Fuochi d'artificio

L’acqua del fiumiciattolo scorre tranquilla, lasciando intravedere succulente prede argentee. Peccato che io non sia in grado di catturare quei pesci. Per ora mi devo accontentare di mangiarli quando si trovano appiccicati ad involucri di alluminio, stando attento a non ingoiare alcuni pezzetti di stagnola, e purtroppo spesso mi trovo a masticare più cartoccio che pesce. Gli svantaggi di rovistare nella spazzatura.

Nonostante questo, non mi scoraggio: sto crescendo, sono diventato più grande e forte e, soprattutto, sono più riposato. Passare del tempo al cimitero, senza essere travolto da ondate di colori misteriosi, mi ha rigenerato e ora sono pronto a tornare ad indagare su queste scintille che brillano in alcuni luoghi.

Già, in alcuni luoghi. Scoprire che in posti come un camposanto non vi sono scintillii di luce ha infittito l’enigma: come mai lì l’aria era trasparente e limpida, mentre in alcune abitazioni non è così? Non sempre almeno. Ultimamente ho spesso sbirciato dentro le case per cercare soluzioni al problema, imbattendomi in luci colorate, ghirigori di luce variopinti e anche in stanze spente. Lo stesso vale per le persone. L’aura che aleggia attorno ai loro corpi assume sempre un colore diverso: la mia Maria era rosa come una nuvola, mentre l’uomo che mi ha abbandonato, il suo maledetto figlio, era grigio e arido.

In passato sono stato divorato dai dubbi circa il possibile legame (o meno) che può vincolare il colore delle persone alle scintille che svolazzano in certi luoghi, ma ora mi sento più calmo, come se vivere tra le tombe mi avesse permesso in qualche modo di morire e poi rinascere: si intenderà questo quando si fa riferimento alle sette vite dei gatti? Onestamente spero di no, altrimenti vorrebbe dire che ne ho già sprecata una.

Balzo su un davanzale della casetta di periferia che sto costeggiando, attirato dalle luci che vedo filtrare attraverso il vetro. O almeno, questo è quello che mi dico: so perfettamente distinguere, ormai, i riflessi di uno schermo della televisione da quelli evanescenti che sono diventati la mia ragione di vita, e questa volta so benissimo che si tratta di una tv. Ad attrarmi su questo davanzale è stato il profumino che filtra dal vetro socchiuso.

Con il muso do una testata alla finestra, cercando in entrare nella cucina avvolta da ventate di aria fredda che non sembrano spaventare la cuoca. Probabilmente vuole lasciar uscire l’odore di fritto. Ma cosa sono quegli anellini sfrigolanti? Totani? Oh, che fame!

«Ehi, gattaccio! Vattene! Devo mettere una maledetta zanzariera!» urla la grassoccia signora, lanciandomi un cucchiaio di legno, che mi colpisce in testa. Ma sì, mangiateli tutti tu quegli anellini, tanto ormai sei grassa e acida, mangiare cibo spazzatura non potrà peggiorare la tua situazione!

Riprendo a camminare con sguardo da duro, ma ferito per essere stato scacciato ancora una volta: ero solo un totano, avrebbe potuto offrirmelo.

Un luccichio violento e guizzante mi distrae: l’ho percepito a sinistra, verso quel giardino recintato. Non ho mai visto nulla di simile, forse si tratta di nuovo di un marchingegno come la tv o di un giocattolo per bambini. È probabile, ma decido di andare a controllare. Non posso trascurare nulla se voglio risolvere i miei misteri.

Mi avvicino cautamente, non vorrei attrarre come una calamita un altro cucchiaio di legno, o ciabatta o qualunque altro oggetto contundente utile a scacciare un gatto grigio, sciatto e con il pelo trascurato come me. Resto sbalordito per ciò che mi si staglia davanti: una donna giovane è seduta sul dondolo del cortile, intenta ad ammirare il cielo buio d’autunno, avvolta da una coperta bianca, coperta che non riesce a nascondere lo spettacolo che mi si para davanti agli occhi. Sono così emozionato! È la prima volta che vedo l’aura di una persona interagire con le luci arcobaleno!

Osservo meglio la ragazza: attorno a lei brilla un quieto turchese pastello, ma davanti a lei, all’altezza dello stomaco, vedo un nugolo di lucine accendersi e poi spegnersi, guizzare ancora e poi sparire di nuovo, miscelando le sue nuances con quella turchese: l’aura ora sfuma al rosso, e ora al blu, poi al rosa e quindi si spegne, per poi riaccendersi. Come è possibile? Non posso fare a meno di domandarmi come potrò risolvere il mistero delle lucette se ogni volta si aggiungono nuovi elementi, tuttavia una piccola speranza lampeggia dentro di me, emulando quelle lucciole fittizie: è la speranza di non avere un problema in più che mi allontana dalla soluzione, ma la chiave per la risoluzione dell’arcano.

Un uomo appare dalla porta portando un bicchiere colmo di succo di frutta che le porge insieme a un bacio.

«La cena sarà pronta tra poco.» le dice e lei sorride, alzandosi in piedi.

«Vengo a darti una mano.» afferma, entrando in casa con lui. Io non ho nessuna intenzione di andarmene da qui. Il giardino ha l’erba curata, un dondolo dotato di un soffice cuscino e, soprattutto, una proprietaria che mi aiuterà a chiudere questa storia una volta per tutte.

