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Un cielo di stelle

La quiete del cimitero mi ha avvolto in questi giorni di fine autunno: da quando sono arrivato qui sono stato ammantato dalla pace e dalla tranquillità. Finalmente non sono stato tormentato dalla vista di colori e di sfavillii variopinti, gli stessi che mi hanno portato a fuggire alla ricerca del silenzio e a decidere di prendere la mia residenza qui, nel camposanto.

Le tombe sono diventate il mio rifugio, ho imparato a riconoscere le statue che adornano i grandi sepolcri di famiglia e abitano le mura di questo luogo. Ah, finalmente! A parte i lumini rossi notturni, qui non ho avuto nessun pensiero. Certo, si tratta di una postazione molto tranquilla, seppur decisamente frequentata, ma non mi sono impensierito delle numerose visite delle persone che si recano a portare omaggio ai loro cari che riposano nelle loro bare, nel buio di un aldilà senza luci e auree. È proprio questo buio che mi ha convinto a restare qui, per sempre! Tanta gente, portando un fiore su una tomba, si lamenta con altri della paura che questo posto sa mettere: stupidaggini. Non esiste posto migliore in tutto il mondo! Qui ho riparo per la notte, una dimora asciutta quando piove (e, da cosa ho capito, in questo mese e in quelli a venire, sembra proprio che la pioggia sarà un problema di cui tenere conto), fiori da annusare e erbetta da masticare quando c’è il sole. A questo punto si potrebbe pensare che due delle funzioni principali della vita non abbiano trovato soddisfazione, ma non è così: ho spazio a volontà per i miei bisogni, ma sono un gattino educato e non c’è da temere! Non vado mai a profanare luoghi sacri per queste necessità, bensì esco al di fuori delle mura. E per quanto riguarda il cibo, beh, in effetti i primissimi tempi mi sono trovato in difficoltà: nessuno viene al cimitero a mangiare, tutt’altro!

Di uscire, però, non se ne parlava, e così ho cercato un’altra soluzione che si è palesata piuttosto in fretta: anziane signore. Ho cercato di mostrarmi alle vecchiette che si recano spesso qui a portare mazzi di fiori freschi e a curare le aiuole di mariti e parenti, contando sul luogo comune per il quale questa categoria di gente si preoccupa degli animali abbandonati.

Che fatica! Mi sono fatto notare, miagolando, ronfando, piangendo, ma nessuna di loro si è impietosita!

Bel gattino, torna a casa, questo non è un posto per te! (Se non mi porterai da mangiare non posso che augurati che per te, invece, lo diventi!)

Ma cosa ci fa un bel micetto tutto solo qui? Torna dalla tua mammina! (Non hai pensato che se sono qui tutto solo è perché una mammina non ce l’ho più? Io ho bisogno di una nonnina, ecco.)

Oh no, pussa via! Cosa vieni a fare qui, a sporcare i miei fiori? (Vacci piano con quel bastone! Malefica, quando arriverai tu, qui, di certo la tua aiuola sarà la mia meta preferita per sporcare!)

Insomma, le vecchiette mi hanno profondamente deluso: non ho visto nemmeno un croccantino. Anzi, alcune di loro, come quella che mi ha scacciato accusandomi di aver intenzione di lasciare ricordini in posti poco consoni, sembrano davvero cattive. Per esempio pochi giorni fa ne ho sentite due parlare come se fossero al mercato, e non in un cimitero.

«Hai sentito, Mafalda? Proprio qui, vicino al cimitero, si fermeranno per qualche giorno gli zingari! Che schifo, non dovrebbero venire qui! Io ho paura, ho chiesto a mio figlio di mettermi l’antifurto in casa!»

«Mi è arrivata la notizia, e sono andata a chiedere spiegazioni al sindaco, non scherziamo! Non voglio che i loro bambini frequentino la scuola con i miei nipoti!»

«Stai scherzando, spero! Scuola? Nipoti? Assolutamente non devono avere a che fare con il mio Riccardino! Sei certa di ciò che dici?»

