. Adesso chi era? E cosa cercava? E dove mai sarebbe dovuta andare? Prima aveva il suo posto, il suo ruolo; adesso veniva percepita come una donna sola, anzi no, come una donna abbandonata e cornuta. Doveva magari iscriversi a un corso di ballo? E per cosa, per farsi alitare addosso da qualche vecchio imbolsito in cerca di emozioni, o subire il sogghigno di giovani uomini? No. E comunque non ci aveva mai pensato prima, quindi perché proprio ora? Lavorava in una redazione e quello le piaceva, le bastava, non aveva bisogno di riempire i suoi giorni di attività per sentire la vita.

”Sempre sul pezzo, lei!”. Le diceva il suo ex-marito prendendola per le spalle. Mah, teneva una rubrica di piante e fiori, mica era una cronista d’assalto. Lui, avvocato, lavorava in uno studio di grido, in giacca cravatta e scarpe lucide. Era uno di quelli di cui si dice: “E’ un bell’uomo”. Bello, forse inconsapevolmente, e quindi mai cascamorto, solo affabilmente cortese, di quelli che sanno stare al mondo in maniera ineccepibile. E a Tea piaceva questo suo modo di essere. A Tea piaceva lui.

I pensieri non le davano tregua: ne usciva uno, ne entrava un altro, ora di soppiatto ora con prepotenza: lui così bello, la blatta, le lasagne, la teiera. Comunque, grazie al cielo, la Vigilia era alle spalle. I sorrisi messi su per dire a tutti “Sto bene! Sto bene!”. Il rossetto rosso, la tristissima tombolata con suo padre mezzo addormentato e suo cognato che non proferiva parola. Non emetteva proprio suoni, a dire il vero, solo sorrisi ebeti. Dio mio.

E adesso stava guidando verso qualcosa di simile. Ma peggiore. Tutti, ma proprio tutti, schierati: i suoi, quelli di lui, l’altra. Una salvezza poteva essere partire per una meta esotica, ma suo figlio era troppo piccolo, e poi forse era meglio partecipare alla recita una volta per tutte.

Quello che l’angosciava maggiormente era la combinazione strampalata di tutte quelle persone. Come avrebbero rotto il ghiaccio? Con sua madre che soleva rimproverarla davanti a tutti, seppure scherzando? Come avrebbe reagito all’impatto?

Si guardò allo specchietto della macchina: troppa cipria, la riga della matita storta su una palpebra, le guance pallide. Accostò per darsi una sistemata. Tirò fuori dalla borsa il pennello quando suonò il cellulare: “Ciao, ma dove sei? Qui ci sono già tutti, almeno oggi per favore, cerchiamo di essere puntuali”. Era sua madre. Ovviamente, il pennello le cadde.

“Porca puttana/Ma cos’hai, calma, ho solo chiesto dove sei/Non ce l’ho con te, mamma, mi è caduta una cosa”.

Ogni volta era così faticoso non litigare, e questa volta certamente di più, ma era anche necessario mantenere la calma visto lo scenario che le si prospettava. E poi, nonostante tutto e tutti, era Natale. Le venne da piangere ma strinse i pugni e rimise in moto l’auto, con le labbra serrate e una rumorosa inspirazione.

Ci volle ancora un quarto d’ora prima che raggiungesse “la magione”, così Tea chiamava la casa degli ex-suoceri. Abitavano in campagna, in una vecchio casolare che lei aveva da subito amato. Ora le faceva male entrarci da estranea, o da cosa non sapeva bene neanche lei. Chi era lei adesso? Solo la madre del loro nipote. Aveva sperato d’invecchiare lì dentro, la cornice ideale per una vecchia scribacchina di piante, e magari, chissà, dove mettersi a scrivere davvero il suo primo romanzo. Si chiedeva se a Patrizia quel posto piacesse, ma era certa che si sarebbe fatta piacere di tutto. Doveva essere una donna accomodante.

Il cancello era aperto, lei entrò e parcheggiò. Il bambino si era svegliato da poco, era imbronciato e non voleva scendere.

“Dai che ci sono i nonni, c’è papà”.

“Lasciami qui, ho detto”.

Tea, a malincuore, si giocò l’ultima carta, non ne poteva più di piedi sbattuti e lacrime copiose: “C’è Patrizia”. Lorenzo si destò come da un brutto incantesimo e sorrise. “Va bene”. Il tempo di scendere dall’auto ed era corso raggiante verso casa.

“Quella zoccola gioca a fare la fatina buona,” rimuginava. “Avrà già fatto innamorare tutti di sé. Si deve prendere tutto” e con i tacchi sulla ghiaia seguì le orme del suo bambino.

“Permesso…”.

La prima apparizione fu un grigio nitore: gonna, maglia, spilla e orecchini fumé. Capelli argento. La conosceva da anni e raramente l’aveva vista con altri colori, o meglio: con colori veri addosso.

“Buon Natale, cara, entra pure” (ex-suocera).

“Buon Natale. Questo è per te. Per voi”.

“Ma non dovevi”.

“Ci mancherebbe”.

Primo scoglio superato.

Restava l’ingresso nella sala da pranzo: trionfale o profilo basso? Non fece in tempo a darsi una risposta.

“Buongiorno!/Auguri!/Alla buon’ora (madre)/Mamma, c’è Patrizia!”.

Tutti si erano salutati in coro. C’era da baciarsi, però. Merda, questi auguri odiosi.

“Poso il cappotto e arrivo”.

“No, no, facciamoci gli auguri per benino” (ex-suocero).