*

«Etciù! Etciù! Etciù! Etciù!» Il suono insistente e violento mi sveglia di soprassalto. Balzo giù dal dondolo e corro a nascondermi. «Ma cosa diavolo sta succedendo?»

La ragazza multicolore si soffia il naso e asciuga gli occhi colanti. Non è un bello spettacolo, così gonfia, ma non mi importa: sono felice di vedere che la situazione luci colorate non è cambiata nemmeno un po’. Davanti al suo stomaco, che certamente è più pieno dopo la cena, ci sono ancora gli scintillii.

«Che succede, tesoro?» le domanda il marito, portando un secchio di pop corn.

«Non lo so, sembrerebbe allergia.» suggerisce lei, soffiando ancora il naso. Lui si guarda intorno.

«Speriamo passi, oppure non potremo vedere i fuochi d’artificio dal giardino.»

Anche lei posa il suo sguardo azzurro intorno e alla fine i suoi occhi cadono su di me. Evidentemente non mi ero nascosto abbastanza bene.

«Oh, ecco. Piccolino, tu sembri avere fame, ma devi stare lontano da me, anche se ti darò del cibo. Sono molto allergica ai gatti!»

E ti pareva. Trovo una persona gentile, una sola, e deve essere allergica ai felini. La ragazza entra in casa e torna con qualcosa in mano e una mascherina sul volto. Oh, andiamo! Non starai esagerando?

«Non è meglio che faccia io?» chiede l’uomo, ma lei scuote la testa. Osservando meglio i suoi occhi iniettati di sangue mentre si china su di me per darmi della carne cruda, capisco che fa sul serio: sta davvero male!

«Non spaventarti, non tengo questa mascherina in casa per i gatti randagi, ma per le pulizie. Anche la polvere mi stronca.» si giustifica, evitando accuratamente di toccarmi. Ma non c’è problema, non mi farei accarezzare, ho ancora il bernoccolo sulla fronte per il cucchiaio di ieri. Questi umani sono così imprevedibili!

Le luci guizzanti sono così vicine, ora, da sorprendermi e portandomi persino a dimenticare il cibo: dentro la pancia della giovane c’è qualcuno.

I ricordi di quando ero nella Scatola mi travolgono. Ecco perché la donna davanti a me ha questi bagliori di fronte al ventre: è una Scatola! E quindi io potrei essere una Voce!

Mi agito e inizio a miagolare, sperando di farmi sentire dalla cosa che c’è lì dentro. Mi senti? Sono una Voce, ma in realtà sono un gatto e tu non sei dentro ad una Scatola, ma ad una mamma!

La ragazza ride e si alza in piedi, starnutendo, mentre il piccolo lì dentro spruzza più colori. Mi ha sentito!

«Mi spiace, devo allontanarmi. Sto troppo male.» si scusa lei, cambiando zona del giardino. I due si vanno a sistemare al tavolino nell’angolo, masticando pop corn e aspettando i fuochi d’artificio, qualunque cosa essi siano. Mi lasciano un piattino di cibo e dell’acqua che ingollo distrattamente, così come distrattamente ascolto i loro discorsi.

«Potrei chiedere a mia madre se lo vuole tenere...» dice lui, ma mi disinteresso, cercando di definire le luci colorate: se si tratta di un cucciolo d’uomo, allora i bagliori rappresentano cosa, la nascita? La vita?

Sembrerebbe la soluzione migliore, ma non mi convince del tutto. Improvvisamente una vampata di caldo mi travolge: già da qualche giorno mi accade. Sento un calore dentro, un rimestio e un bisogno di trovare qualcosa, qualcosa che non c’entra con i colori. Sto iniziando a sospettare di essere malato.

Un miagolio forte e sonoro esce dalla mia bocca, provocandomi un attacco di vergogna. I due si voltano a guardarmi.

«Prima di darlo a tua madre dovremmo farlo sterilizzare. È in pieno calore!» ride la ragazza. Sono in calore? Come fanno a sapere che ho caldo? Sto morendo? E soprattutto, ho capito bene? Vogliono darmi alla madre di lui? Avrò una casa?

E poi succede tutto in un attimo: una gatta nera attraversa la strada fuori dalla recinzione, mentre nel cielo esplodono mille colori di sfumature e forme stupendi, anche se accompagnati da botti assordanti. Guardo i colori, guardo la pancia di lei, guardo la gatta e capisco che forse non si tratta di luccichii di vita, ma di amore. Amore della mamma per il suo bimbo, che forse lascia segni nel mondo. Sarà così? Potrebbe trattarsi di amore? Sì, amore! Perché quella gatta nera che ho appena visto, io la amo e ora nella mia pancia sento le stesse esplosioni che ci sono nel cielo!

«Luchino, amore mio, eccomi, ho letto il messaggio. Vi ho portato i totani fritti. Cosa volevate chiedermi? Se posso tenere un gatto?» chiede una donna, che sta entrando dal cancello principale reggendo un vassoio. Mi volto di scatto. È lei, la donna lancia cucchiai. Davvero vorrebbero farmi vivere con lei? Giammai!

Me la do a gambe levate, lasciando i fuochi d’artificio scoppiettare insieme al figlio della ragazza e insieme al ricordo del mio primo, fugace amore, chiedendomi se anche io posso aver lasciato in quel prato qualche luce colorata.

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