L’altra vecchietta aveva stretto gli occhi e la borsetta con fare minaccioso.

«Purtroppo sì! E il sindaco sai cosa ha detto? Che non devo preoccuparmi, che non devo essere populista, che poi cosa c’è di male, va bene essere a favore del nostro popolo, quelli sporcano, rubano, minacciano i bambini!»

Avevo avuto la netta impressione che la signora avesse travisato il significato di quella parola, anche l’angelo di pietra accanto a loro doveva essersene accorto: la sua espressione contrita mi aveva fatto capire che quelle due befane stavano dicendo delle cose non giuste. O forse sì? Perché avevano tanta paura di questi zingari? Chi sono? Davvero sarebbero venuti ad abitare nel cimitero?

Mi ero allontanato, un po’ turbato all’idea che qualcuno potesse venire a vivere nella mia nuova e lugubre casa, ma distratto dal pensiero della fame.

Oggi, però, sono stato notato finalmente, e non da una nonnina.

«Che carino che sei!» La lieve voce infantile mi solletica e orecchie: una bambina! Non sono certo di andare d’accordo con i bambini, mi danno l’idea di non vedere l’ora di tirare la mia coda, decorare il mio collo con ridicoli fiocchetti rosa, stropicciarmi e altre azioni poco garbate. «Non avere paura di me.» afferma, con voce quasi implorante.

La osservo meglio: ha la carnagione olivastra e grandi occhi neri, non avrà più di sette anni, eppure è da sola, impegnata a trasportare uno zaino grande il doppio di lei. Mi osserva dietro le inferriate del cimitero, poi apre lo zaino ed estrae un panino alla mortadella, lanciandomene un pezzo. La mia iniziale reticenza svanisce in un attimo, al diavolo, lei sarà mia amica!

Corro verso la piccola e balzo sul muretto, ronfando e ingozzandomi di pane e affettato. Lei ridacchia timidamente, continuando a darmi da mangiare.

«Finalmente un amico! A scuola mi stanno tutti lontano, di nuovo.» mormora. Che cosa significa? La bambina si siede, continuando a darmi da mangiare e parlandomi. «Tutte le volte la stessa storia. Appena cambiamo paese devo farmi degli amici, e non ci riesco quasi mai. Odio il lavoro di mamma e papà, sono stufa di girare insieme alle giostre e al rettilario! Voglio abitare in un posto solo, avere un’amichetta che mi voglia bene, delle maestre che siano le stesse tutto l’anno, voglio che i miei genitori mi vengano a prendere a scuola e non siano impegnati con il lavoro e non voglio più essere chiamata la zingarella.» snocciola in un fiato.

Zingarella! Allora lei è una di quelle persone di cui parlavano le vecchiette poco tempo fa? Non sembra così terribile come era stata dipinta, anzi, mi sembra molto sola e triste, vorrei poterla aiutare, ma alla fine lei si alza e se ne va, promettendomi di tornare tra qualche giorno.

*

La zingarella ha mantenuto fede alla sua promessa, tornando tutti i giorni dopo la scuola, verso ora di merenda. Zingarella, mi dispiace chiamarla così, ma non mi ha mai detto il suo nome. La sua aura è tinta di acquamarina trasparente, mi piace fare merenda con lei, ma mi dispiace che ogni giorno abbia una storia triste da raccontarmi: bambini che la evitano, che la prendono in giro, la solitudine e così via. Sentire i suoi discorsi rafforza la mia sicurezza circa la decisione di vivere con i morti: là fuori non c’è nulla di bello con cui posso desiderare di avere a che fare! Uomini che bevono, gente che abbandona gli animali, bambini presi di mira dagli altri bambini, e non solo!

Oggi però Zingarella mi dà una notizia che mi arreca dolore: domani mattina, all’alba, partiranno.