Bene, era partita ufficialmente la girandola dei baci. Erano rimasti per ultimi l’ex-marito, che l’aveva baciata come si fa con un conoscente, e Patrizia. La blatta era in ghingheri: gonna nera parecchio aderente, tacchi alti, camicia bianca, un microbolero nero, e il solito caschetto schiacciato sulla testa. “La cameriera di un ristorante messicano,” pensò Tea. La fatina delle lasagne però aveva la faccia stanca, e nonostante il trucco pesante, e forse una lampada, non aveva l’aria compiacente che Tea le aveva attribuito; neppure quella di una che ha vinto e può godersi un riposante trionfo senza più bisogno di sgomitare.

La tavola era apparecchiata in maniera impeccabile, c’erano anche i segnaposto a forma di angioletti argentati.

“Cinque minuti ed è pronto!”.

In cucina, l’ex-suocera stava occupandosi dei tortellini, mentre l’ex-consuocera di questa chiedeva stupidi ragguagli su ripieni e cotture.

“Vado a fumare una sigaretta, torno subito”.

Tea si mise il cuore in pace: se Patrizia fumava, non poteva essere incinta. Sì, l’aveva nascosto anche a se stessa, ma era la cosa che temeva di più un figlio dei due. Aveva pensato che quel pranzo fosse l’occasione per rivelarlo alla comunità intera, crudelmente e platealmente, altrimenti che senso aveva fare un pranzo tutti insieme? E invece no, l’intenzione era veramente quella di fare stare Lorenzo con la famiglia al completo il giorno di Natale.

“Tea, tu fumi?”.

“No, oddio, può capitare ma direi di no”. Mentre pronunciava queste parole Tea pensò di non essere ancora in grado di parlare con Patrizia. Poteva dire no e basta e invece no, quel “può capitare” detto con un mezzo sorriso. L’aveva fatta sentire stupida.

“Mi accompagni un attimo? Ti va?”.

“Ecco, mi tratta come fossi amica sua. Ma chi ti vuole. Adesso mi dice che è incinta”. Tea non avrebbe voluto starle vicino, ma doveva liberarsi dei pensieri che giravano a vuoto: se ci fosse stato un bambino in arrivo lo avrebbe saputo subito. Via il dente, via il dolore. Prima o poi sarebbe successo.

“Ma sì,” rispose con finta disinvoltura.

Uscirono in giardino. Patrizia accese la sigaretta guardando lontano, con gli occhi stretti. D’improvviso disse: “La conosci Elena Sabelli?”. “Se la conosco! E’ una mia amica,” rispose con fierezza. “E’ una mia amica: non tu, chiaro? Elena è una mia amica”. Questo prosieguo lo tenne per sé.

“Suppongo stiamo parlando della stessa persona: biondina, intellettuale…”. “Perché mi chiede di Elena? Ah, adesso si prende pure le mie amiche! Non ci credo!”. I pensieri correvano veloci. Ma Elena no! Lei era quella, tra le sue amiche posticce, che più somigliasse ad un’amica. Lei c’era quando si è separata. Lei ha tentato di parlare con il suo ex-marito. Lei…

”Ha una storia con Sandro”.

“Con Sandro? Come?”.

“Lo chiamava sempre. Voleva sapere come stava, lo chiamava a casa”.

“Da quanto?”.

“Tre, quattro mesi. Me lo ha detto suo marito”.

“Ma è vero?”.

“Tea, per favore, perché non dovrebbe esserlo? E poi ho le prove”.

“Ma lui come l’ha scoperto?”.

“Lo sospettava e poi hanno fatto un week-end in Spagna due settimane fa, e lui ha monitorato tutto. Li ha visti in aeroporto. Ha scattato le foto. Io sapevo che Sandro doveva essere ad una convention di avvocati, a Roma, mentre lei aveva detto che era impegnata con l’università: ricerche, robe così”.

Se pensi che il mondo ti sia crollato addosso, oh, sappi che la realtà ha in serbo soprese. Come dopo uno schiaffo ben assestato, o un tuffo da un trampolino altissimo, così si sentiva Tea. Non sapeva se stesse provando odio, senso di liberazione, o compassione. O forse tutto quello, insieme. “Ora capisci cosa significhi”. Forse voleva solo farsi una grande risata. Quell’uomo bello e buono, che per un po’ era stato suo, si dimostrava solo un debole alla ricerca di conferme continue.

“Lo so. Non posso chiederti scusa. E’ successo. Ma per me non è mai stata una storia così per dire. Io lo amavo. Adesso non lo so. Mi accorgo di non sapere chi sia Sandro”.

“Sandro non era così”.

“Sandro ti ha tradito anche prima del matrimonio. E’ stata l’unica volta, prima di me, ma è successo. Almeno così mi ha detto lui”.

“Ah sì, e con chi?”.

“Boh, una che aveva conosciuto in facoltà”.

“Gaia”.

“Allora lo sai”.

“Una volta è venuta a cena da noi. Il suo fidanzato era via”.

Silenzio.

“E’ quasi pronto! Entrate?”. L’ex-suocera si sporse fuori, guardò le due donne di suo figlio, forse avevano fatto amicizia. Ebbe anche il tempo di dire: “Ah, Tea, bella la teiera araba!”.

Patrizia guardò Tea. “Mi dispiace per Lorenzo, ma io adesso entro e faccio vedere le foto a Sandro e gli chiedo chi è davanti a tutti, e poi dico che lo so chi è, che conosco suo marito e Buon Natale Sandro”.

Entrarono in casa. I tortellini fumavano nei piatti.