Cargo, uno stile di vita

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Dopo aver trascorso una settimana di ferie tra Svezia e Danimarca ho deciso di scrivere un articolo sulle cargo bike, una realtà sempre più presente anche in Italia, ma decisamente più sfruttata all’estero.


Figura 1 Una Short John moderna.

Sono biciclette molto particolari, finalizzate al trasporto di oggetti ingombranti.

Ripercorrere la storia delle cargo bike non è semplice. C’è da dire che con il termine “cargo bike” ci si riferisce a svariati modelli di bici creati con questo fine.

Le prime di cui si ha testimonianza risalgono all’inizio del secolo scorso ed erano presenti soprattutto in Olanda, Inghilterra e Danimarca, la loro terra madre. La cosiddetta Short John, può essere considerata a tutti gli effetti l’antenata delle moderne cargo bike. Era una bici di piccole dimensioni, con le geometrie molto simili a quelle di una bicicletta classica. Ciò che la contraddistingueva era però il ruotino anteriore che permetteva di ospitare un carico maggiore sul portapacchi che veniva montato davanti.


Figura 2 Una Long John risalente agli anni '20.

Successivamente, negli anni ’20, iniziarono a circolare in Danimarca le Long John: la ruota anteriore, anche in questo caso più piccola della posteriore, veniva posizionata molto distante dal conducente, in modo da lasciare lo spazio, tra il manubrio e la ruota stessa, per il pianale destinato al trasporto delle merci. Altre volte, ma in numero decisamente più esiguo, il pianale è stato creato allungando il carro posteriore, in modo da mantenere inalterata la reattività dello sterzo.

All’epoca queste cargo bike erano utilizzate soprattutto per il trasporto della posta, del pane o di altri generi alimentari che dovevano essere spostati da un luogo all’altro o distribuiti ai clienti. In Italia vennero usate soprattutto per trasportare ghiaccio, gelati e grattachecche, ma anche per affilare coltelli e aggiustare suole: erano gli antenati dei moderni baracchini itineranti.

Partendo da questi due progetti, è stata costruita la maggior parte delle cargo bike attuali. Dalla Short John deriva la cargo progettata da Omnium, casa produttrice di Copenaghen, mentre dalla Long John deriva la cargo bike per eccellenza: la Bullitt. Grazie alla sua manovrabilità, efficacia, capienza e versatilità è senz’altro la bici cargo più diffusa in assoluto.


La casa produttrice più attiva sulla scena è sicuramente la danese Larry VS Harry. I nostri due scandinavi, di Copenaghen anche loro, ci hanno visto lungo: in un paese dove già era usanza diffusa possedere una cargo bike, sono stati capaci di migliorarla e renderla accessibile a tutti, tanto da diventare la casa produttrice numero uno d’Europa se non del mondo. A seguire posso citare la berlinese Pedalpower, che però non riesce a tenere testa ai colossi danesi, pur producendo il leggendario Long Harry: la cargo più lunga in commercio. In Italia ci pensa PandaBike a produrre le cargo, ma purtroppo, se già Pedalpower fatica a stare dietro a Larry VS Harry, PandaBike (nonostante la qualità dei suoi prodotti) non si avvicina minimamente ai numeri raggiunti dai due danesi.


Figura 3 Una foto che ho scattato da Larry VS Harry a Copenaghen.

Recandosi in uno qualsiasi dei punti vendita sparsi ormai in tutto il mondo o, più comodamente, visitando le pagine web dei costruttori, si può assemblare la propria cargo bike a piacimento. Si può scegliere il modello, il colore del telaio, il tipo di manubrio, la tipologia di sella e dei cerchi, di freni e cambio: insomma, una cargo diversa per ogni tipo di esigenza.

I telai sono praticamente tutti di allumino, materiale che permette di ottenere un buon compromesso di robustezza e leggerezza (il telaio di una Bullitt pesa 11,5 kg circa, comprensivi del del cavalletto). A causa del peso che sono destinate a sopportare, tutte le cargo sono dotate di un doppio freno a disco. Un mezzo del genere, caricato con svariati chili di merce, raggiunge velocità molto elevate e, di conseguenza, un’inerzia notevole. Per una maggiore sicurezza si ricorre quindi ai freni a disco che permettono di accorciare lo spazio di arresto (anche la Omnium, pur essendo molto più piccola e maneggevole di una Bullitt o di un Long Harry, viene assemblata con un freno a disco anteriore).


Detto questo potrebbe sembrare un’impresa impossibile smuovere bici del genere. Ovviamente la difficoltà nella conduzione aumenta in maniera proporzionale alla capienza della bici: una Omnium si guida molto più agevolmente di una Bullitt, è più leggera e scattante, ma non tollera il peso sopportato da quest’ultima e tantomeno da un Long Harry. Tuttavia anche questi ultimi due modelli sono molto più semplici da condurre di quanto si potrebbe pensare. Questo per due motivi principali: il primo è che sono muniti di un cambio molto morbido per partire da fermi, ma abbastanza duro per trasportare i pesanti carichi in piano. In genere si hanno due corone (da circa 36/22 denti) e una decina di pignoni: una trasmissione che potrebbe essere tranquillamente quella di una mountain-bike. Questo fa sì che chiunque possa usare una cargo senza fare troppa fatica;

il secondo motivo per cui risulta facile guidare una cargo è che, nonostante la ruota anteriore sia molto distante dal manubrio e quindi la reattività dello sterzo sia completamente diversa da quella di una qualsiasi bici, la forza centrifuga agisce su chi guida esattamente come ci si aspetterebbe. Al contrario dei tricicli per esempio, che in curva danno una strana sensazione di “sbalzo verso l’esterno”, le cargo permettono di affrontare le curve come con una qualsiasi bici classica, piegandosi leggermente verso l’interno e contrastando in questo modo la forza centrifuga. L’unica cosa per cui può essere necessaria un po’ di forza bruta è per sorreggerla quando si è fermi. L’importante è caricare la merce in modo equo, in modo da distribuire il peso in maniera omogenea così da non compromettere l’equilibrio della bici.