«Andiamo in un altro paese, ci sarà una grande fiera e molta gente verrà da noi. Sono già stata iscritta a scuola, stavolta ci fermeremo quasi due mesi, spostandoci nei vari paesini della zona. Purtroppo è troppo lontano da qui, e non potrò portarti da mangiare. Però sono contenta, quando ci fermiamo così tanto riesco a farmi qualche amico! Ma come fai a vivere qui, non hai paura? Vuoi venire a vedere casa mia, prima che me ne vada? Stasera non ci sarà gente, perché la sagra è terminata ieri e le attrazioni sono già sbaraccate! Faremo una festicciola tra di noi.»

Il solo pensiero di tornare in mezzo alla civiltà, ai suoi colori impazziti e alle domande ad essi legati mi spaventa, ma so che non vedrò più questa ragazzina e vorrei farle un regalo. Così salto giù dal muretto e mi faccio prendere in braccio.

«Ti ripoterò qui, promesso.» mi rassicura. Camminiamo attraversando i campi, lei presta molta attenzione alle automobili. Finalmente ecco apparire il campo degli zingari, quello tanto denigrato dalle signore dei giorni passati: vedo tanti furgoni, camioncini e roulotte. Zingarella aveva ragione, molte donne e uomini, circondate da bambini urlanti, stanno preparando da mangiare all’aperto, nonostante l’aria fredda. Per la prima volta da tanto tempo il cielo è limpido e senza un alone, sembra una serata perfetta per una cena all’aria aperta. Peccato per il freddo!

Sono spaventato, mi nascondo nella giacca della bambina, che ridacchia.

«Non avere paura, stai nascosto nella giacca.»

Ed è proprio nella sua giacca che resto chiuso tutta la sera, spuntando con il nasino giusto per sentire l’odore della carne alla griglia e per spiare questa gente che ha seminato il terrore tra gli avventori del cimitero: sono sbalordito, non mi pare di vedere nulla di anomalo, non mi sembrano sporchi né dei ladruncoli di strada, ma, chissà, forse sbaglio. Potrei ormai essere traviato dalla mia vita da clochard e ora avere una visione più morbida della delinquenza.

Zingarella mi rimpinza di cibo per tutta la sera, mentre gioca con gli altri bambini e finalmente la vedo felice e serena.

«Tesoro, che cos’hai nella giacca?» La piccola sussulta e poi, rossa in viso, mi scopre, mostrandomi alla donna che le ha parlato. «Oh, ma dove lo hai preso? È così piccolo, forse la sua mamma lo sta cercando!»

Lei si imbarazza, come se non avesse pensato a quella eventualità.

«Oh, mamma! Volevo solo mostrargli casa mia, ora lo riporto dove l’ho preso.» si giustifica piano lei e la madre le sorride, chiedendole da dove io arrivi. Quando capisce che abito poco lontano, a pochi metri di distanza dall’accampamento, le suggerisce di riportarmi dove mi ha trovato e di tornare subito.

Io e Zingarella ci allontaniamo a passo lento, pare che lei non voglia salutarmi troppo in fretta e così ci sediamo sul prato, poco prima del cimitero, con i bagliori e le musiche della festa poco lontane.

«Mi spiace doverti salutare, in questi giorni sei stato il mio unico amico e ti voglio tanto bene. Però forse davvero la tua mamma è qui che ti cerca! Spero che tu sia felice, io ora lo sono: i prossimi mesi saranno tanti e non mi sposterò, frequenterò la stessa scuola per tanto tempo! Spero sarai felice anche tu!»

Guardiamo insieme il cielo stellato, poi lei mi dà un bacio e corre a verso casa, felice. Le stelle si mostrano splendide nel cielo limpido e freddo, non le avevo ancora potute osservare così attentamente, sembrano le scintille di colori che ho evitato durante la mia permanenza al cimitero.

Sono belle, chiare e brillano nel buio. Osservando queste scintille coraggiose che sfidano la notte e la piccola Zingarella che sfida il futuro mi sento uno sciocco a essermi rintanato in un luogo senza stelle per paura della luce.

Voglio essere come Zingarella e come le stelle, sfidare le tenebre e trovare la soluzione ai problemi: non abiterò più tra le tombe.

Disegno di Silvana Sala