Margherita Solani e Andrea (Antropologo) Gori, per la prima volta, dopo due mesi di frequentazione virtuale, si incontrano.
Queste il loro resoconto (prima di lei, poi di lui)


Mi hai sciolto il fiocco con il quale tenevo legati i capelli in una coda bassa. Non mi sono girata subito, ho preferito aspettare qualche istante. Il tuo anticipo e la descrizione che ti avevo fornito ti avevano lasciato l'opportunità di sapere, prima di me, chi sarebbe stata la persona che avresti incontrato. Non avrei mai immaginato che la prima cosa che avresti fatto, ancora prima di darmi il modo di guardarti per bene, sarebbe stata baciarmi. Ogni promessa è debito, è così che siamo rimasti per quasi mezz'ora davanti a Santa Maria del Fiore, incollati, in mezzo ai passanti e immersi in quella densa nebbiolina che rendeva Firenze ovattata. Adoro le città con il fiume, l'ho scelta per questo, oltre che per la comodità reciproca. Dalla tasca ho tirato fuori le chiavi e ti ho condotto fino al monolocale in prestito. Una volta saliti ti ho detto di metterti comodo e ti ho chiesto di aspettarmi sul divano. In bagno mi sono cambiata e ho indossato la vestaglia blu che mi hai regalato. Solo quella. La sensazione della pelle a contatto con la seta è stata ancora più piacevole pensando che di là, c'eri tu ad aspettarmi. Mi sono seduta di fianco a te e abbiamo iniziato a parlare, dimenticandoci per qualche istante della cena. Mi hai sorpreso una seconda volta, ordinando tu, in un posto che conoscevi. Del resto, sui piatti tipici non potevo competere in alcun modo. Quando è arrivato il fattorino, ci ha sorpreso di nuovo incollati e vista la mia tenuta, poco idonea a tuo avviso a riceverlo, ti sei alzato per ritirare e pagare. Ho accettato di buon grado le tue premure e ti ho atteso lì dove mi avevi lasciata. Non abbiamo fatto nemmeno la fatica di spostarci, abbiamo mangiato utilizzando il tavolino che avevamo di fronte e interrompendo di nuovo il contatto fisico. Hai mantenuto anche tu le tue promesse. Hai assaggiato un sorso del brandy che mi sono gustata dopo, mentre pianificavamo i nostri prossimi esperimenti. Il tempo è volato, e man mano che prendevamo confidenza l'atmosfera si è fatta sempre più rilassata fino a che le luci non sono state più un problema. Tu te lo ricordi se erano accese o spente? Al massimo o soffuse? Io no, però mi ricordo di tutto il resto. Dalla prima volta che hai fatto scivolare le dita sotto il tessuto, a contatto con la mia pancia, fino a quando hai slacciato il nodo della cinta, come avevi fatto qualche ora prima davanti alla chiesa. Non ero mai stata la prima volta di nessuno fino a ieri sera, e questo in qualche modo rende te anche la mia, di prime volte. Era da tempo che non mi sentivo così impaziente ed eccitata. Tanto da farmi addormentare al tuo fianco e da farmi risvegliare nello stesso modo. Una volta non ti sarebbe bastata, questo io lo sapevo. Non sarebbe bastata nemmeno a me, anche se per me è tutto più facile per certi versi. Perdonami per averti negato la doccia insieme. Troppo intimo, per adesso. Ogni cosa a suo tempo. Camminare per Firenze questa mattina aveva un altro sapore. Grazie per la colazione Antropologo, e per avermi accompagnato al treno. Un ultimo bacio e sono salita.