Potrei parlare ancora a lungo delle caratteristiche tecniche della Bullitt, ma qui di seguito preferisco concentrarmi su un fenomeno curioso che ho notato viaggiando. Ho avuto la fortuna di spostarmi molto, sia per lavoro che per piacere, e ho notato una differenza sostanziale tra l’utilizzo che si fa delle cargo bike in Italia e di quello che se ne fa invece all’estero.

In Italia è una realtà ancora molto circoscritta, tuttavia è una modalità di trasporto che lentamente sta prendendo piede. Sempre più società di trasporti ricorrono alle cargo bike come mezzo green ed ecosostenibile per consegnare la propria merce. Chi, come me, vive a Torino non può non averle notate: da GLS a TNT, da Cortilia a UPS, tutti ricorrono a qusto genere di bici. Non inquinano, non consumano benzina, sono rapide nel traffico, non subiscono limitazioni quali ZTL o aree pedonali e non si perde tempo a cercare parcheggio. Sembra davvero la soluzione definitiva per far fronte al traffico e all’inquinamento. Ogni società di bike messenger ne possiede una o più di una e sempre più spesso le grandi imprese di corrieri espressi ricorrono a soluzioni di questo genere per consegnare i loro pacchi, spesso affidando il compito proprio a società di bike messenger.


In Italia tutte le cargo che ho visto, che fossi a Torino, Milano, Bologna, Roma, appartengono a società di corrieri espressi in bicicletta. Spostandomi verso la penisola iberica la situazione era più o meno la stessa. La sorpresa l’ho avuta spostandomi invece nel nord Europa, nella penisola scandinava, in Danimarca, ma anche nei Paesi Bassi e in Germania, lì dove le cargo bike sono nate. Oltre che ad averne notato una quantità  nettamente superiore a quelle adocchiate nella mia terra, ho appurato che la maggior parte di queste appartengono a privati. In questi paesi, come si può notare dalla quantità di piste ciclabili, la cultura della bicicletta è molto più radicata. Nonostante il prezzo elevato di una Bullitt (si parte da circa 1.800€ per il modello base), il clima e le condizioni atmosferiche non sempre favorevoli, nei paesi che ho citato sopra ho visto una quantità di cargo bike incredibile. Il fatto è che i privati non le utilizzano solo per trasportare oggetti: la maggior parte di queste viene usata per trasportare i propri figli o i propri animali. Oltre ai cassoni di alluminio per il trasporto di pacchi infatti, si può dotare la propria cargo di piccoli sedili, di selle aggiuntive sul tubo orizzontale del telaio e addirittura di vere e proprie cabine trasparenti a misura d’uomo (di plastica o tela cerata) nelle quali trasportare persone o animali con qualsiasi condizione meteo.


Credo che alla base di scelte simili ci sia una profonda differenza culturale tra il nostro paese e quelli nordici. Con l’avvento del motore nel dopoguerra, si è registrato un declino della bicicletta, in Italia come nel resto del mondo. La grande differenza è andata affermandosi però successivamente: mentre in Italia non c’è stata una vera e propria rinascita, in Danimarca la situazione è andata in tutt’altra direzione. I danesi si sono accorti molto presto di quanto fosse comodo l’uso della bicicletta a livello urbano e hanno lottato duramente, attraverso le critical mass[1], per riaffermare i diritti dei ciclisti, messi in pericolo dagli autoveicoli. In Italia questo processo non è avvenuto, o meglio, non con la stessa intensità. Nella patria della Piaggio e della Fiat i ciclisti sono rimasti relegati ai bordi di una strada dedicata alle auto. Il risultato è che molti di noi non riterrebbero sicuro trasportare i propri figli nel cassone di una cargo. E probabilmente lo penserebbero a ragione, ma non perché le cargo non siano sicure, ma perché non disponiamo di piste ciclabili né corsie preferenziali per le biciclette, nelle quali viaggiare in sicurezza. Senza contare l’esposizione allo smog a cui sottoporremmo i malcapitati che trasportiamo nel cassone: problema decisamente meno incisivo in città come Copenaghen, dove i veicoli a motore sono in numero molto inferiore rispetto a quelli a pedali. Inoltre immagino l’italiano medio che non ha voglia di fare fatica pedalando né tantomeno di investire cifre ragguardevoli per un mezzo ritenuto “scomodo”, ormai abituati ai morbidi sedili della propria automobile. E credo che sia proprio qui la differenza culturale: semplicemente non ci si è ancora accorti, al contrario di ciò che è avvenuto nei paesi nordici, di quanto invece sia più comodo, ecologico e conveniente (a livello di spese e di tempo impiegato) spostarsi a livello urbano con una cargo bike rispetto ad un’automobile. E’ come se non avessimo sviluppato una solida coscienza ambientalista o forse facciamo solo fatica ad abbandonare le vecchie e comode cattive abitudini. Mentre, come si può leggere nella pagina principale del sito di Larry VS Harry, i danesi hanno capito cos’è veramente comodo (e lo hanno capito molto prima di noi):

“As Copenhageners, Larry and Harry have always biked as much as they could. Not just because it was green, cool or cheap, but because it was – is – the fastest, most convenient way to get around town”[2].

 


[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Massa_critica_(evento)

[2] http://www.larryvsharry.com/about-larry-vs-harry/