 

 

Ti ho cercata in ogni sguardo, in ogni cappotto rosso che passava vicino a me. Nessuna sarebbe stata bella quanto te. Lo sapevo. Tutte erano niente, in confronto a te. Un fantasma, un simulacro. Nessuna poteva essere come te.
Mi sono preso tempo per osservarti, per osservare il tuo muoverti leggero, ma al contempo meno sicuro di quanto credessi. Eri emozionata? Questo mi sono detto, quando tremando ho sciolto il fiocco, stando attento a non fare male ai tuoi capelli.
Ti sei voltata. Eri bellissima. Se ti avessi detto qualcosa, sarei risultato stupido, perché mi sentivo un ragazzino, in quel momento. I miei occhi non riuscivano a staccarsi dalle tue labbra, e allora le ho baciate, ti ho baciato. Sarei rimasto così tutta la notte, perché già era tanto, eri il mio tutto in quel momento. E anche Firenze era svanita, svanita oltre quel bacio.
Ti ho porto una fresia bianca e hai sorriso. Ho intravisto del colore sulle tue guance. Forse sei arrossita. E mi hai abbracciato e abbiamo ripreso a baciarci, baciarci a lungo, come se il mondo stesse per finire e non avessimo scampo, se non nelle braccia l’uno dell’altro. Ho rilegato i tuoi capelli, appuntando il fiore nel nodo del fiocco. E mi sei sembrata più bella di una dea, eppure umana, vicina, concreta.
La campana ha rintoccato. Ho scorto un brivido lungo il tuo corpo. Ho avuto paura che tu avessi freddo. Ti avrei dato il mio cappotto, ma eri così bella nel tuo cappotto rosso. Allora abbiamo iniziato a camminare per un tempo indefinito, perché parlavamo e guardavamo Firenze come non l’avevamo mai vista. E poi ci stringevamo lungo i marciapiedi e ridevamo, ridevamo come bambini, perché Firenze, in quel momento era solo nostra.
È incredibile come non basti il tempo. Avrei voluto baciarti tutta la notte. Avrei voluto parlare con te tutta la notte. E poi fare l’amore fino all’alba. Tutto, senza sacrificare niente, perché tutto con te è naturale e speciale.
Ti ho osservato con la vestaglia blu. Avevo scelto bene: la seta si posava leggera sulla tua pelle e il blu risaltava il tuo candore, la tua pelle così chiara e delicata.
Avrei voluto dirti che eri bellissima, ma la voce non è uscita, fino a che tu non hai iniziato a parlare e io, finalmente, ho riacquistato il mio coraggio.
Hai gradito la cena e io il bicchiere che mi hai offerto. Ho sperato che mi aiutasse a essere meno impacciato, a non fare figurette. Avrei voluto ridere, ridere forte, per rompere quella sacralità che circondava la nostra stanza. Invece ti ho guardata, ho guardato il tuo viso, il tuo corpo. E mi sono lasciato andare.
Sono stato tuo. Sei stata mia. E dentro di me sentivo che era speciale come lo era per te. La mia prima, in qualche modo il tuo primo. Sentivo che se nessuno dei due finirà per scappare, qualcosa di incredibilmente nuovo stava nascendo, come una luce, al mattino, nel momento prima dell’alba.
Ti ho guardata dormire. Ho osservato i tuoi lineamenti distendersi. Eri così dolce, innocente. Così diversa dalla Margherita che gli altri conoscono e che tu, invece, avevi concesso di vedere proprio a me.
Avrei voluto non crollare. Resistere, continuare a osservarti. Ma la tensione si è scaricata e sono crollato vicino a te, quasi abbracciandoti. Avevo paura di toccarti. Di sfiorarti.
E adesso che sei salita su quel treno, che sei di nuovo lontana da me, devo trattenermi per non prendere il treno e venire a cercarti, ovunque tu sia, in tutta la tua città.
Ci siamo salutati con un abbraccio stretto, un bacio che non saprei descrivere. Forse disperato, sì. Perché avrei voluto dirti di restare, restare ancora, non andartene subito.
Resta ancora un poco, Margherita. Prendi il treno successivo o non prenderlo affatto. Torniamo nel monolocale, a parlare, a baciarci, a esplorarci. A studiare quel fuoco che si espande dentro noi, così naturale, così nuovo, così nostro.